Invito a Pete Seeger (1919-2014)

di Franco Minganti   

Non ho mai incontrato Pete Seeger, né l’ho ascoltato dal vivo. Però so chi è da tanto, almeno da quando, intorno al 1971, in una ricerchina da portare alla maturità, lo citavo come l’autore del testo di «Turn, Turn, Turn» direttamente ispirato all’Ecclesiaste (per la verità, mi sa che all’epoca noi conoscessimo solo la versione dei Byrds, mica l’originale di Seeger).

Dato che mi piace l’idea di scrivere per questo blog post che dicano di una qualche vicinanza, prossimità o sintonia, la prenderò alla lontana, partendo da una commozione condivisa, qualcosa di cui porto dentro il ricordo nitido e il senso, un po’ confuso forse, di aver sfiorato la misteriosa connessione fra sentimenti privati e il loro farsi pubblico.

La commozione di cui voglio dire è riferita a Dave Marsh. Parliamo di un giornalista musicale “storico” (Creem, Rolling Stone, The Village Voice) che andrebbe meglio definito come cultural critic, probabilmente la persona cui si deve l’approfondimento, da parte di Bruce Springsteen, di quell’americanismo profondo, e radical, della roots music che lo ha portato al progetto (disco+tour) The Seeger Sessions. Avevo invitato Dave al convegno su Woody Guthrie che avevo organizzato a Bologna nel 2008: all’epoca – prima della messe di uscite editoriali su Woody più o meno in coincidenza con il centenario dalla nascita, nel 2012 – era uno dei non troppi autori che avevano dedicato libri a Woody.

Il suo intervento riguardava i rapporti fra Guthrie e il Fronte Popolare nella seconda metà degli anni trenta. Coordinavo i lavori dal tavolo della sala congressi della Johns Hopkins e notai che l’emozione nel parlare dell’impegno politico di Guthrie, oltre a far tremare la voce, gli aveva anche fatto venire gli occhi lucidi. Contagioso. Per comune sentire.

Mi pare la stessa commozione che ora affiora in RRC Extra No.41: Dave Marsh on Pete Seeger, un suo bellissimo e personale ricordo di Pete Seeger pubblicato su Rock & Rap Confidential, per me una rivista storica e di culto, ora una sorta di mailing list cui ci si può “abbonare” gratuitamente (basta inviare il proprio indirizzo email a rockrap@aol.com). Dave si chiede se la visione della libertà propugnata da Seeger potrà essere perseguita e sostenuta, e dice di essersene convinto in occasione del tributo dedicato dalla Rock & Roll Hall of Fame a Woody Guthrie nel 1996. Al termine di una serata di trionfi – per Ani DiFranco e le Indigo Girls, per Dave Pirner e Jimmy LaFave, Billy Bragg e Jack Elliott, Bruce Springsteen e lo stesso Pete Seeger – sul palco a cantare «This Land Is Your Land» c’erano proprio tutti, cantanti, conferenzieri, giornalisti e organizzatori (Dave fra loro). Ma il trionfo più grande, dice, fu quel canto corale, soprattutto per lo spirito infuso in un inno nazionale potenziale alla ricerca di un Paese che ne fosse degno. Dave e Pete si ritrovano nei camerini con le lacrime agli occhi. Scrive Dave: «Credo sia stata la prima volta che ho visto il vero Seeger. Era soddisfatto, mi pareva di capire, non tanto perchè la serata aveva celebrato sontuosamente Woody e ciò che aveva rappresentato. Quel che ricordo di aver visto negli occhi di Pete Seeger era un senso di sollievo. Aveva imparato qualcosa, quella sera – se ho visto giusto – qualcosa di importante non solo sul lavoro di Woody, ma sul proprio. Il che voleva dire il lavoro di tutti coloro dai quali aveva appreso qualcosa, e degli altri che a quelli avevano insegnato, dagli schiavi che se ne erano usciti con “O Freedom” a Mother Bloor che aveva scritto la storia dei lavoratori che Woody aveva messo in musica. Ora era sicuro che la gente avrebbe cercato di portarlo avanti, quel lavoro, nelle idee come nella sostanza».

Non aggiungerò tanto di mio su Pete Seeger, se non che – da quel convegno su Guthrie fino all’ultimo paio d’anni impegnati ad insegnare corsi universitari sulle profonde valenze culturali e letterarie dell’American roots music e del folk revival – Pete Seeger, di cui ho esplorato il leggibile e il visibile (bello The Power of Song, il documentario che la Pbs gli ha dedicato qualche anno fa per la serie American Masters) esce senz’altro come la personalità quintessenziale, decisamente strumentale per il nostro sapere su queste fette di storia culturale. Un consiglio, di cuore: trovatevi l’intervento di Dave e leggetevelo, poi andate a sfogliare l’ampio tributo che la Smithsonian/Folkways dedica a Seeger (http://www.folkways.si.edu/newsletter/2014_january_pete_seeger.html). Poi, magari, in un minuto, leggetevi anche il commento di Arlo Guthrie, che Seeger ha svezzato musicalmente e tenuto accanto a sé in ogni occasione, soprattutto, come è logico, ogni qualvolta ci fosse da raccontare Woody (https://www.facebook.com/arloguthrie?fref=ts).

Ne vale la pena.

 

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