«La ragazza dalla gonna scozzese»

Gian Marco Martignoni sul libro di Franco Giannantoni

In una città come Varese – ove il sentimento di appartenenza alla destra non è mai rimasto sotto traccia e gruppi neofascisti cercano frequentemente visibilità mediatica – Franco Giannantoni (storico e valente giornalista) e Carlo Scardeoni (tipografo e a suo tempo consigliere comunale di Rifondazione Comunista) hanno deciso di pubblicare per le Edizioni Amici della Resistenza una collana dedicata agli «Studi e ricerche di Storia Contemporanea».

Ora con la pubblicazione del libro «La ragazza dalla gonna scozzese» (194 pagine, euro 15 pag) da parte di Franco Giannantoni, la collana – giunta al sesto quaderno – si arricchisce con la meticolosa ricostruzione di uno degli episodi più tragici della catena di eccidi compiuti dai nazisti tedeschi tra il 15 settembre e l’11 ottobre  del 1943 sulle sponde piemontesi del lago Maggiore.

Carla Caroglio (nata a Varese nel 1918) era in vacanza a Baveno, alloggiata all’«Albergo Svizzero e delle Isole Borromee». Il 15 settembre ’43 nel percorrere il corso Umberto I, aveva guardato una vettura delle SS sul cui cofano spiccava la bandiera del Terzo Reich con la svastica nera. I suoi movimenti erano stati notati da due SS, che per questa ragione l’avevano avvicinata, chiedendole se la bandiera le era piaciuta. «Non molto» aveva risposto perentoriamente la ragazza «dalla gonna scozzese» lasciando senza fiato anche il tenente Francesco Speciale che la accompagnava a passeggio. Quell’affermazione nel pomeriggio le costò l’arresto da parte del capitano Friedrick Hans Roehwer, comandante ad interim del I Battaglione del II Reggimento delle SS-Panzer Division «Leibstadarte Adolf Hitler», con l’accusa di appartenere alla razza ebraica, e la morte due giorni dopo un lungo interrogatorio a opera del capitano Walter Lange. Quell’assassinio diede il via ad una serie di eccidi a Baveno e Meina e poi nei comuni di Mergozzo, Stresa, Orta, Intra, Arona e Pian di Nava con la palese finalità di saccheggiare i beni di valore e i conti bancari dei trucidati.

Giannantoni, riprendendo la triste vicenda della scoperta dell’«armadio della vergogna» – avvenuta per merito del Procuratore Militare di Roma Antonio Intelisano – dedica ampio spazio al processo che si svolse davanti alla Corte di Assisi di Osnabruck, a partire dal 9 gennaio 1968 relativamente al fascicolo insabbiato e denominato «la strage di Meina». Un processo che ebbe un contributo determinante da parte del sindaco di Baveno Emiliano Bernasconi e della Giunta municipale poichè furono loro a rivelare i luoghi, i tempi e le circostanze di quegli eccidi. Decisiva fu anche la testimonianza dell’albergatore Marino Ferraris, che individuò nelle foto (numero 25 e 27) l’ufficiale che aveva interrogato la Caroglio. Proprio Friedrick Hans Roehwer nel dibattito travagliato del processo accusò invece, in uno scatto d’ira, Walter Lange di non aver informato i superiori dei massacri effettuati. Il processo si concluse il 4 luglio con la condanna all’ergastolo dei tre principali responsabili dei massacri. Ma il 17 marzo 1970 la Corte Suprema Tedesca di Berlino scarcerò gli imputati, dichiarando prescritti tutti i reati commessi. Solo il 25 aprile 1972 Aldo Aniasi, sindaco di Milano, assegnò ai familiari di Carla Caroglio una medaglia ricordo con l’attestato di «martire per la libertà» mentre il Comune di Baveno nel cimitero ha dedicato alle quattordici vittime una tomba di pietra, ricoperta da schegge di granito rosa.

 

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