La famiglia è bianca, grigia, nera o arcobaleno?

Ci manca(va) un venerdì 13: dove un astrofilosofo del calibro di Fabrizio Melodia spiega che lui preferisce la quarta opzione, l’unica che rispetta i diritti universali

Auguro un felice e sereno Natale, Capodanno ed Epifania a tutte le famiglie arcobaleno sparse nel mondo: che sotto l’albero o nel camino trovino doni, magari in Italia la concretizzazione delle tutele per le famiglie e le persone Lgbt (lesbiche, bay, bisessuali e transgender).
E appunto pensando all’Italia… Alla luce di una sempre maggiore intolleranza – spontanea in piccola parte ma soprattutto organizzata – verso le coppie omosessuali, temo che Babbo Natale (o chi per lui) dovrebbe arrivare in Italia più arrabbiato che gioioso. Niente doni e diritti ma offese, minacce, talvolta aggressioni per le famiglie arcobaleno.

Altrove va meglio.

Iniziamo dagli Usa, dove “l’unione omosessuale” è riconosciuta in ormai 13 Stati: Illinois, Nevada, Colorado, Hawaii, California, Oregon, Stato di Washington, Wisconsin, New Jersey, Vermont, Rhode Island, Maine e Maryland oltre alla capitale Washington DC e a svariate città o contee in tutto il territorio statunitense. Ogni Stato si arrangia in termini di legislazione, ma perlopiù si adotta la cosiddetta «Domestic Partnership» grazie alla quale le coppie non sposate, indipendentemente dal sesso dei componenti, possono accedere a un’unione registrata con conseguenze legali simili a quelle del matrimonio, con alcune variazioni per ogni Stato in cui viene applicata.
Nel vicino Canada, è stata la Nuova Scozia il primo Stato a varare una legislazione efficace che sancisse le unione civili: la “Domestic Partnership” adottata il 4 giugno 2001 garantisce quasi tutti i diritti/doveri del matrimonio eterosessuale per chi si registra di fronte alla stessa autorità e accede così alle più importanti leggi matrimoniali.
In Argentina le coppie non sposate, indipendentemente dal sesso dei componenti, potranno costituire «unión convivencial», ossia “unione di fatto”, e contrarre «pacto de convivencia» (“patto di convivenza”) a partire da gennaio 2016, con l’entrata in vigore del nuovo Codice Civile argentino. Il nuovo Codice definisce la «unión convivencial» come la relazione affettiva fra due persone in convivenza stabile. Ai conviventi sono garantiti svariati diritti e facoltà in ambito patrimoniale ed economico, nonché l’accesso alla procreazione assistita e all’adozione congiunta di minori. Il Codice Civile prevede che i conviventi possano accedere al «pacto de convivencia» che consente di definire i particolari della vita in comune e vari aspetti relativi a un’eventuale cessazione della convivenza, come la divisione dei beni acquistati insieme e l’attribuzione della casa in cui si è convissuto.
In Brasile norme simili sono riconosciute nella legislazione che regolamenta la «concubinato» (cioè convivenza, da non confondere con l’italiano “concubinaggio”) e la «união estável» (unione stabile): la prima è l’unione continuativa fra due persone impossibilitate per motivi personali a sposarsi, mentre la seconda è la relazione fra persone che, pur potendo sposarsi, preferiscono convivere, e hanno lo statuto giuridico di nucleo familiare. Alle coppie in unione stabile sono garantiti svariati diritti, fra cui la comunione dei beni e l’adozione congiunta di minori, nonché la possibilità di registrare ufficialmente la propria unione e di convertirla eventualmente in matrimonio.
Andiamo in Europa.

Nella vecchia Inghilterra abbiamo una legislazione molto significativa. Il «Civil Partnership Act 2004» vigente in tutto il Regno Unito garantisce alle coppie di fatto un riconoscimento giuridico molto simile al matrimonio, vincolandosi con un’unione registrata, i cui contraenti assumono lo statuto legale di “civil partners”. In Inghilterra e nel Galles, per via dell’«Equality Act 2010», tale atto può essere stipulato anche in luoghi di culto. Alla sua entrata in vigore nel dicembre 2005, il «Civil Partnership Act» ebbe una forte risonanza, resa maggiore anche dalla presa di posizione di Elton John, baronetto d’Inghilterra, uno dei primi sudditi di “Sua Graziosa Maestà Britannica” a poter usufruire di tale status giuridico per regolarizzare l’unione con il compagno di una vita. La bontà di tale legge è dimostrata dall’ampia discussione da parte anche del governo gallese guidato da David Cameron di poter dare la possibilità ai “civil partners” di convertire agevolmente la Partnership in matrimonio qualora ne sorgesse il desiderio. A tutte le coppie conviventi – registrate o non registrate, siano esse etero oppure omosessuali – sono riconosciuti i fondamentali diritti civili, quali l’accesso alla procreazione medicalmente assistita anche inclusiva di surrogazione di maternità e l’adozione congiunta di minori: per via di quanto stabilito dallo «Human Fertilisation and Embryology Act 2008» che regolamenta la procreazione medicalmente assistita nel Regno Unito, dall’«Adoption and Children Act 2002» che regolamenta l’adozione in Inghilterra e Galles, dall’«Adoption and Children (Scotland) Act 2007» e dalla sentenza emessa nel giugno 2013 dalla Corte d’Appello dell’Irlanda del Nord riguardante l’adozione da parte di coppie conviventi.
Nei Paesi Bassi le coppie non sposate, indipendentemente dal sesso dei componenti, possono accedere a un’unione registrata con conseguenze legali simili a quelle del matrimonio chiamata «geregistreerd partnerschap». Ai contraenti dell’unione registrata sono garantiti molti fra quei diritti e facoltà di chi contrae matrimonio, inclusa l’adozione congiunta di minori; il Codice Civile del Paese non elenca le prerogative e gli obblighi dei contraenti ma rimanda in modo quasi integrale a ciò che vale per i coniugi.
In Germania avviene un fatto singolare: le unioni civili sono permesse solo per le coppie omosessuali. Tale provvedimento è entrato in vigore il 16 febbraio 2001 con la promulgazione della «Gesetz über die Eingetragene Lebenspartnerschaft» che istituisce la convivenza registrata. Non è equiparata completamente al matrimonio, pur rimandando in pieno a molte caratteristiche di tale unione. Infatti i contraenti, per potersi registrare, devono dichiarare apertamente e pubblicamente in contemporanea dinanzi all’autorità la propria libera volontà di unirsi in tale vincolo. Inoltre essi possono scegliere un cognome comune e hanno l’obbligo del soccorso e sostegno reciproco anche dopo una eventuale separazione. La legge assicura pieno riconoscimento alla coppia dal punto di vista contributivo e assistenziale: ciascun convivente può beneficiarne ed essere inserito nell’assicurazione sulla malattia del compagno e conferisce gli stessi diritti del matrimonio in materia di cittadinanza (a esempio la procedura agevolata per ottenere la naturalizzazione e diritto al ricongiungimento). Ai conviventi sono attribuiti gli stessi diritti di successione che il matrimonio conferisce ai coniugi. Inoltre la legge prevede pensione di reversibilità, permesso di immigrazione per il partner straniero, reversibilità dell’affitto e l’obbligo di soddisfare i debiti contratti dalla coppia.
In Francia, la legge 99-994 del 15 novembre 1999 meglio nota come «Du pacte civil de solidarité et du concubinage» istituisce il Patto Civile di Solidarietà, meglio noto con l’abbreviazione Pacs, ovvero un contratto stipulato volontariamente da due persone maggiorenni, dello stesso sesso o di sesso diverso, al fine di organizzare la propria vita in comune. Tale contratto, diverso dall’istituzione matrimoniale, viene registrato presso la cancelleria del “tribunal d’instance” e tenuto in un registro presso la cancelleria. Esso implica alcuni obblighi quali l’impegno a condurre una vita in comune, l’aiuto reciproco materiale e di onorare i debiti contratti dalla coppia dal momento in cui si firma il Pacs. Questo contratto non garantisce l’adozione e termina alla morte di uno dei due contraenti o per volontà di separazione, mentre i benefici dello Stato sociale (quali la defiscalizzazione, la salute e l’assicurazione) si conseguono dopo tre anni dalla stipula del Pacs. Tale contratto non interessa solo le unioni omosessuali, ma tutte quelle coppie di etero che non vogliono contrarre matrimonio ma preferiscono uno statuto diverso, senza però essere prive delle tutele e dei diritti di una coppia tradizionale (assistere il proprio partner in ospedale, partecipare alle decisioni che riguardano la sua salute e la sua vita, lasciare in eredità il proprio patrimonio alla persona con cui si è condivisa l’esistenza, ottenere l’avvicinamento se un partner è extracomunitario e così via).
E in Italia?

Una situazione tristissima. Il nostro Paese non ha una legge che garantisca le unioni omosessuali civili, si parla di «coppie di fatto» in quanto non riconosciute a livello giuridico. Ciò non significa che una unione “di fatto” non comporti diritti e doveri da parte dei partner; semplicemente si ha un deserto giuridico. Prendiamo la questione dell’eredità. Quando uno dei due coniugi viene a mancare, l’altro ne diventa erede per legge, mentre per le coppie di fatto non avviene poiché non vi è riconoscimento e dunque non c’è alcun diritto legale alla successione. Si è tentato d’ovviare con la pratica del testamento ma in questo caso solo una quota del patrimonio, in quanto disponibile, può essere devoluta al partner ma non l’intero patrimonio che va diviso secondo le quote stabilite per legge fra i vari eredi (i quali, in caso di figli o fratelli, possono richiedere «la legittima», arrivando a ereditare gran parte della quota patrimoniale).
Nell’Italia senza leggi si è tentato di fare qualcosa fin dal 1986, grazie all’azione congiunta della “Interparlamentare donne Comuniste” e dell’associazione Arcigay (associazione per i diritti degli omosessuali): la prima proposta di legge fu presentata dall’avvocatessa e parlamentare socialista Alma Agata Cappiello nel 1988, mentre con l’entrata dell’Italia in Europa sono diventati pressanti gli inviti della Comunità Europea affinché l’Italia si adegui agli standard. Infatti, secondo gli accordi di Schengen, i cittadini italiani godono degli stessi diritti di tutti quelli europei, indipendentemente da origini, stato sociale e appartenenza politica o religiosa. Nella «Raccomandazione» del 16 marzo 2000 sul rispetto dei diritti umani nell’Unione Europea si chiede agli Stati membri di «garantire alle famiglie monoparentali, alle coppie non sposate e alle coppie dello stesso sesso parità di diritti rispetto alle coppie e alle famiglie tradizionali, in particolare in materia di legislazione fiscale, regime patrimoniale e diritti sociali». C’è poi la «Risoluzione» del 4 settembre 2003 sulla situazione dei diritti fondamentali nell’Unione Europea con la quale il Parlamento europeo ha rinsaldato le sue posizioni. Oltre alla richiesta, già formulata, di favorire il riconoscimento legale alle coppie di fatto, eterosessuali o omosessuali che siano (punto 81) si sollecitano gli Stati membri ad attuare il diritto al matrimonio e all’adozione di minori da parte di persone omosessuali (punto 77).
L’Italia ha tentato – meglio sarebbe dire: balbettato – di rispondere a tali pressanti inviti presentando alla camera un disegno di legge (proposto da Franco Grillini) durante il governo Prodi II, richiamando apertamente i Pacs francesi riguardo per le coppie di fatto, omosessuali o eterosessuali. Nessun risultato.
Dal canto suo il movimento Lgbt ha chiesto più volte ai Comuni italiani di munirsi di un registro per le unioni civili: un atto puramente simbolico ma che con il tempo potrebbe costituire la scintilla per l’approvazione di una legge. I primi Comuni italiani a dotarsi di tale registro furono Empoli nel 1993 e Pisa nel 1996. Molti altri comuni si sono muniti di tale registro e hanno approvato statuti comunali per l’agevolazione e la garanzia dei diritti civili alle coppie di fatto, a esempio con la possibilità per le coppie di fatto (siano esse omosessuali o etero) di accedere alle liste per l’assegnazione delle case popolari.
Anche alcune Regioni hanno fatto sentire la propria voce sollecitando il Parlamento a varare la legge sulle unioni civili: la Calabria, la Toscana, l’Umbria e l’Emilia-Romagna si sono rifatte alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che all’articolo 9 sancisce, fra i diritti fondamentali della persona, il «Diritto di sposarsi e di costituire una famiglia».
Gli statuti comunali che garantiscono diritti (simbolici) alle coppie “di fatto” sono stati oggetto di frequenti ricorsi da parte del governo Berlusconi, il quale li ha impugnati per presunta illegittimità: allo stato attuale, i ricorsi sono completamente respinti.
L’8 febbraio 2007 il governo italiano ha approvato un nuovo disegno di legge che prevede il riconoscimento delle unioni di fatto, non sotto la denominazione di Pacs, bensì di Dico cioè «Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi». Visti i problemi politici al Senato per una maggioranza, e alcune questioni (o forse pretesti) di ordine tecnico-giuridico, un comitato ristretto della commissione Giustizia – relatore il senatore Cesare Salvi (Sinistra Democratica) – ha elaborato una nuova proposta di legge sul Cus (contratto di unione solidale). Questa proposta, aperta alle coppie etero e gay, verrebbe stipulata davanti al giudice di pace o dal notaio e verrebbe trascritta in un pubblico registro. La caduta del governo Prodi ha decretato, di fatto, il fallimento della proposta di legge. Ma i più scettici dicevaqno che comunque la volontà politica non c’era.
Il 17 settembre 2008 Renato Brunetta, ministro per la Pubblica amministrazione, ha presentato in Parlamento la proposta di legge DiDoRe, non è una partitura musicale ma significa «Diritti e Doveri di Reciprocità» per i partners: assegnata alla commissione Giustizia II che non l’ha presa in esame. Siamo alla farsa. Che vira nella quasi tragedia di Alfano, ministro degli Interni, il quale minaccia i Comuni che varano i registri. Per tacere della tragedia vera e permanente cioè dei diritti suddetti che in Italia vengono ostinatamente negati a milioni di persone.
Anche se ciò dispiacerà a un potente Paese vicino (il Vaticano) l’Italia ha il dovere di varare una legge. E’ necessario quantomeno che le famiglie arcobaleno vedano riconosciuti i propri diritti, dato che sono fra l’altro accettati nell’Unione europea della quale facciamo parte. Una legislazione che non protegga e garantisca i diritti fondamentali sanciti dalla Carta universale dei diritti dell’uomo non poggia su fondamenta di giustizia.

 

Redazione
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  • intorno allo stesso tema ma di Marte-dì (e dunque muovendosui nei territori della fantascienza) FABRIZIO MELODIA ha da poco scritto in blog: «Il 62° compleanno di Urania… all’insegna del Lgbt»

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