Kashmir: un appello al papa

di Zahoor Ahmad Zargar (*)

Zahoor Ahmad Zargar (https://it.wikipedia.org/wiki/Zahoor_Ahmad_Zargar) leader della Comunità Islamica Italiana, kashmiro di nascita, da sempre impegnato attivamente per la pace e i diritti umani, ha inviato un appello a Papa Francesco perché rivolga, pubblicamente, un pensiero alla popolazione del Kashmir privata improvvisamente e unilateralmente dal Governo indiano della libertà e dei diritti della persona.

La storia del Kashmir sotto occupazione indiana è molto complessa. Come sappiamo, dopo la fine della colonizzazione inglese, l’India si è divisa tra India e Pakistan. Allora, lo stato di Jammu e Kashmir, che aveva un suo proprio re, è stato lasciato libero. A quel punto, però, dei gruppi tribali appoggiati dal Pakistan hanno invaso il Paese. Il re, impaurito e senza armi adeguate, ha chiesto l’aiuto dell’India per difendersi. Il conflitto, da allora, non è stato mai definitivamente risolto, nonostante le guerre tra India e Pakistan. Una parte del Kashmir è rimasta sotto il Pakistan e una parte sotto l’India, che ha garantito delle autonomie e un Parlamento legislativo, escludendo da quel Parlamento locale solo le questioni di politica estera, difesa e moneta. Nel tempo, ci sono state numerose risoluzioni ONU, mai prese in considerazione, che invitavano India e Pakistan a permettere un plebiscito tra la popolazione, considerando anche il principio di autodeterminazione dei popoli. Negli ultimi trenta anni, tra l’altro, sono morte nel Kashmir occupato dall’India circa centomila persone. Più di diecimila persone, inoltre, mancano all’appello perché, uscite per andare al lavoro oppure arrestate, non sono mai tornate a casa. In Kashmir, ci sono migliaia di vedove chiamate mezze vedove perché non sanno più nulla del loro marito. Dal 2012, i soldati indiani usano contro chi protesta le “pellet gun”, pistole, proibite negli altri Paesi, che sparano pallini che colpiscono viso, occhi, e altre parti del corpo, rendendo le persone, specialmente i giovani, anche se vive, disabili per tutta la vita.

Zargar, molto preoccupato anche del rischio di un’altra guerra tra India e Pakistan, che sarebbe, questa volta, nucleare, ha, dunque, inviato il messaggio che segue al Papa.

Savona, 27 agosto 2019

 

Sua Santità, Papa Francesco,

come Lei saprà, improvvisamente, dal 5 agosto 2019, la popolazione del Jammu e Kashmir, occupato dall’India, è sotto assedio. Il Governo indiano ha revocato unilateralmente, senza alcun motivo scatenante, lo status speciale garantito fin dagli anni ’50, e ha diviso lo Stato stesso in due parti, eliminando le autonomie e inglobandolo direttamente sotto il potere del Governo indiano.

Nove milioni di persone sono sotto assedio.

Infatti, è stato istituito un severo coprifuoco che comporta non poter uscire di casa e che i negozi siano chiusi, come le scuole, gli uffici ecc. La gente ha paura: le strade, bloccate con filo spinato, sono zeppe di soldati indiani (più di 700000) che imbracciano armi pesanti (il Kashmir è il paese più militarizzato al mondo).

Il Governo indiano ha interrotto tutte le comunicazioni: non funzionano le linee telefoniche, né fisse né cellulari, non c’è internet, tutti i mass media sono sotto controllo.

I Kashmiri all’interno del Paese non sanno cosa stia succedendo nel Kashmir stesso, né chi è fuori dal Paese può mettersi in contatto con i suoi parenti e amici per avere loro notizie. Mancano le medicine, le persone non possono andare all’ospedale, se necessario, perché rischiano che gli venga sparato, e, intanto, negli ospedali, manca il personale perché non tutti riescono a recarsi al lavoro anche se di emergenza.

Secondo le stime delle organizzazioni nazionali e internazionali non governative, che cercano di raccogliere con grande difficoltà qualche informazione, le persone incarcerate a scopo preventivo sarebbero 4000, dai 16 anni in su, compreso leader politici di tutti i partiti, persino quelli filoindiani. I giovani, in particolare, vengono prelevati nelle case durante la notte e condotti in carcere senza motivo, se non quello che un domani potrebbero ribellarsi e protestare. I genitori dei giovani maschi sono nella disperazione, tanto più che, secondo una legge, detta PSA, antilibertaria e antidemocratica imposta dall’India, le persone possono restare in carcere fino a due anni senza processo.

È stata, inoltre, soppressa la libertà religiosa: i luoghi di culto sono chiusi e la gente, se non raramente e in minuscole strutture, non può recarsi liberamente a pregare.

La situazione è così grave che i rappresentanti dei Partiti dell’opposizione nazionale indiana, tra cui il Partito del Congresso ( il movimento politico dei Gandhi), sono arrivati all’aeroporto di Srinagar, capitale del Kashmir, per visionare la situazione, che il Governo Indiano aveva definito “buona”. Essi sono stati respinti e a loro non è stato concesso neppure l‘ingresso nel Paese.

Io vengo da Srinagar, vivo in Italia da più di trenta anni, ormai sono Italiano. Ma i miei parenti vivono tutti là e, dal 5 agosto, non so più nulla di loro, come succede a migliaia di altri Kashmiri che si trovano fuori dal Paese. Non so se i miei cari stiano bene, se possono mangiare, curarsi, se i loro figli siano in salvo o no.

Sua Santità, le chiedo, dato che Lei si è schierato sempre con gli oppressi e ha dato sempre voce a chi non ce l’ha, di utilizzare la sua Diplomazia e di domandare al Governo indiano di togliere tutte le restrizioni dei diritti e della libertà della persona. Desideriamo tutti che il popolo inerme possa tornare a svolgere pacificamente la sua quotidianità.

Distinti saluti

dottor Zahoor Ahmad Zargar

Savona

(*) Come già segnalato dopo l’articolo di Sunil Deepak – Kashmir: il Paradiso imprigionato – la discussione in “bottega” è aperta: grazie dunque a chi invierà commenti o articoli. Approfitto per correggere un piccolo errore nel precedente articolo: gli articoli abrogati sono 370 (non 340 come scritto) e 35A. [db]

NELL’IMMAGINE UNA VECCHIA MAPPA

 

Redazione
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Un commento

  • Daniele Barbieri

    SEGNALO QUESTO COMUNICATO DI AMNESTY INTERNATIONAL

    #LETKASHMIRSPEAK: AMNESTY INTERNATIONAL LANCIA UNA CAMPAGNA PER CHIEDERE AL GOVERNO INDIANO DI PORRE FINE AL BLACKOUT DELLE COMUNICAZIONI IN KASHMIR
    Amnesty International India ha lanciato la campagna #LetKashmirSpeak per porre fine al prolungato blackout delle comunicazioni in Kashmir e mettere in luce gli alti costi umani dell’assalto alle libertà civili in corso da un mese.
    “Il blackout va avanti ormai da un mese e sta avendo un grave impatto sulla vita quotidiana della popolazione del Kashmir, sulla salute fisica e mentale, sull’accesso a cure mediche e ad altri servizi primari e di emergenza”, ha dichiarato Aakar Patel, direttore di Amnesty International India.
    Sebbene sia stato annunciato il ripristino delle linee telefoniche terrestri, l’obsolescenza di questo servizio faciliterà ben poco le comunicazioni per gli otto milioni di abitanti del Kashmir.
    “Se in molti distretti del Jammu la situazione sta migliorando, la maggior parte del Kashmir è ancora sottoposta a un forte blackout delle comunicazioni. Privare un’intera popolazione del suo diritto alla libertà di espressione, di opinione e di movimento per un periodo di tempo indeterminato è come riportare indietro la regione di secoli. Da un mese a questa parte il governo indiano continua a dire che va tutto bene, ma non abbiamo sentito nessuna voce di conferma dal Kashmir. Questo è il segnale che non va tutto bene. Facciamo parlare il Kashmir”, ha aggiunto Patel.
    Il 2 settembre, intervistato da “Politico Magazine” il ministro degli Esteri dell’India S. Jaishankar ha dichiarato: “Era impossibile interrompere le comunicazioni tra i terroristi senza che questo avesse un impatto in tutto il Kashmir. Come avrei potuto tagliare le comunicazioni tra i terroristi e i loro capi da un lato e tenere aperto Internet per la popolazione comune dall’altro lato?”
    Amnesty International India riconosce che il governo possa avere legittimi problemi di sicurezza tali da giustificare, in determinate circostanze, limitazioni ragionevoli alla libertà di espressione. Ma il blackout delle comunicazioni in corso non è compatibile coi criteri di necessità, proporzionalità e legittimità stabiliti dall’articolo 19 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, di cui l’India è stato parte.
    Quel blackout sta privando l’intera popolazione del Kashmir del diritto alla libertà di espressione e di opinione e dell’accesso alle informazioni: si tratta di una forma di punizione collettiva nei confronti di otto milioni di persone. La mancanza di trasparenza nei criteri usati per interrompere tutti i servizi di comunicazione e sui meccanismi disponibili per contestare la legittimità di tali provvedimenti pone l’India in chiara violazione dei suoi obblighi internazionali.
    Nel frattempo, dalla regione trapelano drammatiche notizie su servizi di medicina d’emergenza non presidiati, arresti di massa, rastrellamenti notturni di bambini e giovani, torture e uso di proiettili di gomma e pallini da caccia contro i manifestanti. A ciò si aggiungono il massiccio spiegamento di forze armate e la sensazione generale d’incertezza dei componenti delle famiglie che non riescono ad avere contatti gli uni con gli altri.
    Le azioni contro la libertà di stampa hanno ulteriormente inasprito il blackout delle comunicazioni. Il giornalista e scrittore Gowhar Geelani è stato arbitrariamente bloccato all’aeroporto di Nuova Delhi mentre stava per prendere un aereo diretto in Germania. Tre noti giornalisti sono stati costretti a lasciare i loro alloggi governativi.
    “Considerata la cronica impunità per le violazioni dei diritti umani in Kashmir di cui le forze di sicurezza hanno beneficiato in passato e l’attuale mancanza di accesso alle informazioni provenienti dalla regione, la situazione richiede che il blackout delle comunicazioni sia tolto al più presto e che la popolazione del Kashmir possa riavere la parola ed essere ascoltata. Siamo di fronte a un blackout non solo dei mezzi di comunicazione ma anche a una repressione del cuore e delle menti dei kashmiri”, ha concluso Patel.
    Roma, 5 settembre 2019
    Il sito della campagna #LetKashmirSpeak: https://amnesty.org.in/take-action/put-humanity-first-lift-the-communications-lockdown-in-kashmir/

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