La banalità del pene

di Gianluca Cicinelli

La Chiesa di Svezia, di orientamento luterano, ha deciso di non rivolgersi più a Dio al maschile. Dio, ci fanno sapere, non è nè uomo nè donna per cui elimineranno ogni forma di genere nell’invocarlo; ecco, già l’ho scritto al maschile, ma il precetto svedese entrerà in vigore da Pentecoste 2018, quindi al momento non è peccato (*).

A voler essere fiscali già nel 2001 il cardinal Ratzinger, prima di diventare Papa, in un libro-intervista curato da Peter Seewald, aveva affermato che Dio non è nè uomo nè donna, è al di là dei generi, anzi è «il totalmente altro». Gli investigatori anglosassoni chiamano le prove «body of evidence», letteralmente corpo del reato. Nel caso in questione è proprio il corpo che manca, anche il reato ma soprattutto il corpo.

Restiamo in Svezia, da sempre avanguardia nella correttezza del linguaggio e delle politiche relative al genere, anche se poi proprio a fronte di questa visione progressista non si capisce perché in Italia la disparità di salari fra uomini e donne sia del 7,3% in meno per le donne e in Svezia del 15,2% (secondo dati Ue del 2016). Lo svedese, oltre al maschile e femminile, ha anche il genere neutro. Han e Hon significano rispettivamente Lui e Lei mentre il pronome Hen, adottato da alcune pubblicazioni più radicali a partire dagli anni ‘60, permette di parlare di una persona senza fare riferimento al suo genere. Esistono diverse proposte di legge in Parlamento per abolire i primi due generi definitivamente dalla grammatica. La differenza tra Hen/Dio e Han e Hon non è però soltanto linguistica e politica, perché nel caso di Han e Hon i corpi ci sono; e qualcuno pensa seriamente in Svezia e nel resto del mondo che l’esistenza dei corpi – intesa come convivenza tra corpi di diverso genere, promiscuità – costituisca da sola la perpetrazione di una sorta di reato o di immoralità? Fino a qualche anno fa era soltanto la Chiesa, sia alcuni rami protestanti che quella cattolica, a pensarlo. Adesso l’attacco al corpo proviene da molti fronti.

Posso parlare con cognizione di causa del mio genere soltanto. Nel mio caso il genere biologico maschile e la soggettiva percezione che ho di me stesso coincidono. Vado quindi in giro da sempre portandomi dietro, anzi davanti, il mio pene. Averlo con me non mi rende nè euforico nè depresso, ce l’ho e basta… penis in latino significa coda. Eppure non funziona così semplicemente nel mondo e puntualmente, ogni volta che riaffiora il tema della violenza sessuale, si rinnova un dibattito intorno al pene riducendolo a spirito molto più che a carne.

Viviamo in una società fallocratica, in cui il pene è espressione di un potere esercitato con discriminazione e talvolta con violenza. La sua simbologia è ovunque, a cominciare dagli obelischi e per tutto ciò che si erige parliamo di simbologia fallica, almeno dando retta a Sigmund Freud e a Jacques Lacan. Fertilità, origine della vita, insomma il pene in maniera mendace, nonostante nei fatti costituisca soltanto metà dell’origine della vita la rappresenta per intero nella cultura dominante. Si contano oltre mille sinonimi per indicare il pene contro i circa quaranta utilizzati per riferirsi alla vulva. In alcuni linguaggi – in siciliano per esempio – viene declinato al femminile mentre i genitali femminili sono indicati con un sostantivo maschile. Strati di archeo-antropologia millenaria depositati tramite percorsi culturali difficili da ricostruire con certezza semantica, ma sostanzialmente concordi nel rivelarci come il dominio dell’uomo sulla donna sia stato e venga tuttora sancito dal significato extra corporeo attribuito al pene. Extra corporeo.

Faccio un passo indietro per rimettere il corpo al suo posto in questa storia. Mi piacciono le donne, in generale quelle che non conosco e alcune in particolare con cui questo piacere è diventato anche sesso oltre che amore (in qualche caso solo sesso). Ormai sento quasi l’esigenza di scusarmi col mondo per questa persistenza del mio essere e – cosa più “grave” – non sono pentito. Mi spiego meglio. Talvolta incontro sconosciute completamente vestite e nonostante ciò quel labirinto di trabecole di collagene, elastina e muscolatura liscia che forma i corpi cavernosi interni al mio pene si riempie di sangue che comincia ad affluire provocando un’erezione.

Da questo punto in poi comincia il dibattito. E’ giusto o non è giusto ciò? Di sicuro non è l’amore a muovere questo flusso di sangue nella parte centrale del mio corpo. E’ quello il momento in cui comincia la mia identificazione con il maschio stupratore? E’ il possesso di un pene funzionante che da solo giustifica la sterminata letteratura che fa coincidere il desiderio con la sopraffazione dell’altro? Ed ecco che entra in gioco la cultura, intesa come analisi sulle relazioni e rapporti di fatto nella vita, non come lettura di libri. C’è chi pensa che il fatto stesso di possedere un pene rappresenti qualcosa di più di una potenzialità da stupratore e io con queste persone non voglio avere niente a che fare (è come dire che tutti i siciliani sono mafiosi). Pratico il separatismo da chi pensa ciò.

La cultura dicevamo. La cultura mi impedisce di pretendere che alla mia eccitazione corrisponda una eccitazione nell’altro. Naturalmente lo stupratore, il molestatore vero non se lo pone proprio il problema di che pensa l’altro cioè l’altra. Eppure anche un maschio che si ritiene attento a capire il sentire altrui casca in errore. Mi è capitato di molestare una donna più giovane di me, non di persona ma con due sms erotici non corrisposti: non ci sono scuse che tengano, anche se ho fatto le mie scuse alla persona. Mi è costato una grande amicizia a cui tenevo molto (non era la destinataria dei messaggi, che conoscevo appena) ma ripeto che non ci sono scuse che tengano. Ci ho provato, ho raccontato mie fantasie che speravo fossero condivise e lei si è sentita molestata. Il suo sentirsi offesa rende oggettivamente molestia il mio gesto, su questo non ho dubbi e rifletto da allora con grande dolore su come sia stata possibile da parte mia una tale mancanza di empatia. Racconto senza che nessuno me l’abbia chiesto questo episodio esponendomi alla riprovazione pubblica perché costituisce comunque una tappa di crescita importante della mia vita. Non è certo l’unico errore che ho commesso e non credo alle rette persone che non sbagliano mai. Questo è un altro punto importante della discussione.

Molte altre volte, di persona, ho confessato a una donna in modo diretto e civile il mio interesse per lei. In alcuni casi le mie attenzioni erano ricambiate e in altri no. Percepisco però nell’aria che non tutti la pensano così. Leggo nei commenti sui social interpretazioni diverse della questione, come se anche la mancata corresponsione amorosa in presenza di attenzioni civili in automatico costituisca molestia. Sono fallace e contraddittorio perché sono umano e ho il pene; e sto qui a parlarne con voi. La cultura mi permette di capire, tranne purtroppo che nel caso citato, in un ambito relazionale quando si tratta di afflusso sanguigno – ai corpi cavernosi di natura esclusivamente fantasiosa confinata nel giammai – e quando c’è la possibilità di provocare … altrettanto flusso sanguigno periferico, con il corteggiamento o con le parole. Perché in ogni caso a me piace provocare eccitazione nell’altro quando esiste la possibilità di una corrispondenza di sensi. E non ho alcuna intenzione di rinunciare a questo aspetto della vita, della mia vita. L’isteria – e parlo anche dei maschi sia chiaro – che sovrintende l’argomento è giunta a un punto che rischia di promuovere una repressione sessuale che (in questa parte del mondo) sembrava confinata agli anni ’60. Siete/siamo quindi sicuri che parlare in astratto delle persone e della complessità delle loro relazioni, descrivere uomini/maschi senza la loro proprietà corporea, “archetipizzando” un pene generico a valore negativo e di minaccia, sia la strada culturalmente più avanzata? La mia risposta è un no secco. Togliere il genere maschile a Dio attiene alla sfera della logica, togliere il pene personale per attribuirne uno generico a tutti gli uomini è follìa.

(*) forse la faccenda è un pochino più complicata: cfr La Chiesa di Svezia e le fake news sul sesso di Dio [db]-

LE DUE VIGNETTE DI ALTAN SONO STATE SCELTE DALLA REDAZIONE.

ciuoti

Un commento

  • Anche se come dice DB la questione svedese è più complessa e passata dal tritacarne mediatico che ne altera, stravolge e modifica geneticamente il senso (come sempre fa il fake-world capitalista del terzo millennio), mi piace molto quest’articolo, principalmente per un motivo. Perché è una narrazione fatta di terra e carne e si sente la presenza del corpo che parla. E non perché sono d’accordo teoricamente con tutto quello che dice, ma a me di solito interessa la prima cosa più che la seconda (i corpi più che le teorie).
    Sono necessariamente d’accordo comunque con questa frase: “Adesso l’attacco al corpo proviene da molti fronti”. E’ la guerra principale a mio parere che stiamo combattendo, nostro malgrado, anche contro noi stess*, all’interno del fake-world di cui sopra.
    Gianluca (l’altro)

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