La maledizione dell’Achille Lauro

Recensione al libro di Reem al-Nimer edito da Zambon

di David Lifodi

La maledizione dell’Achille Lauro assomiglia molto, per il susseguirsi incalzante degli eventi, a Il paese sotto la pelle e a La donna abitata, i due libri dedicati da Gioconda Belli alla resistenza sandinista contro la dittatura della famiglia Somoza.

Le tante vite vissute dalla scrittrice nicaraguense, protagonista delle innumerevoli battaglie del Frente Sandinista, sono simili al percorso di Reem al-Nimer. Due donne la cui esistenza è senza tregua, inseguite da nemici nascosti ovunque, ma pronti a colpire, come nel caso di Reem, che deve guardarsi da tutti coloro che odiano la causa palestinese. Al tempo stesso, La maledizione dell’Achille Lauro segue una parabola assai singolare poiché racconta la vita di Abu al-Abbas, storico leader del Fronte di Liberazione della Palestina (Flp), la cui traiettoria è descritta dalla stessa Reem al-Nimer, sua moglie. Tuttavia, quella di questa autrice così particolare non è una semplice biografia, ma piuttosto un racconto vissuto in prima persona che si interseca con la resistenza palestinese e, più in generale, con il conflitto del Medio Oriente. Si parte dall’operazione Achille Lauro, che avrebbe dovuto rappresentare il culmine della battaglia intrapresa dal Flp contro Israele, e dal suo drammatico epilogo, per giungere ai giorni nostri con un’amara considerazione dell’autrice: dopo il fallimento dell’approccio laico nel suo tentativo di raddrizzare il torto fatto alla Palestina, ha finito per prevalere l’Islam politico. A questo proposito, annota amaramente Reem al-Nimer, “i combattenti spinti da motivazioni politiche come Abu al-Abbas, che cercavano di attaccare obiettivi militari e di evitare di fare vittime tra i civili, erano quanto di più lontano possibile da intrattabili guerrieri religiosi”.  Del resto, la stessa vicenda dell’Achille Lauro, che si concluse malamente con l’uccisione dell’anziano turista statunitense Leon Klinghoffer, non aveva in programma di uccidere alcun ostaggio.

La notevole capacità di narrazione di Reem permette al lettore di addentrarsi non solo nei meandri della resistenza palestinese, ma anche in quelli di una società caratterizzata da valori prevalentemente maschili: lei stessa è costretta a scontrarsi per anni con la sua famiglia per le sue storie con Abu-al Abbas e, in precedenza,  con un altro esponente (di più bassa levatura) della resistenza palestinese.  Ad esempio, Reem al-Nimer si chiede: “Avevo diritto o no a scegliermi un marito?”, a proposito della sua relazione con il suo primo marito, fortemente osteggiata dalla sua famiglia composta da notabili e proprietari terrieri palestinesi con i quali poi finirà per riappacificarsi. La lotta di Reem per la sua indipendenza finisce per legarsi a doppio filo con quella politica per il diritto al futuro della Palestina. E allora la storia dell’autrice e di Abu al-Abbas si snoda tra operazioni militari contro Israele, le fughe rocambolesche e rischiose da Stati Uniti e ambigui regimi arabi che vogliono far fuori il combattente palestinese e il massacro falangista di Sabra e Shatila del 15 settembre 1982, quando l’esercito israeliano e le truppe di Elie Hobeka fecero irruzione nei campi profughi di Beirut Ovest. Tra gli scampati di quello che Abu al-Abbas più volte aveva definito come un genocidio, quattro adolescenti palestinesi che, dopo aver perso i loro genitori e i loro amici nel massacro, si imbarcarono a bordo dell’Achille Lauro. Anche in questo caso la parola terrorismo si presta a varie interpretazioni: la strage di Sabra e Chatila può essere assimilata al terrorismo, ma non certo la resistenza  e le azioni compiute contro obiettivi militari israeliani. Eppure ad essere definito terrorista è stato Abu al-Abbas, costretto a fuggire da un rifugio clandestino ad un altro fino a morire, in circostanze poco chiare e in mani statunitensi, l’8 marzo 2004 in una prigione di Baghdad. Insieme, Abu al-Abbas e Reem al-Nimer hanno vissuto la propria vita all’insegna delle guerre, e di più di una sono stati testimoni diretti. Scrive l’autrice: “Sono sfuggita a ai missili israeliani e americani che mi passavano sopra la testa a Baghdad e ho dovuto correre nei bunker in piena notte a Beirut. A Gaza ho visto interi edifici crollare sotto i miei occhi. Ognuna di queste insensate battaglie si è portata via un pezzo della mia anima, e ogni singola città che ho amato o in cui sono vissuta è stata ridotta in briciole dagli israeliani, dagli americani o dai tiranni arabi”.

Eppure, asserisce Reem, nonostante la sua appartenenza alla resistenza palestinese e il suo ruolo di moglie di un combattente, odia la guerra. Questa è la vera differenza tra chi mette in gioco la sua vita per la libertà, anche combattendo, affinché ci sia un futuro senza guerre (a partire dai partigiani contro i nazifascisti fino ad arrivare agli zapatisti del Chiapas) e i guerrafondai di professione che, nel caso delle vicende di Reem al-Nimer e Abu al-Abbas, abitano a Washington e a Tel Aviv.

 

La maledizione dell’Achille Lauro

di Reem al-Nimer

Zambon Editore, 2016

Pagg. 287

€18

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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