La danza del qui e del là

di Giulia Zoboli

Mi sono innamorata del Senegal prima di conoscere mio marito. Poi il destino, o chi per lui, ha deciso che quel paese sarebbe diventato parte integrante della mia vita.Andare in Senegal come viaggiatrice è molto diverso dal frequentarlo come moglie di un uomo senegalese. Proprio come accade nei rapporti di coppia, ho ben presto scoperto che non sono più innamorata del Senegal ma che ho intrapreso un lungo percorso che, con un po’ di fortuna e molta volontà, dall’innamoramento mi sta facendo passare al vero e proprio amore.

Fortuna e volontà sono ingredienti fondamentali perché io e Boubacar abbiamo fatto la faticosa scelta di provare a vivere a cavallo tra i nostri paesi. Abbiamo deciso di non chiedere l’uno all’altra di rinunciare alle proprie radici ma di imparare a conoscere due lingue, due paesi e due culture per poi trasmetterle ai nostri figli, in modo tale da dare basi forti alla loro doppia identità.

Dopo questa premessa, provo a condividere come vivo questo ruolo di moglie di un uomo senegalese.

Direi che il nodo, il punto cruciale siano le due dimensioni in cui ci si trova a vivere, anche se non sempre fisicamente: il Qui e il Là. Viviamo in Italia, lavoriamo qui, i nostri figli sono nati qui e frequentano la scuola italiana. Ad oggi il Qui prevale sul Là, almeno sul piano del tempo trascorso in un luogo. La prima cosa che ho cercato di evitare è stata di far sentire Boubacar un “prigioniero” del Qui. Questo ha comportato, e comporta tuttora, un lavoro di decostruzione di tutta una serie di certezze o di reinterpretazione di scelte che in altre condizioni avrei dato (magari erroneamente) per scontate. In sostanza si tratta di accettare il fatto che se oggi domina il Qui, domani (o a fasi alterne) per noi (o anche solo per uno di noi), potrebbe dominare il Là.

Nella vita quotidiana si traduce in un mastodontico lavoro che io e Boubacar facciamo contemporaneamente. Quando siamo Qui lui lavora per riuscire a trovare il suo “posto” in un paese che non è il suo, mentre io cerco di essere una figura di mediazione tra il Qui e il Là. I ruoli si invertono quando siamo in Senegal. In questa danza, entrambi dobbiamo diventare profondi conoscitori sia del Qui che del Là e scambiarci informazioni, sensazioni, difficoltà. Perché, se nel quotidiano, le differenze tra quello che l’antropologa Françoise Heritier definiva “Il maschile e il femminile” la fanno da padrone, nella dimensione macro ognuno di noi deve accogliere istanze squisitamente culturali che entrano nel nostro ménage da uno spazio che ne è al di fuori. Uno spazio fatto di persone, avvenimenti, leggi, prassi, retaggi, pregiudizi, paure che ciclicamente turbano il nostro equilibrio, personale o di coppia.

Altro risultato: a entrambi capita di sentirsi stranieri sia Qui che Là. Abbiamo dovuto trovare un alfabeto tutto nostro per capirci e decodificarci. E’ un linguaggio fatto di parole, odori, sapori, non detti, silenzi, gesti, sguardi ma anche fraintendimenti. Come tradurli a chi non vive con noi? Il quesito è aperto, apertissimo.

Essere la moglie di un uomo senegalese in Italia significa custodire e proteggere una diversità ricca di emozioni e scoperte, una diversità che desta stupore negli altri, alle volte curiosità, altre chiusura. Significa ascoltare racconti di un’Italia che tenta di togliere la dignità a chiunque venga percepito come diverso, figurarsi se poi la diversità è un tratto somatico come la pelle nera. Significa anche condividere con orgoglio quel bel mucchio di cose a cui sono affezionata: l’operosità della gente, l’originalità, l’esuberanza, la vivacità, la genialità, l’arte, i paesaggi, la storia, la facilità con cui è possibile accedere ai saperi.

Essere la moglie di un uomo senegalese in Senegal significa sentirsi spesso fluorescente (la mia pelle bianca non passa inosservata) ma accolta e coccolata. Significa imparare a vivere in mezzo alla gente assaporando il gusto del tempo dedicato alla relazione con le persone, anche senza parlare con loro. Significa sentire sulla mia pelle il disagio di capire poco e non spiccicare una parola di wolof (la lingua predominante). Significa riuscire a instaurare bellissimi rapporti di amicizia proprio con quelli che Boubacar sente essere i suoi fidati amici, ma faticare a entrare in relazione con l’universo femminile.

Essere moglie di Boubacar significa entrare in punta di piedi nel suo mondo e saper aspettare il momento giusto per sentirlo anche mio.

 

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