La buona, vecchia fantascienza cosmologica

   Recensione ad «Absolution Gap» di Alastair Reynolds

Reynolds-copertina

Non ero sicuro di arrivare a pagina 665 ma poi il ritmo e i personaggi mi hanno incastrato. Insomma mi è piaciuto. Potete leggere «Absolution Gap» (è in edicola come Urania Jumbo: 674 pagine per 9,90 euri; traduzione di Alessandro Vezzoli) di Alastair Reynolds come l’ultimo di una trilogia o tranquillamente a sé, come ho fatto io.

Una delle buone notizie è che, assai lontano da qui e in un tempo che potrebbe essere il 2566, ancora si ascolterà Bach. Le cattive notizie sono parecchie. Per esempio, se dobbiamo credere a un certo Quaiche, che «nel corso di 600 anni di viaggi spaziali l’umanità non aveva mai incontrato nulla di lontanamente simile a una civiltà intelligente in grado di servirsi di strumenti tecnologici» (ma avrà ragione Quaiche?) però «un tempo civiltà di questo genere erano esistite: le loro rovine erano sparse su decine di pianeti e non solo una civiltà ma almeno otto o nove, e questo a prendere in considerazione solo il mucchietto di sistemi a poche decine di migliaia di anni luce dalla Terra». Fra gli scomparsi anche i Lepismiani: «erano l’incubo dei tassonomisti», con centinaia di varianti anatomiche perché, nel desiderio di diventare «i più atipici possibile», grazie alla bioingegneria «si scambiavano a vicenda parti dei corpi».

Dopo un prologo assai incuriosente, il romanzo di Reynolds (un passato da astrofisici e si sente) si aggroviglia su diversi scenari: Ararat; nello spazio con «Ascensione Gnostica»; su Hela «dove un giorno durava 40 ore, un’orbita completa intorno al gigante gassoso Haldora»… La domanda che più avvince Reynolds, come annota Giuseppe Lippi nella breve nota finale, è questa: «perché crollano o scompaiono i popoli che fiorivano tra le stelle?». E quali doni – o invece trappole mortali – ci lasciano?

Nulla dirò della complessa trama e ancor meno svelerò i misteri, anche tecnologici, o le tante mutazioni fra gli esseri umani. La parola «assoluzione» ha molti significati ma certo a chi legge questo romanzo resterà impressa la lunga scena nella quale – per un “interesse superiore” – uno dei protagonisti è costretto a uccidere la persona che più ammira.

Qualche segnalazione sparsa. La grande differenza muscolare fra sorridere «a comando» e spontaneamente. Occhio ai fabbricanti di conchiglie. C’è anche «una forma di autismo alla rovescia». Cosa pensate della religione dei «Numericisti», convinti che esista «un Dio per ogni classe di numeri»?

In definitiva sull’autore sposo appieno quanto ha detto Sandro Pergameno nell’intervista a Vincent Spasaro (è qui: Narrator in fabula? Sesta puntata): «Alastair Reynolds riesce a combinare trame avvincenti e grandiose, idee tecnologiche all’avanguardia e avventura classica in una maniera davvero perfetta. Peccato che le sue opere siano sempre molto lunghe (600-700 pagine) e che ciò pregiudichi, assieme al costo dei diritti e delle traduzioni, la loro pubblicazione in Italia».

 

danieleB
Un piede nel mondo cosiddetto reale (dove ha fatto il giornalista, vive a Imola con Tiziana, ha un figlio di nome Jan) e un altro piede in quella che di solito si chiama fantascienza (ne ha scritto con Riccardo Mancini e Raffaele Mantegazza). Con il terzo e il quarto piede salta dal reale al fantastico: laboratori, giochi, letture sceniche. Potete trovarlo su pkdick@fastmail.it oppure a casa, allo 0542 29945; non usa il cellulare perché il suo guru, il suo psicologo, il suo estetista (e l’ornitorinco che sonnecchia in lui) hanno deciso che poteva nuocergli. Ha un simpatico omonimo che vive a Bologna. Spesso i due vengono confusi, è divertente per entrambi. Per entrambi funziona l’anagramma “ride bene a librai” (ma anche “erba, nidi e alberi” non è malaccio).

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