La bellezza degli zombie: Apocalipse Wow

Marx e Foucault hanno qualche legame con gli zombie? Molti, visto che i poteri si basano sul terrore e che, come ricorda Franco la Polla (storico del cinema) il soprannaturale è la conseguenza di una radicata tradizione di paura che il potere ha coltivato e instillato nel corso dei secoli. Ma oggi – 2011 dC (o Era Comune) come contano certuni – il terrore del non reale ha preso altre forme e del resto anche i Poteri giocano su un arco differente di paure.
Siamo a pagina 81 di «L’alba degli zombie» ovvero «Voci dall’Apocalisse: il cinema di George Romero»  (270 pagine per 17 euri) un libro scritto a 6 mani da Danilo Arona, Selene Pascarella e Giuliano Santoro per la Gargoyle Books, una casa editrice che da anni si muove sui sentieri dell’orrore. Il discorso di Franco La Polla (citato e sviluppato da Arona) come i successivi appunti «per una filosofia politica degli zombie» di Santoro, come le stupefacenti citazioni di Bush junior, Rumsfeld o degli studenti francesi scovate da Selene Pascarella sono il versante sfep (storico, filosofico, economico, politico) del volume che a volte invsade anzi sommerge il versante thc (ma cosa andate a pensare? è la sigla di Tutto Horror Cinefilo). Nel settore dei morti viventi si incontrano – su schermo e/o in libreria – anche vere schifezze ma, state accuorti, perchè (cito Valerio Evangelisti) ci sono opere che meritano «una sorta di religioso rispetto, anche perchè di una bruttezza talmente sconcertante da scivolare nel surrealismo inconsapevole». Per capirsi: se il signor P2-1816 e la sua banda invece che fingersi veri e commettere crimini autentici fossero solo in cerca di scrittura e applausi sarebbero una spazzatura al massimo grado possibile, dunque sublime.
Ma i due infermieri che oggi mi sorvegliano già mi hanno avvisato che non devo svicolare sull’attualità politica (o sul parallelismo Haiti-Arcore) e dunque torno al libro citato senza divagare come vorrei.
«L’alba degli zombie» è una chicca ovviamente per i romero-ani (c’è pure l’intervista finale) ma dovrebbe risultare interessante anche per chi cerca metafore o segnali nella nuova stagione massmediatica degli zombie – in dura lotta con i vampiri peraltro – che si annuncia appunto a cavallo fra il 2011 e il 2012.
I tre saggi-base sono ben fatti. Più pretenzioso, narcisista, a volte impreciso e qualunquista (specie quando annuncia, tra le fanfare, di buttarsi a sinistra) ma divertente e utile quello di Paolo Arona; molto più informati e suggestivi quelli di Selene Pascarella e Giuliano Santoro.
Fra tanta saggezza anche a Santoro e Pascarella sfuggono affermazioni incaute. Chiedo al primo se sia davvvero certo di ciò che lascia intendere a pagina 155, ovvero che il «cibo locale» – in quanto «immune alla contaminazione» – sia terreno fertile per le nuove destre. Io ritengo che questa affermazione sia vera solo in piccola parte vera, dunque vada presa con le pinze. Lo dico quantomeno per il versante italiano: conosco molti che (come consum-attori o consapevoli produttori) difendendono le tradizioni gastronomiche non coca-colonizzate e non mi sembrano proprio dalle parti della Lega Nord.
Piccola polemica anche con Pascarella. Mai buttar lì (pagina 170, per esempio) frasi tipo «secondo una recente statistica» senza indicare una fonte; rende poco credibile tutto il resto che invece è documentato, intelligente, ricco di suggestioni.
Piccoli nei e/o disaccordi a parte è un libro da gustare. Provo a immaginare un profano o profana di horror (e dintorni) che, leggendolo, si trovi a fare i conti con paragrafi intitolati «il risveglio della morte come aggressione pandemica» e «stress umano o autismo zombie?» oppure con un’alluvione di note (225 per l’esattezza) che spaziano da Benjamin a Zizek, da Spivak a Dawkins. Se resisterà al rigetto iniziale (magari con la tipica frase: «troppa cultura per due filmettacci») scoprirà che i «morti viventi» sono fra noi in molti diversi ambiti. E che – come lo stesso George Romero – ama ripetere quella contro gli zombie è «una guerra contro noi stessi». Molte storie di zombie, ricorda Selene Pascarella, ci sbattono in faccia una dura novità: «L’ipotesi più orribile non è morire ma sopravvivere in un mondo dove i confini tra morte e vita sono crollati e ogni valore va rinegoziato».

Redazione
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3 commenti

  • Marco Pacifici

    EMPAA e mi piace assai assai…

  • Credo che lo vorrò comprare…

  • Ciao Daniele,
    grazie per la recensione, non dubitavo della tua sensibilità intellettuale.

    Rispondo alla domanda che mi poni. Come puoi immaginare i dieci anni a Carta mi hanno insegnato che c’è tanta bravissima gente che si occupa di “cibo locale” e che non è razzista. Le riflessioni che seguono dunque fanno parte di un dibattito permanente con molti compagni, non sono affermazioni apodittiche.
    La mia ipotesi è che gli zombie rivelano che non esista più un altrove, non è un altrove neanche l’inferno o l’aldilà. Dunque, immaginare di costruire un luogo immune ed esterno allo sfruttamento mi pare una pia illusione.
    Se poi questo spazio si deve confrontare con le cosiddette “tradizioni”, che come mi insegni spesso sono inventate ex post e rielaborate, o – peggio ancora – con non meglio definite “identità locali” la cosa si fa problematica.
    Amo molto la soppressata e adoro il dolcetto d’alba, ma non penso che questi servano a fare la rivoluzione, ecco. Vuol dire che le identità non esistono? No, vuol dire che esse – come insegnava Gramsci – sono soggette continuamente a tensioni e forse contrapposte, e che quindi sono in continuo mutamento.
    E, come gli zombie insegnano, forse dovremmo cercare di capire come funzionano i poteri su di noi, come combatterli e in cosa vogliamo trasformarci – noi, le nostre identità e le cose che mangiamo – invece di scervellarci per scoprire qual è la nostra “identità”.
    Un abbraccio, maestro!
    G.

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