Irruzione al campo rom di Selargius

di Massimo Casagrande (*)

È di ieri (12 novembre) la segnalazione di una perquisizione di massa al campo Rom di Selargius. Appena ne sono venuto a conoscenza – dal tam tam degli amici – mi sono attivato per capire cosa può essere successo. La prima ricostruzione parziale parlava di una perquisizione capillare, quasi grottesca, con i carabinieri entrati in tutte le baracche a cercare qualcosa, che però non hanno trovato.

In un primo momento sono rimasto esterrefatto dal racconto e non ho creduto fino in fondo alla ricostruzione, mi sembrava amplificata dal passaparola. Non è possibile che qualcuno entri in un villaggio e perquisisca in modo indiscriminato e non regolato tutte le case. Le voci dicevano che non era stato mostrato un mandato, e comunque non credo si possa emettere un atto giudiziario non personale ma relativo a entità anonime come un insediamento abitativo. Come dire che si possa fare irruzione in tutte le case del mio quartiere perché qualcuno ha detto che da quelle parti potrebbe trovarsi della refurtiva, o che si controllino tutti gli appartamenti del mio palazzo perché magari ho la sfortuna di avere vicini di casa con precedenti penali. Provate a pensarvi in questa situazione e capirete immediatamente il mio stupore e la mia incredulità.

Ero da un’amica che meglio di me conosce gli abitanti del Campo. Ormai era sera, molti Rom lavorano con la raccolta dei rottami di ferro e vanno a letto molto presto, per cui abbiamo provato a vedere se c’era qualcuno on line. Naturalmente a quell’ora abbiamo trovato su facebook solo i più giovani, gli adulti riposavano. Qui mi è arrivato il pugno nello stomaco più grande. Alla richiesta di informazioni, l’adolescente che ci ha risposto ha detto «Sì, mi hanno detto che sono venuti, ma io ero a scuola. Un controllo, normale amministrazione». Un controllo come questo nelle parole di una ragazza che vive nel campo Rom diventa un raggelante «normale amministrazione». E io, a questa ragazza delle scuole superiori, come le spiego che di normale una cosa del genere non ha nulla? Come le spiego che i diritti sono uguali per tutti e a casa mia quegli stessi carabinieri sarebbero venuti solo con un mandato? Le dovrei dire che io e lei siamo diversi, ma questo è falso, non lo possiamo essere davanti alla Legge. Non ho provato neanche a spiegarglielo, ho solo sentito la rabbia di vedere l’ennesima sospensione dei diritti dei Rom che in Italia diventa «normale amministrazione».

Questa mattina ho verificato almeno le grandi linee della vicenda. Ho chiesto a uno degli amici che vivono nel campo. La prima ricostruzione dei fatti era niente rispetto alla realtà. Ieri mattina, 12 novembre 2013, un ingente gruppo di carabinieri ha fatto irruzione nel campo Rom di Selargius. Si parla di più di dieci pattuglie, forse addirittura quindici. I militari hanno perquisito tutte le case, sono entrati in ogni privata abitazione. Quando sono arrivati a quella di un suo amico, la giovane sorella (ha appena raggiunto la maggiore età) ha chiesto di vedere il mandato di perquisizione. La risposta è stata: «Noi siamo carabinieri speciali, non ne abbiamo bisogno. E poi per chiedere queste cose bisogna essere adulti». Il mandato non l’hanno mostrato, ma in compenso hanno preteso di controllare il frigorifero (ci sarebbe da ridere su questo, se non fosse drammatico il fatto che a ridere ci si sono messi loro dopo averlo controllato, forse non si aspettavano di trovare la stessa marca di succo di frutta che usano i loro bambini…). È stato intimato anche di mostrare immediatamente tutto il denaro e gli oggetti di valore posseduti dalla famiglia.

Non sappiamo cosa stessero cercando, ma quello che è certo è che i campi Rom sembrano sempre più terre di nessuno dove i diritti dell’individuo non contano, dove i cento abitanti non hanno diritto a un nome e a un’abitazione individuale, ma sono solo “un gruppo”, soggetto unico e indistinto, e come tale trattati, senza neanche il diritto di sapere perché, qual è la loro colpa, oltre a essere nati Rom. Sono sicuro che i militari stessero facendo il loro lavoro e avessero le loro ragioni per fare quello che hanno fatto, ma sono altrettanto certo che la Costituzione Italiana non può permettere che questo sia il modo di farlo.

Intanto tutto tace, nessun articolo è uscito sui giornali perché i Rom sono lontani, relegati non solo ai margini fisici della nostra società, ma soprattutto ai margini giuridici e morali, e quando ci si ricorda di loro forse hanno molte ragioni per rimpiangerlo. Posso solo fare una riflessione, ascoltando i racconti e ricostruendo l’accaduto: nel mio personale immaginario a vergognarsi non devono essere i Rom, perché una volta di più hanno dimostrato che la dignità è un bene prezioso anche nella terra di nessuno, sono “gli altri” che questo proprio non vogliono capirlo.

(*) Massimo Casagrande fa parte dell’Asce (Associazione sarda contro l’emarginazione). Dopo questo suo breve comunicato-racconto si è saputo che i Rom sono stati invitati nella centrale dei carabinieri di Quartu a firmare un verbale in cui si conferma che non è stato trovato nulla nelle loro case, ma ancora non è chiaro se il mandato ci fosse o meno. Ufficialmente cercavano un rom (nel frigorifero?) di Monserrato.

 

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