La memoria del Charco

Considerazioni di un viaggiatore innamorato del più piccolo dei paesi andini, l’Ecuador.

di Francesco Martone (*)

L’altro lato del Charco, l’oceano, visto da qua assume altre dimensioni, altre sfumature. Torni alla grana delle cose. Sembra tutto così lontano, le polemiche, gli insulti, la monnezza per strada, gli strepiti sui social. E poi la cupa e rituale commercializzazione delle ricorrenze natalizie. Qua, da questo capo del Charco, la vita è più semplice, immediata, sarà il sole caldo e il senso di leggera euforia che ti da il ‘soroche’ (del resto, sempre a 2.800 metri di altezza e passa stiamo).

Sali sul taxi e ti metti a cantare regueton con il tassinaro. Vai a Cuenca per visitare la Biennale d’Arte e ti imbatti in un corteo di indigeni e contadini che chiedono di rispettare il loro diritto all’acqua e il diritto alla vita dei loro fiumi. La splendida opera dell’artista Pablo Helguera riempie le sale del museo della storia della Medicina, collage e decoupages che mescolano memoria, storia, letteratura medica e radiografie per raccontare la cura immaginaria alla malattia della disobbedienza.

Salomé è riuscita a tornare al suo villaggio, dopo un lungo viaggio tra Spagna e Salento, dove assieme ad altre donne indigene amazzoniche continuerà a resistere alle imprese petrolifere. Mario, avvocato e difensore dei diritti umani, non deve più scappare all’estero per sfuggire alle minacce e può continuare a proteggere di diritti dei popoli indigeni e dei migranti. Yaku Perez può restare nel suo paese e marciare con le comunità indigene. Eli continua nella sua opera instancabile a difesa del diritto alla propria identità sessuale. Lei avvocata attivista, rimasta bloccata alla frontiera qualche mese fa mentre cercava di andare a Roma per parlare di femminismi alla Galleria Nazionale, riuscì a far inserire nella costituzione di Monte Cristi il diritto alla libertà d’estetica. Cioè hai il diritto di vestirti come ti pare se sei trans o drag queen. Coppie omosessuali camminano per strada mano nella mano sfidando serenamente la vecchia cultura machista. Juan, lo sguardo mite e il largo sorriso continua nella sua opera accanto ai piccoli della Terra, un passato da guerrigliero di Alfaro Vive Carajo! – le torture ed il carcere di massima sicurezza – e dopo il cammino accanto al grande Monsignor Luna, senza rinnegare nulla del suo passato. Piangiamo la scomparsa di Osvaldo Bayer, uomo di cultura argentino nonché anarchico animatore delle rivolte popolari nella Pampa patagonica.

“Stappiamo la memoria”, stencil, cartone e spray nero. In qualche posto su un muro di Cuenca nei pressi del Museo della Storia della medicina, Dicembre 2018. In memoriam, Osvaldo Bayer (Santa Fe, 18 febbraio 1927 – Buenos Aires, 24 dicembre 2018)

Dal cortile di casa vedo la vetta del Pichincha, il vulcano che con il suo fumo e la sua cenere mi accolse per la prima volta quasi venti anni fa. Girato l’angolo ti trovi di fronte all’ambasciata venezuelana, con la sua coda quotidiana di migranti che oggi riempiono le strade delle città ecuadoriane, con le loro poche cose, un trolley trascinato a forza verso chissà dove. Al mercato popolare di Santa Clara, tra balli e costumi natalizi, si affaccia timidamente la campagna elettorale per il prossimo sindaco. Il favorito è ad oggi Paco Moncayo, già sindaco di Quito a capo di una coalizione socialdemocratica e di sinistra (i fuoriusciti di ciò che resta del partito di Correa, Alianza Pais). Il “mio generale” così lo chiamò un tassista reduce della battaglia del Cenepa, una guerra assurda tra Perù e Ecuador combattuta nel mezzo della foresta amazzonica. Visto da qua il triste spettacolo del dibattito sulla manovra in Senato assume una dimensione quasi sovrannaturale, manco tanto distante dal ‘paquetazo’ appena approvato dal presidente Lenin Moreno, tutto preso a ricostruire ponti e relazioni con Washington, dopo la furia della Revolucion Ciudadana. Nulla di nuovo per gli indigeni che prima come ora saranno in prima linea per proteggere la Madre Terra. Almeno, forse, stavolta non finiranno in galera condannati per terrorismo.

“Giuda” lo chiamano i sostenitori dell’allora presidente Rafael Correa, che ora gestisce un programma su Russia Today. Addirittura qualche tempo fa andò fino a Roma, dal suo attico di Bruxelles, per intervistare Beppe Grillo, suo grande ammiratore. I rappresentanti dell’industria culturale, Rafael e Mariana, fondatori dell’Ocho y Medio – cinema di alta qualità dove ho potuto gustare, centellinando secondi, suoni e immagini, Roma, il capolavoro di Cuaròn – vengono invitati a rappresentare le loro ragioni nientedimeno che di fronte al plenum del Parlamento. Che ascolta le loro ragioni e vota per continuare a proteggere la capacità di sviluppare la produzione audiovisiva e culturale del paese.

Visto da qua, il fumo dell’Etna ricorda quello del Pichincha che sommerse Quito di una coltre di cenere acida, tanto che allora il centro città pareva un’opera di Christo, le chiese coloniali avvolte da teloni di plastica. Le stesse strade che di lì a poco sarebbero state invase da indigeni e dal popolo che detronizzò l’allora presidente Mahuad, tra urla, e fumo di lacrimogeni. Il paquetazo richiama alla mente la manovra consumata sottobanco nei sotterranei di Palazzo Madama, manco più in quelli del Vaticano. La fila di venezuelani in cammino ricorda il cammino per terra e mare di migliaia di migranti dall’altro capo della terra, solo che qua non vengono trattati come rifiuti della Terra. E i social non si intrattengono a commentare l’ennesima patetica foto di un ministro degli interni che si lecca i baffi con il suo pane e Nutella. Qua nella notte di San Silvestro come da consuetudine i faccioni di cartapesta dei politici vengono bruciati per strada. E magari dopo qualche tempo cacciati a pedate come accadde appunto al signor Mahuad.

(*) articolo tratto da Comune-Info

Segnaliamo anche l’articolo “Gli indigeni dell’Ecuador in lotta contro le trivelle cinesi”, di Michele Emmer, tratto da Striscia rossa.

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