«Io, torcia umana lanciata contro il Vaticano»

Alfredo Ormando il 13 gennaio 1998 si dà fuoco in piazza San Pietro

di Gian Luca Cicinelli

«Chiedo scusa per essere venuto al mondo, per aver appestato l’aria che voi respirate con il mio venefico respiro, per aver osato di pensare e di agire da uomo, per non aver accettato una diversità che non sentivo, per aver considerato l’omosessualità una sessualità naturale, per essermi sentito uguale agli eterosessuali e secondo a nessuno, per aver ambito a diventare uno scrittore, per aver sognato, per aver riso».
Quando queste parole scritte da Alfredo Ormando cominciano a circolare in Italia il suo autore è già morto, ad appena 39 anni. Si diede fuoco il 13 gennaio 1998 in piazza San Pietro in segno di protesta. Lasciò scritto «contro l’ipocrisia di una Chiesa che demonizza l’omosessualità demonizzando nel contempo la natura». Un suicidio annunciato da centinaia di pagine
La storia di Alfredo, poeta e scrittore, non è quella di un tranquillo borghese che deve fare i conti con una società ipocrita. E’ una lacerazione ben più profonda nel ventre di un’Italia appena uscita dalla guerra, l’Italia contadina della nissena San Cataddu – San Cataldo – in Sicilia, dove ti spacchi la schiena per poche lire e se devi parlare di qualcosa l’urgenza è semplice: la fame, la terra, la sopravvivenza.
Non c’è spazio per la diversità culturale e ancora meno per quella sessuale: è l’Italia del profondo sud che ha accolto lo sbarco americano portando al potere sull’isola le famiglie mafiose che assicuravano agli Alleati il controllo del territorio. Le famiglie comandano sulla terra e sugli uomini, la lotta per un pezzo di pane è l’unico scopo di vita per decine di migliaia di persone. Non c’è posto per parlare di cultura se nasci in una famiglia con padre e madre analfabeti, operai di origini contadine, una famiglia di otto figli in un paese retrogrado e ottuso.
Alfredo Ormando era cresciuto in condizioni economiche molto disagiate, Aveva già tentato tre volte il suicidio per la sua precarietà economica ed esistenziale. Nemmeno due anni di seminario erano riusciti a portare sollievo al sentirsi rifiutato come persona. Alfredo riesce a prendere il diploma di scuola media a venti anni, da privatista, e il diploma magistrale quando ha già 35 anni: ha numerosi libri tra prosa e versi nel cassetto, spesso rifiutati dalle case editrici.
Falliscono anche i suoi tentativi di contatto con le associazioni per i diritti omosessuali nell’isola. Non trova nessuno con cui condividere i suoi tormenti umani e sociali. Perchè la storia di Ormando è prima di tutto – al di là del luogo simbolico in cui ha deciso di concludere la sua vita – una storia di enorme solitudine e abbandono in cui non solo la Chiesa ha responsabilità, come scrive con coraggio gay.it (https://www.gay.it/attualita/news/il-suicidio-di-alfredo-ormando). E lo scrittore affronta questa tema in ogni suo testo: «le mie vicissitudini non sono molto dissimili da quelle che potrebbe vivere sulla propria pelle un individuo del Terzo Mondo. No, la vita non è stata benevola nei miei confronti. Ho sperimentato in prima persona cosa significhi salire e scendere le scale altrui, sentirsi un maruchien nel proprio paese … vivere all’ombra di mia madre, essere umiliato, vilipeso, osteggiato, emarginato e porre fine ai miei giorni con il suicidio». (Alfredo Ormando,
L’escluso; Sotto il cielo di Urano; Epigrammi priaprei e non; Aforismi 1998). Ad Alfredo Ormando la laurea verrà conferita postuma alla memoria dalla facoltà di Scienze della Formazione di Palermo
Tutta la vita di Ormando sembra dunque convergere verso l’unico sbocco in piazza San Pietro del 13 gennaio 1998. La sera prima aveva detto alla madre che intendeva recarsi a Roma, aveva chiesto i soldi in prestito a un amico. Appena arriva in piazza si versa addosso la benzina nei pressi del colonnato del Bernini. Avvolto dalle fiamme inizia a correre verso il centro della piazza. Un agente di polizia cerca di spegnere le fiamme con la giacca.
Il Vaticano rilasciò un comunicato stampa nel quale affermava che Alfredo Ormando si era tolto la vita per problemi familiari e non legati alla condizione omosessuale. Neabche una parola di umana pietà. Il vice portavoce di allora della Sala Stampa vaticana, Ciro Benedettini, negò l’esistenza di un nesso fra l’omosessualità di Ormando e il luogo scelto per la sua fine: «Nella lettera trovata addosso a Ormando non si afferma in nessun modo che il suo gesto sia determinato dalla sua presunta omosessualità o da protesta contro la Chiesa. Le cause vanno ricercate in non meglio precisati motivi familiari». Presunta omosessualità: sino alla fine e oltre la fine l’oltraggio di non riconoscere il diritto all’autodeterminazione sessuale di una persona. Una smentita che afferma molto più di quanto neghi.
Da una lettera inviata a un amico poco prima di morire: «Sono stufo di vedermi isolato, emarginato. Che vale vivere quando non si è amati e rispettati? Ho l’amore materno e quello di… ( segue il nome dell’amico – NDR) ma ciò non copre l’ostracismo della gente e persino dei familiari. È troppo, non riesco a trovare un motivo valido per dare un senso alla mia vita, magari un appiglio tenue, banale […] Mi sento un appestato, un lebbroso con i suoi campanelli legati ai piedi per avvisare la gente di stare lontana da me… Perché devo vivere? Non trovo una sola ragione perché io debba continuare questo supplizio […] Nell’aldilà a nessuno farò drizzare i capelli ed arricciare il nasino perché sono un omosessuale […] Non capisco questo accanimento contro di me. Non svio nessuno dalla retta via dell’eterosessualità, chi viene a letto con me è maturo, cioè adulto consenziente e omosessuale o bisessuale. A volte basta davvero poco per essere felici e altrettanto poco per essere degli infelici. Per me il discorso è diverso: è da quando avevo dieci anni che vivo nel pregiudizio e nell’emarginazione; ormai non riesco più ad accettarlo, la misura è piena».
Seguendo questo link trovate il testo integrale dell’ultima lettera di Alfredo Ormando https://amedit.me/2016/01/13/alfredo-ormando-io-torcia-umana-lanciata-contro-il-vaticano/
IN “BOTTEGA” cfre Scor-data: 13 gennaio 1998

  

MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.

Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.

La redazione – abbastanza ballerina – della bottega

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

2 commenti

  • Se il sangue scorrerà, quando la spada incontrerà la carne,
    seccandosi al sole della sera,
    la pioggia di domani laverà via le macchie
    Ma qualcosa rimarrà per sempre nelle nostre menti

    Forse questo ultimo atto è destinato
    a ribadire una fondamentale verità:
    che dalla violenza non può e non è mai potuto nascere nulla

    Per tutti quelli nati sotto una stella arrabbiata
    per paura che ci dimentichiamo quanto siamo fragili

    La pioggia continuerà a cadere su di noi
    come lacrime da una stella, come lacrime da una stella
    La pioggia continuerà a dirci
    quanto siamo fragili, quanto siamo fragili

    La pioggia continuerà a cadere su di noi
    come lacrime da una stella, come lacrime da una stella
    La pioggia continuerà a dirci
    quanto siamo fragili, quanto siamo fragili
    quanto siamo fragili, quanto siamo fragili

    If blood will flow when flesh and steel are one
    Drying in the color of the evening sun
    Tomorrow’s rain will wash the stains away
    But something in our minds will always stay

    Perhaps this final act was meant
    To clinch a lifetime’s argument
    That nothing comes from violence and nothing ever could

    For all those born beneath an angry star
    Lest we forget how fragile we are
    On and on the rain will fall
    Like tears from a star
    Like tears from a star
    On and on the rain will say
    How fragile we are
    How fragile we are

    On and on the rain will fall
    Like tears from a star
    Like tears from a star
    On and on the rain will say
    How fragile we are
    How fragile we are
    How fragile we are
    How fragile we are

    https://youtu.be/lB6a-iD6ZOY

  • giuseppe callegari

    Sono alto, atletico, biondo con gli occhi verdi. Abito a Bologna, in una palazzina al secondo piano e ho quattordici anni. I miei amici continuano a parlare di ragazze, sembra una scalata: “Le ho dato un bacio sulle labbra e lei mi ha messo la lingua in bocca”, “Le ho toccato i seni, le ho messo le mani dentro le mutande e poi, la sera, ho riempito un foglio di scottex per non sporcare le lenzuola”. Ascolto, cerco di essere interessato, ma ho altri pensieri, e se penso alle labbra di qualcuno, ne sogno due incorniciate da una peluria incolta. La scuola è terminata, abbiamo organizzato la tradizionale festa di fine anno. Ci sono i ragazzi anche delle altre classi e molte femmine sembrano interessate a me. Non sono particolarmente loquace e il gruppo si sfoltisce. Rimane solo Giulia. È sempre rimasta in silenzio e sembra invitarmi ad alzare il sipario del mio palcoscenico. Mi ha conquistato e decido di fidarmi. Le confesso che non sento nessuna attrazione per lei e per nessuna altra femmina e che i miei desideri erotici sessuali si rivolgono ai maschi. Mi ascolta attonita e il suo viso si trasforma: la simpatia, la curiosità e l’interesse sono velocemente sfrattati dalla sorpresa, il rifiuto e il ribrezzo. Si allontana, quasi correndo, e la sento bofonchiare: “Che schifo!” Rimango da solo, ma non per molto, perché, in pochi minuti, divento il protagonista della festa. Intorno a me, sguardi sadici e crudeli di giudici implacabili, risolini nascosti ed esibiti, dita che mi indicano e corpi che compiono danze irrisorie. Qualcuno vuole guadagnarsi l’encomio e la decorazione in questa olimpiade della lapidazione. Inizia la gara per guadagnare il podio: “Guarda se doveva capitare una checca in mezzo a noi”, “L’ho scampata bella tutte le volte che ho pisciato al suo fianco”, “Chissà che bello prenderlo nel culo”, “Ma vai via, schifoso, vai a farti fottere!” Decido di non assistere alle premiazioni e vado via. Quando arrivo a casa, ho gli occhi rossi e gonfi e i singhiozzi non mi permettono di respirare. La mia cattolicissima mamma, devota del beato Wojtyla, sta leggendo Oscar Wilde, il suo autore preferito. Si accorge che è successo qualcosa di grave e smette la lettura per chiedermi spiegazioni. Addirittura, mio padre interrompe la visione della partita di calcio. Mi fanno sedere al centro del divano, accarezzandomi e abbracciandomi. Lentamente il nodo alla gola si scioglie, i singhiozzi si fanno meno intensi e permettono alle parole di dare una forma a frammenti e sensazioni che avevo sempre nascosto. Ma con il dipanarsi della matassa che celava il mio segreto, non sento più le carezze, l’abbraccio diventa meno intenso e perde la sua forza protettrice. Quando finisco di parlare, mia madre sta ticchettando le dita sulle ginocchia e mio padre, a braccia conserte, spostato ai bordi del divano, sentenzia: “Non preoccuparti, è una malattia che si può curare, non baderemo a spese, cercheremo i migliori specialisti.” La donna che mi ha messo al mondo, mentre una lacrimuccia le lava l’imbarazzo, annuisce convinta, a intervalli regolari. Sono in trappola, non vedo vie di uscita, ma la strada me la indicano loro, quando mi invitano ad andare in bagno per rinfrescarmi, ripetendomi che tutto si risolverà, perché un ragazzo alto, bello e muscoloso come me, non può essere un omosessuale. Se c’è un errore bisogna riavviare il programma. Ubbidisco, chiudo la porta a chiave, prendo il rossetto di mia madre e uso lo specchio come quaderno. Apro la finestra e, prima di diventare brandelli di carne sul selciato, mi sento un angelo, a cui sono spuntate le ali che mi porteranno lontano dalla ottusa e tetra prigione umana.

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