Junior voleva essere un bambino

di Margherita Bo (*)

BambiniCONGO-coltan

Quanto costa il vostro smartphone? Badate bene, non mi riferisco a quanto lo paghiamo, che quello lo sappiamo tutti, parlo del suo costo umano, dell’impatto che la sua produzione ha sulla vita degli altri. Rispondere a questa domanda è un po’ più complesso e richiede di risalire di qualche gradino la catena produttiva. Su fino agli stabilimenti Apple in Cina ad esempio, quelli che persino l’oramai leggendario Steve Jobs rifiutò di visitare o ancora più su, fino alla Repubblica Democratica del Congo.

Il Congo è un paese enorme, grande quanto tutta l’Europa Occidentale, ed estremamente generoso: vi si trovano tutti i minerali conosciuti in natura, tra cui l’80 per cento del coltan estratto nel mondo.

Il coltan è una sabbia nera leggermente radioattiva essenziale per la produzione di dispositivi high-tech come i nostrismartphone. L’estrazione del coltan è concentrata nella regione di Kivu, all’estremo est del Congo, di gran lunga la regione più ricca di risorse del Paese, ma anche la più povera nonché la più tormentata da oltre vent’anni di guerre volte ad accaparrarsi le sue immense ricchezze. L’area, lontana dalla capitale Kinshasa al punto da essere nei fatti terra di nessuno, è controllata da fazioni di guerriglieri che, terrorizzando e trucidando la popolazione, hanno assunto il monopolio di queste preziosissime risorse.

È il caso delle principali miniere di coltan dell’area, Bisiye e Walikale, controllate da Fdlr (Forces Démocratiques pour la Libération du Rwanda). In queste miniere, che sono buchi nella terra nei quali i minatori (spesso bambini) si calano per scavare, i guerriglieri richiedono una tangente sul coltan raccolto, che andrà a finanziare le armi necessarie alla guerra. In seguito questo viene trasportato nelle città di Rubaya o Goma e da qui parte per il Ruanda, dove finalmente viene acquistato dalle principali multinazionali del settore high-tech. Il fatto che venga acquistato in Ruanda e non in Congo, tra l’altro, non è casuale: è in Ruanda che avviene la prima transazione ufficiale e tracciata del materiale, il primo passaggio “pulito”. Il fatto di trasportare il coltan dal Congo al Ruanda infatti serve proprio a questo: “ripulire” il materiale, sfumare il legame fra il coltan (e quindi i nostri telefoni) e le guerre, i soprusi, lo sfruttamento legati alla sua estrazione. Peccato solo che in Ruanda non vi siano giacimenti del materiale, rendendo tale manovra goffa e sfacciata al punto da risultare crudele.

È proprio qui che sta il principale dramma legato al coltan: proviene quasi tutto da un Paese soltanto, con la conseguenza che con volontà e impegno sarebbe possibile pretendere e garantire una sua tracciabilità. Con il Kimberley Process è stato possibile regolamentare il commercio dei diamanti per evitare che questi finanzino la guerra. Con il coltan dovrebbe essere più semplice e invece gli interessi di signori della guerra e multinazionali possono agire indisturbati, cullati dal silenzio dei media, mentre il sangue versato per il suo controllo viene attribuito a guerre tribali, un problema loro, che non ci tocca, non ci riguarda.

Da qualche settimana per me il costo umano di uno smartphone ha un nome e un volto: si chiama Junior e ho avuto il privilegio di incontrarlo presso il Centro Studi Sereno Regis di Torino in occasione della presentazione del suo libro «Si ma vie d’enfant soldat pouvait être racontée».

Junior è un ex bambino soldato. Nelle guerre per il controllo di territorio e risorse, sono molti i bambini costretti a imbracciare il fucile. Nato nei pressi della regione di Kivu, Junior è stato rapito a scuola dai guerriglieri a soli dieci anni per essere trasformato in un soldato e costretto a combattere, rapire, uccidere.

Junior, col suo sorridere dolcemente di amarezza agli sguardi partecipi di chi lo ascolta, a guardarlo dà l’impressione di essere un’anima sospesa tra il sollievo di essersi salvato e l’angoscia per la consapevolezza che quell’inferno, per qualcuno, esiste ancora.

Penso questo mentre lui parla del suo tredicesimo compleanno, quando, durante un’azione di guerra, si è trovato con il busto di un suo compagno tra le braccia. La parte inferiore era stata portata via da un razzo. O quando, poco dopo, stava decapitando una donna incinta: temeva che sotto il vestito nascondesse una trasmittente con cui aggiornare il nemico. Junior, terrorizzato, andava avanti per inerzia, aggrappandosi alla promessa che veniva fatta a lui e ai suoi compagni: vinciamo questa guerra e vi manderemo in Europa, lì vi cureranno i traumi e tornerete bambini.

Junior e i suoi compagni rivolevano la propria infanzia al punto che quella guerra l’hanno poi vinta, era la prima guerra civile del Congo. Ma non c’è stata l’Europa per loro, solo una miseria e un abbandono tali da far desiderare un’altra guerra che potesse almeno sfamarli. Né uomini né bambini, non potevano essere altro che soldati. Una nuova guerra è infine arrivata, conducendoli fino all’inferno angolano delle mine antiuomo. Partirono in più di tremila per l’Angola, ne tornarono quattrocento. Junior era tra loro ma era come fosse morto, forse avrebbe preferito esserlo. Poco più che bambino era già sopravvissuto a innumerevoli orrori tra cui due conflitti armati, l’essere prigioniero di guerra (dove tutto ciò che si concedeva a un prigioniero erano 150 frustate a colazione e carne di corvo per gli altri pasti) e il rischio di venir giustiziato dai suoi compagni perché, per assaporare qualche istante di normalità e corteggiare una coetanea che aveva perso la famiglia a causa dei miliziani, si travestiva da studente qualunque sebbene vestirsi da civile rappresentasse ammutinamento, punito con la morte.

La guerra, almeno per Junior, è finita: distintosi per le sue azioni fino a diventare la guardia del corpo di un Colonnello, è riuscito a ottenere da questo la libertà e ora, con la sua associazione Paix pour l’enfance aiuta i bambini vittime della guerra, garantendo loro anche l’accesso allo studio. Junior a modo suo ha continuato a combattere. Combatte ogni giorno contro l’inferno dello sfruttamento e della guerra con le armi più potenti: il cuore e le parole. E così racconta, racconta per sensibilizzare, per aprire gli occhi, perché la conoscenza è potere. Potere di capire, di non voltare la testa, di avere il coraggio di desiderare un mondo migliore.

PER APPROFONDIRE:

Il Kimberley Process è la normativa internazionale che regola l’estrazione e il commercio dei diamanti per garantire che i proventi non vadano a finanziare guerre civili: http://www.kimberleyprocess.com/

Per saperne di più su Junior Nzita Nsuami e la sua iniziativa: https://paixpourlenfance.wordpress.com/

Riguardo le guerre legate al coltan, date un’occhiata al documentario «Blood in the mobile»; in rete trovate facilmente il trailer.

(*) Scritto «Post Spritzum», pubblicato su rivoligiovani.it e rilanciato da sereneregis.it. Io l’ho ripreso – con le immagini e con la nota seguente – da «Comune Info». DA LEGGERE –  Coltan, chi lo nomina e chi no Daniele Barbieri: qualche osservazione su come i “grandi” media raccontano l’Africa. (db)

 

Redazione
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2 commenti

  • Ammazza cher storia, viè voja de tornà all’anni ’80 senza smart, i-phone e tutte l’artre cazzate che la gente ce và a rota de forum de culo, de social de ‘sto cazzo e de call-arroste!! La colonna sonora di questo dramma dovrebbe essere un pezzo famoso di John Coltrane.

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