Io e «il manifesto»

di Andrea (figlio della Cesira)
Il 28 febbraio 1971 non ero nemmeno nato, i miei genitori si sarebbero sposati da lì a tre mesi e solo tre anni dopo sarei venuto al mondo. Un mio amico toscano direbbe che nel 1971 non giravo ancora “per le palle del mi babbo”.
Salto temporale di circa 25 anni. Sono uno studente universitario fuori sede in quel di Urbino, ho poco più di vent’anni e ricordo con soddisfazione che faticai a risparmiare cinquantamila delle vecchie lire (sottratte al budget per cannabis e qualche buon libro) per l’acquisto di una copia de «il manifesto» che già allora chiedeva sforzi economici ai propri lettori. Quando chiesi la copia del mio quotidiano preferito (che spesso leggevo a scrocco da amici o in emeroteca, procurandomi qualche senso di colpa), l’edicolante prima di accettare una simile somma di denaro da un universitario barbuto e capellone come me, mi squadrò dalla testa ai piedi ed esaminò accuratamente la banconota per timore che fosse un falso: gli diedi del pezzente e pagai.
Ultimo ricordo personale: l’anno scorso non ho potuto prendere parte a una cena di sottoscrizione per il quotidiano poiché da pochissimi giorni era nato mio figlio Mario. Gli ho voluto fare un regalo particolare, ho chiesto agli amici e compagni che organizzavano la serata che gli venisse attribuita una sottoscrizione, che si regalasse un pezzo di libertà di stampa e di dignità: probabilmente è diventato anche il più giovane sostenitore del giornale.
Io nel 1971 non giravo ancora “per le palle del mio babbo”. Facciamo in modo che 41 anni dopo non debba spiegare a mio figlio che le palle del suo babbo girano perché una manica di cialtroni e professori gli ha tolto un pezzo della sua storia e della sua formazione personale.
Primo Ps: Oltre questi aneddoti personali, sono riconoscente alle compagne e ai compagni de «il manifesto» poiché ho imparato il valore del lavoro attraverso gli articoli di cronaca sindacale, le interviste a chi lavora. E l’importanza della lotta dei migranti l’ho imparata sul «manifesto» quando di queste “non persone” nessuno si occupava. Probabilmente devo anche alla lettura di quegli articoli se oggi faccio il sindacalista e in passato ho lavorato per la tutela dei diritti dei migranti.
Secondo Ps: Mi è venuta un’altra ideuzza per aiutare i compagni e le compagne de «il manifesto».  Presente “il sospeso”? E’ una vecchia usanza  napoletana per cui una persona – quando può – entra in un bar, si beve il suo caffè, però ne paga due; il secondo caffè è a disposizione della clientela che entra e chiede “il sospeso”. Beh… oggi ho provato a fare lo stesso. Sono andato in edicola, ho comprato due copie, una l’ho tenuta per me, l’altra l’ho lasciata in Cgil con un biglietto che più o meno recitava così: «QUESTA E’ UNA COPIA OMAGGIO. DOMANI COMPRA ANCHE TU DUE COPIE DE “IL MANIFESTO” E LASCIANE UNA IN UN LUOGO MOLTO FREQUENTATO CON UN BIGLIETTO SIMILE A QUESTO».

UNA BREVE NOTA
Raccolgo il suggerimento del “sospeso” e mi auguro che altre/i giochino con questa bella proposta di Andrea. Che altro posso fare? Non ho (ahimè) la possibilità di abbonarmi però posso offrirmi “aggratisse” per animare cene-feste di solidarietà (quiz, gastronomia e fantascienza, letture, aneddotti giornalistici …. Sono o non sono un jolly?). Questo mio impegno non cancella – come ho scritto altre volte – critiche o disaccordi. Bisogna salvare «il manifesto» perchè resta uno dei “meno peggio” luoghi pensanti  di questo sciagurato luogo dove ci troviamo a vivere. (db)

 

Redazione
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6 commenti

  • Tutto ciò è molto edificante e politicamente corretto. Ed anche un pò ipocrita. Si può evitare di dire quello che “Il Manifesto è dventato? cioè il posticino dove furbetti e furbette -che on fanno più politica da tempo- se la cantano e se la suonano al di fuori di ogni verifica popolare oltretutto dandosi delle grandi -ingiustificate- arie? Vogliamo ricordare la posizione sulla Libia? Ecco quexto a me che l’ho diffuso fa girare le palle.!

  • anch’io ho comprato il numero a 50 mila lire, sono azionista, ma mi sono stancato di fare la questua; manca un piano editoriale serio. Il sistema cooperativa non è stato molto democratico. Megl orimanere solo sul web!

    • caro Cesare e caro Fabio,
      intanto grazie
      poi
      – capisco le vostre critiche e in parte le condivido ma ogni tanto “il manifesto” risulta prezioso: preferirei dunque che fosse anche in edicola
      – può darsi che il mio punto di vista sia offuscato dall’affetto (ma anche quando lavoravo lì sono stato molto critico) e/o dall’età e/o dall’abitudine alla forma cartacea ma, per quel che dipende da me, vorrei che chi passa dalle edicole trovasse almeno un altro punto di vista, fuori dal coro
      – per le ragioni che tante/i hanno scritto in lettere e articoli (mi sono piaciuti assai quelli di Tommaso Pincio e Valerio Evangelisti) credo che la perdita del “manif” sarebbe un danno per ognuna/o di noi; piccolo guaio certo rispetto alle tragedie che corrono… ma se possiamo evitarlo, magari con un euro e cinquanta al giorno, perchè no?
      – so che “il manifesto” ha molte colpe però non attribuiamo a un gruppo di giornaliste/i e intellettuali anche responsabilità che non hanno: la debolezza, la confusione, l’impotenza sono nelle teste di molte/i e questo certo non dipende da ciò che scrivono (o da ciò che non scrivono quando magari, secondo me, dovrebbero)
      Vedo che mi ripeto e dunque mi fermo qui (db)

  • Il Manifesto “non ha molte colpe” sdemplicemente non è un organo di informazione degno di tal nome. Informon has laazione proletaria comunidsta od altro. Non ne ha la dimensione nè l’infouenza nè la diffusione. Malgrado esista da più di 30 anni. Qualcosa vorrà dire al di là delle amicizie che uno può avere. La Storia ed i bilanci bisogna pure che uno li enga in considerazione. Serve il Manifesto in un momento di solitudine ed isolamento della C.O. e del proletariato come mai nella nostra e non dsolo nosra storia? Ai furbetti e furbette che ci lavorano già avanguardie che da decenni non fanno più politica ma i giornalisti (mal pagati certo ma sempre meglio di lavorare) senzaltro. Il Manifesto consente a quesxi generali senza esercito di avere uno stipendio e sopratutto una identità. Posticcia. Con i soldi del parastato. Serve all’informazipone ed al dibattito del proletariato? Non credo proprio. In questa fase politica ci possizmo permettere di mantenere in vita cose decotte che rappresentano solo se stesse ed anche con tanta puzza sotto il naso? Gramsci diceva del comitato centrale del Psi da cui pure veniva”nani ballerine e tromboni”. Insomma seppelliamo quello che è morto. Aria nuova. Non sono questi i posti di lavoro da difendere.

  • Il manifesto è la voce del popolo dei beni comuni, delle battaglie di migranti in tutta Italia, dei No Tav, è un quotidiano che spesso colma la grossa lacuna in politica estera dei giornali cosiddetti mainstream. Le compagne ed i compagni che ci lavorano fanno sforzi da anni per mantenere uno spazio di informazione libera, a volte ci riesce, a volte meno. Ma non mi si venga a tirare in ballo che l’aria nuova di cui abbiamo bisogno è il megafono di una classe proletaria che tale non è più perchè priva di coscienza di classe. Insomma, le cose sono molto più complesse di come ce le disegna Cesare e poi che discorsi sono che non sono questi i posti di lavoro da difendere? Ogni posto di lavoro va difeso.
    Andrea

    • Perepè perepè perepè : ovvero contro la trombetta di chi fa il tifoso non c’è ragionamento che tenga come per esempio i bilanci da fare dopo oltre trentanni di attività che hanno portato una formazione di compagni a dipendere totalmente per esistere dai finanziamenti del parastato. Contano essenzialmente queste regalie elargite dallo Stato per continuare a stampare mentre non conta un accidenti il giudizio di tanti compagni come me che pure diffondevano IL MANIFESTO dall’inizio quando era settimanale. E con il loro distacco -anche nn comprandolo il loro giudizio lo hanno dato.Per non parlare dell’ultima: la vergogna per la posizione sulla Libia. Accodarsi come truppa di complemento ad una aggressione imperialista e neocoloniale. A questo punto chiudere sarebbe una opera pietosa di eutanasia che metterebbe fine al degrado senza fine di un guppo di furbetti e furbette. E del resto la situazione progressiva della diffusione è una sentenza senza appello. Il caro estinto ormai puzza ogni giorno di più meglio seppellirlo e mettere fine ad un equvoco: questa non è la vicenda di una stampa utile al proletariato. Questa è una vicenda che riguarda un gruppetto di opportunisti che si sono imbucati nel parastato e vogliono continuare la poppata alle mammelle della spesa pubblica. Non a nome mio.

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