La contrazione del presente, la ruota del criceto e..

… la promessa dell’eternità

Recensione di Alberto Melandri (*) a «Accelerazione e alienazione. Per una teoria critica del tempo nella tarda modernità» di Hartmut Rosa

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Con un titolo del genere si potrebbe pensare a un testo ostico, appetibile solo da professori di filosofia, chiusi dentro le proverbiali torri d’avorio, ma non è così: Hartmut Rosa, filosofo e sociologo tedesco, riesce a parlare di argomenti complessi con rara concretezza e semplicità suscitando riflessioni, pensieri critici; aiutandoci a comprendere il funzionamento del mondo in cui viviamo, almeno della parte che tendiamo a denominare l’Occidente (ma quali sono i confini dell’Occidente in un mondo globalizzato?) in quella che lui chiama «la tarda modernità».

Rosa parte chiedendosi che cos’è l’ACCELERAZIONE SOCIALE: «Si ha l‘impressione che gli atleti corrano e nuotino sempre più veloci (..) i computer eseguono calcoli a velocità sempre più elevate, i trasporti e la comunicazione necessitano oggi di una frazione minima del tempo che avrebbero richiesto un secolo fa, le persone sembra che dormano sempre meno (alcuni scienziati stimano che il tempo medio dedicato al sonno sia diminuito di due ore dall’Ottocento a oggi e di trenta minuti dagli anni settanta al nuovo millennio)».

Questa accelerazione è suddivisibile in tre distinte forme: tecnologica (trasporti, comunicazione, produzione), dei mutamenti sociali e del ritmo di vita.

L’accelerazione dei mutamenti sociali è caratterizzata, secondo Rosa, da una «crescita nei ritmi di decadenza dell’affidabilità di esperienze e aspettative» ma anche da quella che lui definisce «la contrazione del presente». Si chiede per quanto tempo oggi rimangano stabili elementi come «indirizzo e numero di telefono degli amici, orari di apertura di negozi ed uffici, le rate di assicurazione e gestori telefonici, la popolarità delle star televisive, dei partiti e dei politici, il lavoro delle persone (..) e le loro relazioni?».

L’accelerazione del ritmo di vita è caratterizzata dal desiderio e dal bisogno di «fare più cose in meno tempo» o di farle contemporaneamente, «come cucinare, guardare la tv e fare una telefonata allo stesso tempo».

L’accelerazione tecnologica potrebbe portare a un aumento del tempo libero e quindi «dovrebbe far rallentare il ritmo della vita»; il tempo dovrebbe abbondare, ma in realtà diventa sempre più scarso. Rosa spiega questa contraddizione facendo riferimento al motore sociale della competizione che ci porta, in momenti come quello attuale, a «correre più che possiamo per stare nello stesso posto», al motore culturale che Rosa definisce «la promessa dell’eternità» ma anche «la prigionia della ruota del criceto» cioè «la ricerca di una “vita buona”, di una vita realizzata, ricca di esperienze consentendoci la realizzazione del maggior numero possibile di opzioni fra le innumerevoli possibilità offerte dal mondo».

In questo mondo «chi è veloce vince e guadagna, chi è lento rimane indietro e perde». E ancora: «Oggi non basta più raggiungere la posizione che ci si è prefissati nella competizione: lavori e famiglia non durano tutta la vita» e il riconoscimento sociale non dura per sempre ma «è qualcosa che va riconquistato ogni giorno».

Per tutte queste ragioni Rosa considera l’accelerazione come «una nuova forma di totalitarismo» perché «esercita pressioni sulla volontà e le azioni dei soggetti, è impossibile sfuggirgli, è onnipervasivo, è difficile criticarlo e combatterlo».

L’accelerazione quindi porta all’alienazione, cioè a «non volere realmente ciò che stiamo facendo», a sentirci estranei allo spazio in cui viviamo, caratterizzato dai “nonluoghi” di cui parla Marc Augé, da oggetti che se si rompono non possono più essere riparati e che ci rimangono estranei: «un’auto che avete voi stessi aggiustato, calzini che avete voi stessi cucito, sono cose che vi appartengono di più (..) in breve diventano parte del vostro vissuto quotidiano, della vostra identità e storia» ma questo non accade con automobili, computer, vestiti, telefoni che buttiamo via «prima ancora che si siano fisicamente esauriti».

Walter Benjamin, già un secolo fa, distingueva Erlebnissen – episodi di esperienza che non lasciano un segno dentro di noi – e Erfahrungen, cioè esperienze rilevanti per la nostra storia, che ci toccano e ci modificano: Benjamin diceva che viviamo in un mondo in cui sono sempre più frequenti le prime e rare le seconde. Ed era un secolo fa. Oggi Rosa ci dice che l’uomo medio nelle prime due ore della giornata incontra tante persone quanto il suo predecessore ne incontrava in un mese nella sua comunità. Ma la saturazione provocata da questi contatti ci rende difficile entrare “in risonanza” con queste persone e ci porta a forme di distorsione e di alienazione dagli altri e anche dal nostro io. Di questo relazionarsi parlerà Hartmut Rosa nel suo prossimo libro «Resonanz» già uscito in Germania ma non ancora tradotto in italiano.

(*) Alberto Melandri è del Cies Ferrara e di Pontegradella in transizione

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