Intorno al reddito minimo

di Gian Marco Martignoni

Se qualsiasi proposta di reddito minimo garantito deve misurarsi con il problema del reperimento di risorse certe e stanziabili su base annua, Andrea Fumagalli nell’analizzare il disegno di legge del Movimento 5 Stelle (si veda «il manifesto» del 15 novembre) si sbaglia grossolanamente nel ritenere corretta «la possibile sostituzione a regime dell’attuale sistema, selettivo, iniquo, distorto e clientelare, degli ammortizzatori sociali (tanto comodo alla Confindustria come al sindacato)».

Allo stesso modo di Roberto Ciccarelli, che – nell’intervistare il 15 novembre su questi temi Stefano Fassina – esprime un giudizio negativo sulla Cassa integrazione (Cig) in deroga, sostenendo sostanzialmente che le risorse utilizzate per questo istituto anomalo sarebbero meglio spese per il reddito minimo garantito o, meglio ancora, per il reddito di cittadinanza.

Al di là che gli istituti della Cig ordinaria e straordinaria hanno una loro genesi storica e una finalità sociale indiscutibilmente riconosciuta, quale alternativa ai licenziamenti immediati di massa, se il problema vero è quello della loro selettività, esso può essere semmai affrontato politicamente estendendo l’utilizzo della Cig ordinaria, della Cig straordinaria e dei contratti di solidarietà anche ai lavoratori e alle lavoratrici delle imprese di tutti i settori sotto e sopra i 15 dipendenti, nel commercio e terziario sotto i 50 dipendenti, attraverso il versamento della relativa contribuzione di legge (di cui sino a oggi le imprese, invece, sono esentate).

Questa scelta volta a universalizzare il sistema degli ammortizzatori sociali comporterebbe il superamento della Cig in deroga che – brevettata nell’aprile del 2005 dal ministro del lavoro Roberto Maroni a macchia di leopardo su base provinciale per affrontare la crisi del settore tessile/abbigliamento/confezione – è stata poi estesa a tutti i settori privi della Cig ordinaria nell’aprile 2009 con un primo accordo biennale, per poi essere reiterata negli anni successivi grazie agli stanziamenti decisi nelle varie Finanziarie.

Anche perché nel 2013 chi voleva da destra far saltare la Cig in deroga ha pensato bene di finanziarla con soli 700 milioni, sicché quest’anno si è gestita la crisi con due accordi semestrali su scala regionale, tanto che a fine novembre un’ampia platea di lavoratori e lavoratrici attende ancora le spettanze da gennaio a giugno, mentre quelle da luglio a dicembre verranno pagate nel 2014 senza una scadenza certa.

Infine, se nel 2013 verranno spesi 3 miliardi per la Cig in deroga rispetto ai 2,3 miliardi del 2012, ciò significa che è in corso un ulteriore approfondimento della crisi, per cui la giusta richiesta dell’introduzione del reddito minimo garantito, ben illustrata da Papi Bronzini (sempre su «il manifesto» del 15 novembre) non può scioccamente negare l’altrettanta evidente esigenza di un sistema universale degli ammortizzatori sociali e, implicitamente, la ripresa del dibattito attorno alla redistribuzione del lavoro, per evitare fuorvianti contrapposizioni all’interno della stessa classe sociale.

Redistribuzione del lavoro che può essere realizzata mediante l’utilizzo di quote degli incrementi di produttività del lavoro intervenuti vertiginosamente negli ultimi decenni, come il professore Giovanni Mazzetti da molto tempo sostiene, a partire dal suo anticipatorio testo «Scarsità e redistribuzione del lavoro», pubblicato dalla casa editrice Dedalo.

     (Varese, 19.11.2013)

 

 

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