La ministra Roberta Pinotti in Arabia Saudita per…

… promuovere contratti militari in spregio ai diritti umani

       di Rete Italiana per il Disarmo e Amnesty International Italia

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La ministra della Difesa, senatrice Roberta Pinotti, si è recata nei giorni scorsi in Arabia Saudita per alcuni incontri di alto livello. I media sauditi riportano che la ministra è stata ricevuta il 4 ottobre, dal re saudita Salman e successivamente dal vice principe ereditario e ministro della Difesa, Muhammad Bin Salman.
I media sauditi riportano che nei colloqui con re Salman la ministra Pinotti abbia discusso «le modalità per rafforzare le relazioni bilaterali» e abbia «passato in rassegna i recenti sviluppi sulla scena regionale ed internazionale». Con il vice principe ereditario, invece, sono state discusse «le modalità per migliorare le relazioni bilaterali, soprattutto nel settore della difesa».
Al centro di questi colloqui – riporta il sito Tactical Report – vi sarebbero stati «contratti navali» che, trattandosi di ministri della Difesa, è da ritenere siano di tipo militare. Si comprende così chiaramente la ragione della presenza nella delegazione italiana del Segretario generale della Difesa e Direttore nazionale degli Armamenti, il generale di Squadra aerea Carlo Magrassi.
«L’evidente riserbo, con poche notizie diffuse, del ministero della Difesa su questa visita e sull’oggetto specifico dei contratti navali è motivo di forte preoccupazione» – commenta Francesco Vignarca, coordinatore della Rete italiana per il Disarmo. «Lo è soprattutto in considerazione delle attività militari e dei bombardamenti sauditi in Yemen. Da marzo dell’anno scorso, infatti, l’Arabia Saudita si è posta a capo di una coalizione militare che, senza alcuna legittimazione da parte delle Nazioni Unite, è intervenuta nel conflitto in Yemen con pesanti bombardamenti anche sulle zone civili, tra cui alcune strutture sanitarie di Medici senza Frontiere, notoriamente segnalate come tali a tutti i contendenti».
La scorsa settimana a seguito delle pressioni dell’Arabia Saudita, il Consiglio dell’Onu per i diritti umani non ha accolto la proposta di una commissione internazionale indipendente d’inchiesta sulle violazioni del diritto umanitario in Yemen. L’indagine di una commissione indipendente era stata richiesta dall’Alto commissario per i diritti umani, il principe Zeid bin Ra’ad Al Hussein; richiesta che era inizialmente stata sostenuta dai Paesi dell’Unione europea, tra cui l’Italia, ma poi ritirata dalla Ue senza alcuna motivazione. Il Consiglio dell’Onu per i diritti umani ha dovuto pertanto accettare la proposta, sostenuta da un gruppo di Paesi arabi, di una inchiesta da parte delle autorità yemenite. Secondo le Nazioni Unite più del 60% delle vittime tra i civili yemeniti, che ammontano a oltre 3.800 morti, sarebbero stati causati dai bombardamenti indiscriminati della coalizione saudita. Lo stesso Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon ha ripetutamente condannato i bombardamenti della coalizione saudita sulle zone abitate da civili.
«Non passa giorno senza che dallo Yemen non arrivino notizie di attacchi contro civili od obiettivi civili da parte della coalizione guidata dall’Arabia Saudita. Eppure Riad continua a ostacolare ogni tentativo di indagare in modo imparziale e obiettivo sui crimini di guerra. Il suo atteggiamento ostile all’accertamento delle responsabilità dovrebbe essere oggetto di forti critiche da parte della comunità internazionale, che invece continua a premiarla – inclusa l’Italia – con un trattamento di riguardo e con forniture di armi» ha dichiarato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia.
Lo scorso febbraio, il Parlamento Europeo ha votato con ampia maggioranza una risoluzione nella quale ha chiesto all’Alta rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza/Vicepresidente della Commissione, Federica Mogherini, di «avviare un’iniziativa finalizzata all’imposizione da parte della Ue di un embargo sulle armi nei confronti dell’Arabia Saudita», ciò alla luce delle gravi accuse di violazione del diritto umanitario internazionale perpetrate dall’Arabia Saudita nello Yemen e del continuo rilascio di licenze di vendita di armi alla stessa Arabia Saudita che violerebbe la posizione comune 2008/944/PESC del Consiglio dell’8 dicembre 2008.
«E’ necessario che il Parlamento chieda urgenti spiegazioni riguardo a questa visita della ministra Pinotti in Arabia Saudita» afferma Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio OPAL – cioè l’Osservatorio permanente sulle armi leggere – di Brescia. «Il Parlamento deve esigere dal governo, ed in particolare dal ministero della Difesa, risposte chiare e puntuali sulle tutte le attività di promozione di contratti per mezzi militari in particolare con i Paesi accusati di crimini di guerra e che violano pesantemente i diritti umani. L’attivismo della ministra Pinotti nella promozione di questi contratti va vagliato attentamente in considerazione dei conflitti nell’area mediorientale che, come vediamo ogni giorno, finiscono per riversare sulle nostre coste migliaia di migranti e di profughi».
Va ricordato che la legge 185 del 9 luglio 1990 sancisce che l’esportazione «di materiale di armamento nonché la cessione delle relative licenze di produzione devono essere conformi alla politica estera e di difesa dell’Italia» e che «tali operazioni vengono regolamentate dallo Stato secondo i princìpi della Costituzione repubblicana che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». La legge vieta specificamente l’esportazione di materiali di armamento «verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i princìpi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei ministri, da adottare previo parere delle Camere» nonché «verso Paesi la cui politica contrasti con i princìpi dell’articolo 11 della Costituzione».
Rete Italiana per il Disarmo e Amnesty International Italia chiedono pertanto a tutti i gruppi parlamentari di presentare interrogazioni e si rendono disponibili a fornire informazioni.

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