LA NOSTALGIA

(Roba del Pabuda…)

essendo che qui

a Milano –     Mare BN (da Odilon Redon, To Egdar Poe The Eye like a Strange Balloon)

fittando casa

nel posto giusto

e allevando in testa

una lucertola

vorace & fantasiosa –

puoi vedere,

salendo in piedi

sulla sedia che tieni

sempre

sul poggiolo orientato

a Sud-Est

del quarto piano

(solitamente

per fumare, per controllare

col binocolo

da visione diurna & notturna:

i volatili di turno, le nuvole,

i tetti, i comignoli, i cortili

più le cucine e i tinelli altrui),

oltre lo scatafascio

delle fabbrichette abbandonate,

delle fonderie per roba piccola,

dei vetri rotti, delle muffe periferiche,

delle lamiere arrugginite,

e delle officine fallite

per la scabbia finanziaria,

puoi vedere:

piantagioni sterminate

e rigogliose

di barbabietole da zucchero,

finocchi & carote,

mais, lupini lombardi,

erba medica e piselli.

ma se fai

l’abituale sopralluogo

matuttino

tra la cinque e le sei

in certe stagioni

ventilate

da vecchi scirocchi umidi

o nuovissimi alisei,

ti tocca respirare

l’aerosol marginale

della concimazione

col letame nebulizzato

e sparso a pioggerellina

con delle specie

di mitraglie agricole semoventi

sulle zolle

delle circostanti piantagioni.

allora, per forza di cose,

ti sale dallo stomaco

ai polmoni – chissà  come –

la nostalgia:

per la tua città  originaria,

sopra tutto

se è tale quale la mia.

e ricordi,

come l’avessi sniffati ieri,

i suoi profumi:

molto mare

coi suoi nascosti eserciti

d’acciughe selvagge e feroci

che l’agitano

combattendosi all’ultimo sangue,

o molto più quieti gli uliveti

e gli orti aromatici

e i vigneti striminziti

colle successive salamoie e salse

e qualche passabile vinello acidulo,

le cortecce

che impiastricciano di resina

del pino marittimo,

la pioggia che spesso frigge

su lastre bollenti d’ardesia,

l’acqua marcia salmastra

e oliosa

dei porti e dei porticcioli,

morente tra i moli,

il piscio cosmopolita dei caruggi

fermentato,

la foglia di parietaria,

di leccio, di quercia,

la boscaglia andata in fumo

l’anno passato,

il fango d’alluvione avanzato,

il fior di ginestra, pungitopo,

corbezzolo e salsapariglia,

l’oliva piccola caduta

nel momento sbagliato

e il finissimo pulviscolo

d’acciaieria!

..

(nell’illustrazione: particolare da una tavola di Odilon Redon: To Edgar Poe, The Eye Like A Strange Balloon)

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Pabuda
Pabuda è Paolo Buffoni Damiani quando scrive versi compulsivi o storie brevi, quando ritaglia colori e compone collage o quando legge le sue cose accompagnato dalla musica de Les Enfants du Voudou. Si è solo inventato un acronimo tanto per distinguersi dal suo sosia. Quello che “fa cose turpi”… per campare. Tutta la roba scritta o disegnata dal Pabuda tramite collage è, ovviamente, nel magazzino www.pabuda.net

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