La Nona Sinfonia in Re minore

di Ludwig van Beethoven

(di Mauro Antonio Miglieruolo)

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12febb-carta_beethoven_1Ho poco da dire sulla Nona, come poco su quasi tutta la musica di Beethoven, specialmente sulle sue sinfonie, delle quali in gioventù sono stato appassionato senza limiti e che da anni non frequento più (il primo acquisto “voluttuario” della mia vita è stato proprio l’edizione completa diretta da Arturo Toscanini, che ho ascoltato e riascoltato ai limiti delle possibilità materiali dei buoni vecchi solchi in vinile. Poi la freddezza di un distacco quasi senza fine: unica eccezione, gli ultimi quartetti). Finché mi è capitato di ascoltare alla radio un’esecuzione straordinaria, diretta da non so chi, che ha prodotto un piccolo riavvicinamento all’intera produzione beethoveniana.

Parlerò dunque della Nona per avere l’occasione di soffermarmi sulle impressioni prodotte da questa esecuzione e specialmente sul terzo movimento, questo sì che rappresenta il massimo a cui un musicista può accedere.

12febb-beethovenndexLa sinfonia inizia con il famoso lievissimo, appena udibile, accordo iniziale con il quale si dice Beethoven abbia voluto rappresentare il sussurro divino che avrebbe dato origine al Tutto. Indipendentemente da ogni altra considerazione sulle intenzioni dell’autore, trovo si tratti della soluzione ideale al problema degli inizi, problema che assilla ogni autore alle prese con la propria creazione.

Noi siamo nella fluidità dell’essere, un continuo processuale del quale possiamo ipotizzare un’origine, ma che non siamo in grado di individuare e nemmeno sentire. Possiamo al massimo stabilire che un inizio ci sia stato, altrimenti non saremmo qui a parlarne. Se però cerchiamo nella realtà il principio di ogni singola realtà, non lo troviamo. Ogni fenomeno è preceduto da cause che ha loro volta hanno cause e ancora cause. L’uomo deve dunque inserire le proprie “storie” (che iniziano e finiscono) all’interno di un mondo che non conosce soluzione di continuità. Conosce bensì eventi catastrofici che pongono termine a un percorso, ma nel momento in cui quel percorso ha termine se n’è già aperto un secondo, o un terzo, un miliardesimo, che solo arbitrariamente possiamo affermare sia effetto di quella catastrofe; in quanto esso è effetto delle mille catastrofi che l’hanno preceduta, nonché dei milioni di episodi evolutivi lenti (per accumulazione) che l’hanno preparata. Dunque per l’uomo bisogna che l’opera sorga dal vuoto della sua stessa inesistenza, e che dal quel vuoto parta stabilendo, o meglio sottintendendo, i propri precedenti.

12febbBeethovensIn un certo senso improprio è lo stesso che per l’atto primo della creazione, quell’alitare divino che ha dato luogo a ciò che noi definiamo “il nostro mondo” (che non è né il mondo, essendo composto da miliardi di miliardi di miliardi di mondi, né tantomeno nostro).

Con l’espediente di quella “lieve” introduzione iniziale Beethoven in un certo senso copre l’impossibilità di effettivamente stabilire un precedente al quale richiamarsi, in quanto si collega all’unico possibile anteriore, l’anteriore che non ha precedenti, ma solo conseguenze. L’anteriore che ci ha offerto l’accesso all’esistenza insieme alla possibilità di diventar anche noi creatori.

L’opera, ogni opera, si caratterizza allora per le sue cesure, per quel suo mettere per altro tra parentesi (fingendo di mettere tra parentesi) tutto quel che si è verificato durante il lungo intervallo che separa gli inizi degli inizi dallo stato attuale.

shostakopvicsinf11Le modalità di questo collegamento, che stabilisce immediatamente, come esige lo spirito romantico, sono tali da permettere la connessione immediata con le emozioni (più di altre armonie); e che permette (a uno spirito squisitamente musicale quale quello di Beethoven) di continuare a servirsi dei suoni per accrescere le attrattive dell’opera, emozione e meraviglia, guidandoci alla scoperta di quanta possibilità abbia un autore (possibilità che è anzitutto capacità) di utilizzare le note (per altro organizzate secondo determinati criteri) per rappresentare la trama della Spaziotempo, forse persino di accedere alla sua più intima natura: alle sue tutt’ora misteriose architetture.

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shostakovic_symphonyn_5&10Il punto più alto dell’esplorazione beethoveniana è toccato con il terzo movimento, con i suoi adagi e i suoi cantabili. Un cantabile che avrebbe potuto essere offerto alla voce umana, ma che Beethoven, artista troppo raffinato per cadere più volte nella stessa opera nello stesso errore, non affida alla voce umana (lo farà poco dopo, scendendo di diversi gradini dall’altezza alla quale si era portato). Non l’affida alla voce umana perché i suoni che estrae dalle infinite possibilità dell’essere possono solo essere interpretate dalla voce interiore, nascere e restare nei luoghi misteriosi abitati dall’anima. Solo a condizione di poter riprodurre quei suoni, se l’anima avesse avuto voce materiale, si sarebbe piegato a modifica lo spartito per fornire le necessarie indicazione per l’esecuzione (interpreto e probabilmente forzo l’intenzione di Beethoven).

shostakovic-sinf5Perché dico che il terzo movimento tenta di dare voce all’anima? Perché in essa sono riassunti i caratteri fondamentali del romanticismo. Non quello dello sturm und drang, che pure c’è in Beethoven, ma quello più tardo che prenderà forma più nell’interpretazione di Mahler che in quella ortodossa di Brahms. Impossibile trovare altrove altrettanta composta malinconia e altrettanta segreta felicità (anche nello stessa opera di Beethoven). Una felicità che nasce da un procedere avvolgente dei suoni, i quali invitano e quasi spingono, misura dopo misura, verso l’elevazione. Poi verrà l’Inno alla Gioia e sarà la catarsi liberatoria dalla prigione di trascendenza in cui l’ascoltatore è stato cacciato. Un Inno alla Gioia giustamente scandito con tempi di marcia che cancellano ogni riflessione offrendo l’esclusivo conforto del bel canto. Che forse serve a Beethoven per sottrarsi alla tensione di una impresa che non riesce a realizzare: raggiungere un dimensione alla quale a nessun uomo forse è dato accedere. E alla quale Beethoven stesso a un certo punto deve aver deciso di non voler approdare.

Anton BrucknerSii tratta di una dimensione nostalgica quella del terzo movimento. Una dimensione nostalgica e dolorosa. Il movimento tutto parla di impotenza (impotenza di andare oltre un certo livello, di raggiungere la meta); o meglio parla di dolore umano sublimato trasformato in preghiera; che è rimpianto per un mondo più alto del quale si avverte la presenza, ma che non è possibile accostare. Non almeno prima di aver fatto l’ultimo passo decisivo che permette di superare la soglia tra il mondo poco noto e l’Ignoto.

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Concludo con un aneddoto che ritengo possa interessare.

Subito dopo la morte di Beethoven, che aveva già iniziato a lavorare su una Decima Sinfonia, nacque tra i compositori una leggenda a proposito della Nona. La leggenda parlava di una sorta di maledizione che avrebbe colpito chiunque si fosse attentato a andare oltre le nove sinfonie (come si supponeva fosse stato per Beethoven, che infatti si ferma alle prime bozze della Decima). Nove e non più nove, dunque.

hovhaness25&6L’irrazionalità di questa leggenda è accentuata dal fatto che nel corso dell’Ottocento nessun Sinfonista va oltre il fatidico numero nove. Schubert che è il più prolifico si ferma proprio a questo numero. Mendelsoohn a cinque. Ancor meno ne compongono Schumann e Brahms (quattro). A differenza di quello che succedeva nel settecento dove ogni autore ne componeva a decine (Haydn più di cento, Mozart e Cannabich più di cinquanta), la complessità e le dimensioni delle sinfonie sono tali da rendere difficile realizzare uguali prestazioni.

La credenza sembra validata da Mahler, che muore avendo appena iniziato la Decima, della quale lascia completo solo il primo movimento e appunti sufficienti a permettere a diversi suoi allievi di completare gli altri.

Hovhanesssinf4-20&53Bruckner, che Wagner chiamava Mister Trompeten, cercate di immaginare da soli il perché, autore poco conosciuto ma che dopo Malher e Beethoven è sicuramente il più valido e orginale tra tutti i “costruttori di sinfonie” (consiglio a tutti di cercare e ascoltare almeno la quarta, Romantica), arriva a alterare la progressione delle sue sinfonie imponendo a una di diventare la numero zero (è infatti conosciuta come “Die Nullte”), dopo che già una giovanile non ha fatto entrare nella numerazione. Precauzione che non gli serve a nulla. Si deve morire e si muore quando l’ora X arriva. Bruckner prenderà commiato da questo mondo lasciando parzialmente completa la Nona (l’undicesima, in pratica), che infatti ha due soli movimenti. Una beffa. Il tentativo di aggirare la “profezia” si ritorce contro di lui. Muore quando si affaccia sulla prospettiva di una decima possibilità.

hovhanesssinf47Quando si dice superstizione… ma gli è che i “geni” sono uomini del tutto uguali agli altri uomini (anche quando sono donne: del tutto uguali alle altre donne), uomini con i medesimi limiti, vizi, ossessioni, meschinità, grandezze e virtù. Tanto per fare un esempio Wagner era un tipo molto poco raccomandabile, capace di contrarre debiti immensi che poi si guardava bene dall’onorare, fuggendo, quando si arrivava alla resa dei conti, in un altro stato tedesco e abbandonando i suoi creditori alla prospettiva del fallimento e qualche volta anche del suicidio.

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Petetrsson-cpmpleteSinfIl mito si dissolve completamente nel Novecento, nel quale operano autori del calibro di Shostakovich, Allan Pettersson e Hovhaness (Shostakovich ne produrrà 13, Pettersson 15 – essendo la prima e l’ultima rimaste incomplete, altrimenti sarebbe 17 – e Hovhaness ben 67!). Il diverso modo di comporre nel Novecento, più fondato sull’espressione sonora che sull’espressione di un programma interiore (e una visione del mondo), probabilmente favorisce la prolificità di questi ultimi compositori.

PettersonComissiona Sym 8Sia quel che sia resta la necessità degli artisti, in quanto uomini, di esorcizzare la prosaicità del mondo materiale ricorrendo di volta in volta, alla religione, ai miti sociali, o anche alla più rozza superstizione. Vivere l’immaginare e nell’immaginario non è una opzione, per gli uomini (e quindi per gli artisti) è una necessità. E questa è una nozione che non dovrebbe suonare ostica, o risultare poco comprensibile a chi nella vita ha avuto occasione di frequentare la letteratura (la fantascienza) che sull’immaginario ha costruito la propria razionalità.

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La sinfonia è divisa in quattro movimenti così definiti:

  1. Allegro ma non troppo, un poco maestoso
  2. Scherzo: Molto vivace – Presto
  3. Adagio molto e cantabile – Andante Moderato – Tempo Primo – Andante Moderato – Adagio – Lo Stesso Tempo
  4. Recitativo: (Presto – Allegro ma non troppo – Vivace – Adagio cantabile – Allegro assai – Presto: O Freunde) – Allegro assai: Freude, schöner Götterfunken – Alla marcia – Allegro assai vivace: Froh, wie seine Sonnen – Andante maestoso: Seid umschlungen, Millionen! – Adagio ma non troppo, ma divoto: Ihr, stürzt nieder – Allegro energico, sempre ben marcato: (Freude, schöner GötterfunkenSeid umschlungen, Millionen!) – Allegro ma non tanto: Freude, Tochter aus Elysium! – Prestissimo, Maestoso, Molto Prestissimo: Seid umschlungen, Millionen!

Beethoven modifica la tipica struttura della sinfonia classica inserendo per la prima volta uno scherzo prima del movimento lento (infatti lo scherzo solitamente segue il movimento più lento). Eccezionalmente infatti, se il primo movimento di una sinfonia o di una sonata e il successivo tempo lento acquistano proporzioni e impegno eccessivi, lo scherzo può diventare il secondo movimento, dando così maggior equilibrio all’opera. Egli aveva comunque già fatto lo stesso in lavori precedenti (inclusi i quartetti di archi) Op. 18 no. 5, the Archduke piano trio Op. 97, the Hammerklavier piano sonata Op. 106). Anche Haydn fece lo stesso in altri lavori.

(dati sulla sinfonia trovati sul Web)

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Petterssonsinf7&16magesTesto dell’Inno alla Gioia (con traduzione a fronte):

(DE)
« O Freunde, nicht diese Töne!
Sondern laßt uns angenehmere
anstimmen und freudenvollere.
Freude! Freude!

Freude, schöner Götterfunken
Tochter aus Elysium,
Wir betreten feuertrunken,
Himmlische, dein Heiligtum!
Deine Zauber binden wieder
Was die Mode streng geteilt;
Alle Menschen werden Brüder,
[3]
Wo dein sanfter Flügel weilt.

Wem der große Wurf gelungen,
Eines Freundes Freund zu sein;
Wer ein holdes Weib errungen,
Mische seinen Jubel ein!
Ja, wer auch nur eine Seele
Sein nennt auf dem Erdenrund!
Und wer’s nie gekonnt, der stehle
Weinend sich aus diesem Bund!

Freude trinken alle Wesen
An den Brüsten der Natur;
Alle Guten, alle Bösen
Folgen ihrer Rosenspur.
Küsse gab sie uns und Reben,
Einen Freund, geprüft im Tod;
Wollust ward dem Wurm gegeben,
Und der
Cherub steht vor Gott.

Froh, wie seine Sonnen fliegen
Durch des Himmels prächt’gen Plan,
Laufet, Brüder, eure Bahn,
Freudig, wie ein Held zum Siegen.

Seid umschlungen, Millionen!
Diesen Kuß der ganzen Welt!
Brüder, über’m Sternenzelt
Muß ein lieber Vater wohnen.
Ihr stürzt nieder, Millionen?
Ahnest du den Schöpfer, Welt?
Such’ ihn über’m Sternenzelt!
Über Sternen muß er wohnen.

Freude heißt die starke Feder
In der ewigen Natur.
Freude, Freude treibt die Räder
In der großen Weltenuhr.
Blumen lockt sie aus den Keimen,
Sonnen aus dem Firmament,
Sphären rollt sie in den Räumen,
Die des Sehers Rohr nicht kennt. »

(IT)
« O amici, non questi suoni!
ma intoniamone altri
più piacevoli, e più gioiosi.
Gioia! Gioia!
Gioia, bella scintilla divina,
figlia di Elisio,
noi entriamo ebbri e frementi,
celeste, nel tuo tempio.
Il tuo fascino riunisce
ciò che la moda separò
ogni uomo s’affratella
dove la tua ala soave freme.

L’uomo a cui la sorte benevola,
concesse il dono di un amico,
chi ha ottenuto una donna leggiadra,
unisca il suo giubilo al nostro!
Sì, – chi anche una sola anima
possa dir sua nel mondo!
Chi invece non c’è riuscito,
lasci piangente e furtivo questa compagnia!

Gioia bevono tutti i viventi
dai seni della natura;
vanno i buoni e i malvagi
sul sentiero suo di rose!
Baci ci ha dato e uva, un amico,
provato fino alla morte!
La voluttà fu concessa al verme,
e il cherubino sta davanti a Dio!

Lieti, come i suoi astri volano
attraverso la volta splendida del cielo,
percorrete, fratelli, la vostra strada,
gioiosi, come un eroe verso la vittoria.

Abbracciatevi, moltitudini!
Questo bacio vada al mondo intero!
Fratelli, sopra il cielo stellato
deve abitare un padre affettuoso.
Vi inginocchiate, moltitudini?
Intuisci il tuo creatore, mondo?
Cercalo sopra il cielo stellato!
Sopra le stelle deve abitare!

“Gioia” si chiama la forte molla
che sta nella natura eterna.
Gioia, gioia aziona le ruote
nel grande meccanismo del mondo.
Essa attrae fuori i fiori dalle gemme,
gli astri dal firmamento,
conduce le stelle nello spazio,
che il canocchiale dell’osservatore non vede. »

Miglieruolo
Mauro Antonio Miglieruolo (o anche Migliaruolo), nato a Grotteria (Reggio Calabria) il 10 aprile 1942 (in verità il 6), in un paese morente del tutto simile a un reperto abitativo extraterrestre abbandonato dai suoi abitanti. Scrivo fantascienza anche per ritornarvi. Nostalgia di un mondo che non è più? Forse. Forse tutta la fantascienza nasce dalla sofferenza per tale nostalgia. A meno che non si tratti di timore. Timore di perdere aderenza con un mondo che sembra svanire e che a breve potrebbe non essere più.

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