Kossino Assassiga

Non consentirò più – disse con tutta l’arroganza di cui era capace – che sui muri delle città si legga “Cossiga assasssino”.

Non ricordo se quel giorno oppure prima aveva chiesto chissà a chi: e poi perchè scrivono Cossiga con la K?
La risposta era semplice ma lui fingeva di non saperla: come negli Usa (che lui diceva di amare) avevamo preso l’abitudine – noi del movimento ribelle – a riscrivere con la K quelli che ci sembravano dalla parte dell’Amerika che, in patria come all’estero, seguiva le orme del Ku Klux Klan. Noi invece eravamo con “l’altra America” quella che tenace, coraggiosa si opponeva, disertava, sabotava, che portò le bandiere del nemico (i vietcong) in testa alle sue manifestazioni. E così facendo quell’altra America aiutò il nemico a vincere ma lei stessa vinse, sconfiggendo – almeno per un po’ –  l’Amerika.
Torno alla periferia dell’impero. Italia.
Anno 1977 (dopo Cristo se contate come fanno qui ma in altri Paesi prefericono dire dell’Era comune).
Torno a Francesco Cossiga.

Kossiga.

Anche se lui era una delle più fedeli incarnazioni di tutto quello che detestavamo, quella volta – che appunto ci intimò di non scrivere più “Kossiga assassino” – gli ubbidimmo. Però fu l’unica volta. Gli ubbidimmo e da quella notte stessa i muri di Roma (e di altre città) si riempirono di enormi e colorati “Kossino Assassiga”. Così tante ne facemmo in quei giorni che, ancora pochi anni fa, se ne vedevano a Trastevere o San Lorenzo: scritte resistenti al tempo e ai tentativi di cancellazione. Nel frattempo Kossiga era diventato presidente  della repubblica con il plauso delle sinistre perbene (imbecilli, masoschisti o complici?) che poi finsero di stupirsi quando venne fuori una certa storia su Gladio, sui golpisti pronti al via (dell’Amerika appunto) che non arrivò ma loro comunque dettero un bell’aiuto ai vecchi fascisti assassini prima e poi ai nipotini neofascisti i quali si fecero valere mettendo bombe nelle banche, sui treni, nelle piazze, nelle stazioni.
“Kossino assassiga”. Avevamo ancora voglia di scherzare, nonostante tutto. Ed era giusto ridicolizzarli, mostrarli com’erano: marionette senz’arte. Ci battevamo contro la violenza del potere con ironia disarmante. Non ragionavamo come loro, i governanti e le false opposizioni. Non eravamo maggioranza ma tante/i sì, nate e nati alla politica nel 1968  e con la capacità – ma che fatica e quanti errori – di trovare compagne e compagne, fratelli e sorelle fra i più giovani ma anche tra i più vecchi. Intorno a noi crescevano le Brigate Rosse ma noi eravamo contro di loro perchè quella logica guerriera ci sembrava simile a quello contro cui ci battevamo: da qualche parte lessi “Il terrorismo è uno Stato in piccolo” mentre – così proseguiva quella frase di chissà chi – “lo Stato è un terrorismo in grande” e noi infatti continuammo a opporci a entrambi. Eravamo ancora tante/i dietro lo striscione “Nè con lo Stato nè con le Br” in corteo il giorno che rapirono Aldo Moro e ne uccisero la scorta. Disarmati resistemmo finchè potemmo mentre da una parte e dall’altra si sparava: lo Stato e le Br sparavano a volte contro i combattenti nemici ma più spesso nel mucchio, colpendo chi passava di lì. Come si fa in ogni guerra: muoiono soprattutto i civili. Non ci arruolammo. Fummo sconfitti. Noi del movimento ribelle e tutte/i quelli che volevano una società più giusta uscimmo da quella guerra sconfitti. Non del tutto, non per sempre. Molte e molti di noi non si sono arresi. Continuiamo chi con il lavoro sociale e chi con le arti, chi a livello individuale e chi in una qualche forma collettiva: nè con lo Stato, nè con le Br ammesso che il primo esista ancora (oggi sembra solo un gruppazzo mafioso) e che le seconde sopravvivano a se stesse.
Perciò anche oggi non ci siamo pentiti di avere scritto “Kossino assassiga”. Anche oggi lo rivendichiamo. Non dimentichiamo. Io non credo giusto che lo si perdoni, neanche oggi.
Io lo ridico anche oggi: “Kossino assassiga”.
Soprattutto non ci siamo pentiti di aver lottato. Come scrisse Abbie Hoffman (era uno dell’altra America in lotta contro l’Amerika):

“Certo eravamo giovani
eravamo arroganti
eravamo ridicoli
eravamo eccessivi
eravamo avventati
eravamo sciocchi
ma avevamo ragione noi”.

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

11 commenti

  • …e Andreoso Mafiotti, tanto per non perdere il vizio della memoria. Anche se per par condicio occorrerebbe scrivere D’Alente Perdema e Fassoso Comatino

    Eh, che triste vita…anzi che viste trita!

  • forte.
    se un giorno decidessimo di dar vita a quel supplemento 77 che ti dicevo, magari lo includiamo. per me e altri come me che per età o provenienza sanno poco degli anni di piombo, sono testimonianze interessanti.

  • Ci sono avversari che meritano rispetto.
    Enrico Berlinguer per esempio, che pure fu complice e carnefice insieme al cugino Kossiga della repressione carnale e penitenziaria del movimento dei ribelli. Ebbe però il coraggio e nessuna convenienza politica di dire agli operai che occupavano la Fiat nell’estate dell’80 che se avessero occupato la fabbrica il Pci, comunque contrario, li avrebbe coperti.
    La lotta partigiana ci ha insegnato che i morti non sono tutti uguali, chi muore per impedire ad altri di essere liberi non è uguale a chi muore per consentire anche ai carnefici di poter esprimere il loro disprezzo per la libertà.
    Kossiga ha disprezzato la libertà altrui fino all’ultimo, nascosto sotto le mentite spoglie del simpatico vecchietto un po’ rinco e cabarettista. Il 22 ottobre 2008, mentre si diffondeva il movimento dell’Onda, dichiarava al Quotidiano Nazionale: “«Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand`ero ministro dell`Interno».

    Ossia? «In primo luogo, lasciare perdere gli studenti dei licei, perché pensi a cosa succederebbe se un ragazzino rimanesse ucciso o gravemente ferito…».

    Gli universitari, invece? «Lasciarli fare. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città».

    Dopo di che? «Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri».

    Nel senso che…

    «Nel senso che le forze dell`ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano».

    Anche i docenti? «Soprattutto i docenti».

    No, i morti non sono tutti uguali.

  • Giuliano Bugani

    Anche le troie di stato passano. Prima o poi.

  • “Certo eravamo giovani
    eravamo arroganti
    eravamo ridicoli
    eravamo eccessivi
    eravamo avventati
    eravamo sciocchi

    MI FERMEREI QUA, TOGLIENDO L’ULTIMO VERSO E SOSTISTUENDOLO CON QUESTO:

    “Infatti, pur avendo ragione noi, ce la siamo fatta mettere nel * proprio da gente come Cossiga”

    Giusto per concordare con la tesi di Daniele secondo cui “Ci battevamo contro la violenza del potere con ironia disarmante”. Aggiungerei “disarmata”, ma neppure quella “armata” (dei terroristi) ha potuto fare molto.

    In ogni caso il “coccodrillo” migliore in data odierna sull’emerito (che era pure sardo) è di Dalla Chiesa, cui rimando per una mia opinione condivisa e comunque rispettosa di un personaggio della Storia.

    • Ecco un passaggio storico (e una visione del Potere e della rivolta, dunque del mondo, della vita) sul quale non concordo con Enrico Pili.
      Capiterà di riparlarne, magari di litigare, chissà di chiarirci però mi auguro che sarà proprio nel cuore della prossima, necessaria ribellione di massa.
      Continuo a pensare che “avevamo ragione noi”.
      Se per vincere (ma cosa c’è in palio allora?) bisogna diventare mostri… io preferisco perdere. Come scrisse Garcia Marquez in “100 anni di solitudine” (cito a memoria, senza verificare le parole esatte): “Per combattere efficacemente i militari sono diventati come loro. E nessuna buona causa vale questo orrore”.
      A proposito dei ritratti di Kossiga sui quotidiani che oggi ho letto, spicca – è ovvio – “il manifesto” che si affida a tre vecchi articoli di Luigi Pintor e in prima pagina intitola con un ironico Kordoglio ma merita un’attenta lettura anche Angelo D’Orsi (sia su “Il fatto” che su “Liberazione”) che, con il rigore dello storico vero, ricorda e analizza. Pochi invece rammentano la definizione di “lepre marzolina” (venne da Tania De Zulueta, allora corrispondente romana di “The economist”) che spiegò i vantaggi del fingersi pazzi, specie per sfuggire alle indagini e magari alla coscienza (per chi ce l’ha). Ancor meno giornalisti spiegano casa davvero fosse Gladio oppure citano fra virgolette quanto Kossiga suggerì (al quotidiano “Il resto del carlino”) rispetto alle ultime proteste degli studenti, robette così: “Maroni dovrebbe fare come feci io (…) Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrando il movimento con agenti provocatori pronti a tutto e lasciare per una decina di giorni che i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città (…) forti del consenso popolare (…) il suono dele sirene e delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri, nel senso che le forze dell’ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti all’ospedale”. Un vero uomo di Stato, un vero cristiano. E anche se quasi tutti i media la nascondono per molte e molti di noi Kossiga è per sempre incatenato alle foto (e al breve filmato) che coraggiosamente un fotografo (e i radicali) mostrarono dopo l’assassinio di Giorgiana Masi: un poliziotto con la maglietta a strisce che, pistola in mano, fa avanti e indietro, fra polizia e manifestanti, sparando ora da una parte e ora dall’altra”. Alle immediate accuse che quel 12 maggio del 1977 c’erano poliziotti in borghese a sparare contro manifestanti disarmati (io quel giorno c’ero e posso testimoniarlo), Kossiga aveva subito urlato che se fosse stato provato si sarebbe dimesso. Quando un quotidiano – se la memoria non mi tradisce il primo fu “Il messaggero” – mostrò quelle foto si rimangiò quella bella frase. Bugiardo e vile, come sempre. Salvo ammettere 30 anni dopo, “come feci io”. (db)

      • Nel rimandare al “coccodrillo” di Dalla Chiesa – su tutti i giornali – mi sembra di aver chiarito con sufficiente chiarezza il mio gradiente di “simpatia” nei confronti di Cossiga, con o senza K. Tuttavia, non posso condividere nè il tono, nè il linguaggio, nè la stessa sostanza dei ragionamenti di chi – come Daniele o come i giornalisti del Manifesto (memori evidentemente dell’indegno “necrologio” di fondo che fece Pintor per Agnelli: indegno, perchè le persone, specialmente da morte, si rispettano sempre, perchè gli insulti, specialmente post mortem, sono di chi ha perso perchè evidentemente non aveva argomenti convincenti per vincere…) approfittano di un evento luttuoso per sfogare la loro rabbia di perdenti. E dunque, qui sta il punto. Il c.d. movimento ribelle – sono pochi, isolati e molto “ingenui” quelli che coerentemente furono “ribelli” tanto che “coerentemente” ora vivono con un miserabile stipendio e alcuni neanche con quello -, i ribelli, dunque, pervicacemente, ostinatamente, direi anche candidamente continuano a ripetersi “che avevano ragione”. Beh, senza dilungarmi troppo, sintetizzo quel che i libri di storia (come “storia” è Kossiga)dicono, di qualsiasi orientamento politico essi siano: avevano ragione in una cosa, a ribellarsi.
        Il punto è che non basta.
        Chi ci ha tentato più seriamente del “movimento ribelle” sono state le Briate Rosse. E meno male – questo “meno male” lo dicono anche i “ribelli” – che i vari K le hanno sconfitte… o mi sbaglio?
        Ma il punto è ancora un altro. Visto che “avevano ragione” (a voler abbattere il capitalismo), che cosa avrebbero fatto se la ragione fosse stata loro riconosciuta? Io francamente non ne ho idea, posso presumere che quelli (non imbolsiti) “molto ingenui” e “sani” e integri moralmente avrebbero fatto molta confusione, naturalmente per il bene della classe lavoratrice e dei morti di fame. Posso presumere, ma non hanno mai detto “come” e “con chi”. Dunque, domanda finale: in che cosa – a parte “ribellarsi” – avevano ragione?

  • Caro Pili, rispettare i morti significa dire la verità sul loro operato, per quello che si può e sapendo che è sempre una verità parziale. Cossiga è stato uno dei responsabili della cancrena della democrazia, del populismo leghista o berluscoide, della militarizzazione del territorio, dell’impunità dei crimini della Polizia, della trasformazione in farsa di tutto quello che pertiene alla sfera dello Stato e delle Istituzioni. Così come Craxi è stato il responsabile della distruzione del partito socialista forse più glorioso d’Europa e della erezione a sistema della tangente e della corruzione/concussione. Rispetto le loro morti, non i ruoli che avevano in vita e nemmeno le persone che erano da vive. Rispetto il mistero della morte, ovunque, comunque e per chiunque esso si presenti. Ma i morti che suscitano la mia com-passione sono altri. Anche la morte è di classe. Che poi le BR siano state sconfitte da Kossiga o dallo Stato può anche essere mezza verità; l’altra mezza è che proprio lo Stato aveva lasciato loro campo libero per criminalizzare il movimento operaio e studentesco e bloccare ogni tentativo di cambiamento, anche in senso riformista, figurarsi rivoluzionario. Vedo poi che anche a sinistra (posto che questa espressione ormai significhi altro da una pura posizione spaziale) non si perdono le vecchie abitudini: vorrei capire come il bollare da “perdenti che sfogano la loro rabbia” coloro che non la pensano come noi faccia progredire almeno di un millimetro qualunque dibattito civile in questo sciagurato paese.

  • Il mio disaccordo con il nuovo post (si dice così?) di Enrico Pili è pressochè totale.
    Ovviamente sarei poco cortese (con un amico e una persona che stimo anche per la capacità di stare lontana dalle stanze del Potere) se ora lo accusassi di cinismo, ignoranza e smemoratezza.
    E comunque rischierebbe di essere una lunga-lunga discussione a 2 (grasso che cola… a 4-5). Molto mi interessa invece ragionare della prossima rivolta e di quel che faremo. Spero che avverrà presto. Nel kaos c’è possibilità, nello stagno si muore. Non è una metafora: il sistema del Kapitale (senza opposizione neppure timidamente riformista) sta uccidendo noi e persino il pianeta.
    Chiarisco solo un punto, visto non mi piace passare per cattivo (semmai caaaaattivo per rubare la battuta a Malcom X che la diceva con il tono di voce di Jerry Lewis): non ho aspettato che Kossiga morisse per dar sfogo al mio risentimento (di perdente? per molti versi mi considero un vincente, per esempio per avere rispettato la dignità e l’etica che ho liberamente scelto).
    Ho creduto giusto – immaginando il coro vergognoso di santificazione per un golpista confesso- ricordare quello che, per me, è il vero Kossiga.
    Mi spiace Enrico non sono d’accordo che in morte bisogna perdonare. Non sempre. Un colpevole non diventa innocente morendo, un boia resta tale.
    E tanto per chiarire questo punto. Ho scritto che spesso le Br uccisero “innocenti” ma anche quando colpirono il potere al cuore io non mi sento di riconoscere loro nessun merito. Sono contro la pena di morte e contro l’aggressione; la violenza è legittimata solo in casi estremi, per legittima difesa. Però fra le vittime delle Brigate Rosse vi furono persone che non meritavano alcun rispetto nè da morte nè da vive. Sbagliato ucciderle ma dopo morte trasformarle in santi non si può. Fece scandalo un verso di Giorgio Gaber, ma aveva perfettamente ragione: Moro era tut’altro che un innocente. (db)

  • Caro dibbì,

    tra complici e carnefici con tutte le kappa del caso, per quanto riguarda Cossiga mi limito a un banale “pace all’anima sua”. Gli anni di piombo li ho vissuti a Milano da bambino e adolescente essendo nato nel 1969 e sono contento che P38 rosse e nere siano state sconfitte. Intervengo qui solo per citare e sottoscrivere: “se per vincere bisogna diventare mostri, preferisco perdere”. In altro contesto storico, questo è per me il senso del racconto “Thor meets Captain America” di David Brin, che chi vuole può leggere qui: http://www.davidbrin.com/thor1.htm

    Grazie dibbì, Andrea

Rispondi a Enrico Pili Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *