«La nostra Nig, la nostra schiava»

Barbara Bonomi Romagnoli sull’autobiografia di Harriet Wilson

«Nessuno l’avrebbe presa. Era nera, nessuno l’avrebbe amata. Sarebbe dovuta tornare e restare più che mai alla mercé della padrona». E non una padrona qualunque, ma una donna «altezzosa, turbolenta, lunatica e severa. In parole povere, una scorbutica in tutto e per tutto» che riversa sulla piccola Alfrado, detta Frado, e soprannominata Nig – diminutivo di nigger – una violenza inaudita e feroce per anni e anni, per niente smussata dalla finzione letteraria … la quale altro non è che la vicenda autobiografica di Harriet E. Wilson.

Nata nel 1825 in umili condizioni in una cittadina del New Hampshire da madre bianca e padre afroamericano, Harriet Wilson è considerata la prima scrittrice afroamericana ad aver pubblicato – nel 1859 – un romanzo in Nordamerica: che viene finalmente tradotto in italiano da Mariacristina Cesa e Giuseppe Vilella per Lebeg edizioni (102 pagine per 15 euro).

Prendere in mano il suo romanzo «La nostra Nig. Vita di una nera libera in una casa bianca del Nord, che dimostra fin dove si allunga l’ombra della schiavitù» significa mettere la mano su una ferita ancora aperta, dove insistono le quotidiane forme di razzismo vissute dagli afroamericani negli Stati Uniti: la testimonianza di come in uno stesso ambiente familiare possano coesistere sinceri antischiavisti e spietate razziste.

La storia di Nig restituisce «la pericolosa, perversa e sadica ossessione delle donne bianche nel maltrattare pesantemente le donne nere, da sempre al centro di stupri e commistioni di razze» scrive nell’introduzione Jaki Shelton Green, poeta statunitense, erede di una famiglia discendente da schiavi e curatrice dell’edizione americana. Ma racconta anche di uomini incapaci di intervenire accanto ad altri che cercano, a modo loro, di fare qualcosa. «La nostra Nig mostra più e più volte di essere senza tempo. La nostra Nig canta che nel momento in cui perisce con il vento, anche le farfalle, le pietre e persino gli uccelli senza canto diranno di aver smesso di credere in un Dio che tortura un passerotto dalle minuscole ossa. La nostra Nig ci permette di vederla in viaggio: moglie, vedova, madre, madre in lutto e costruttrice di una nuova vita» chiosa Green.

Le tappe della vita di Nig sono quelle dell’autrice: si ritrova schiava pur essendo nata libera in uno stato del Nord (che al tempo della vicenda a metà Ottocento si proclama abolizionista). Il breve romanzo fu scritto per la necessità di guadagnare cioè per la sopravvivenza sua e del figlio. Ma è anche il documento prezioso di quello che realmente accadeva in un momento importante della storia statunitense, svelato anche dal lessico usato. Infatti «era tipico delle famiglie agiate riferirsi ai propri servi afroamericani facendo precedere al loro nome l’aggettivo possessivo our, nostro o nostra. Pertanto, l’espressione our nig sottolinea come la servitù, nonostante al Nord fosse illegale, diventasse di fatto proprietà della famiglia venendo allo stesso tempo privata della propria identità» – spiegano i traduttori – «nig compare per la prima volta nel Dizionario Merriam-Webster di inglese nordamericano nel 1864. Il termine, il cui primo uso si fa risalire al 1574, viene indicato come un sinonimo di ‘negro’ ma con un’accezione derisoria o dispregiativa. Nel 1859 nig è quindi un termine denigratorio per indicare una persona afroamericana. La traduzione di questo termine con un altro in italiano ci è parsa impossibile. Si sarebbe potuto utilizzare ‘negretta’ e quindi ‘la nostra negretta’. Tuttavia questa espressione ci avrebbe restituito un significato nel suo senso generale, mentre dalla lettura del testo si evince come il termine nig si sovrapponga al nome proprio della protagonista Alfrado, quasi sempre diminuito in Frado. Il termine dispregiativo diventa, pertanto, un vezzeggiativo utilizzato anche da chi nella vicenda si dichiara antischiavista, ecco perché si è preferito lasciare Nig anche in italiano».

La lingua, usata correttamente, non lascia scampo e restituisce sempre quello che esiste, anche in tutta la sua durezza. Ma non riesce sempre a spiegare. A leggere questa storia, torna fortemente l’interrogativo «Perché? Perché questo odio verso l’altra/o?» da cui nasce la scrittura di Toni Morrison – ed è la domanda posta in apertura di un bellissimo documentario online sulla vita di Morrison – non trova mai piena risposta, ma possibili e personali vie di uscite sì. Perché Nig trova la forza anche per brevi ribellioni e si appoggia dove può, segue chi le suggerisce la fede in Dio anche se dubita che ci sia un paradiso per i neri.

A 18 anni, di nuovo libera, trova la forza per ricominciare da capo e altrove, fino ad arrivare a chiedere, essendole stato rifiutato per una vita, solo un po’ di meritato, meritatissimo affetto a voi «gentili lettori».

 

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