La skuola e le sue 3 cugine, mio figlio, il Cem

«Appena puoi vattene. Scappa: da Imola, dalla scuola, dall’Italia» ho detto a mio figlio un paio di settimane fa. Ma forse è il caso che vi racconti un poco meglio.

Mio figlio si chiama Jan (un’altra volta vi spiegherò perché). Visto che Jan deve (vuole, se ho ben capito) recuperare un anno perso, parlavo con lui di scuola, di $cuola, di skuola e di squola. Gli ho detto: «sono d’accordo – per i due anni in uno – ma vorrei dirti tre cosettine sulla scuola che si scrive con la k e le sue cugine, quella scritta con la q e l’altra con iniziale a dollaro e magari anche sulla vera scuola– che vi sia ognun lo dice, dove sia nessun lo sa – che tu ancora non hai incontrato se non alle medie e in un paio di prof capitati, evidentemente per caso, nell’orrido liceo (delle scienze sociali) che hai frequentato, ma forse dovrei dire subìto, negli ultimi anni».

Voi che leggete codesto blog, forse state pensando: «a noi che ce ne frega delle chiacchiere che db fa con suo figlio?». Ma forse vi sbagliate a preoccuparvi perché io – siore e siori – non vado a dilungarmi su questioni private ma sto per raccontarvi una storia che riguarda genitori, figli, dinosauri, pirati, fuggitivi e resistenti, e (scusate se dico parolacce) gelmini e tremonti, insomma che può interessare tutte e tutti noi; perciò sbagliate ad andarvene prima della fine, almeno aspettate i pop corn. Naturalmente, fate come vi pare e non spingete. Grazie al pubblico rimasto: come si diceva una volta mi rivolgo a tutti, compagni, amici e gentili avversari.

Dunque dicevo a Jan: «Ti ricordi che quand’eri piccolo giocavamo alle gabbie?», cioè io lo imprigionavo con gambe e braccia (uh, povera schiena mia) e lui doveva fuggire. «Bene» gli ho detto: «prima possibile devi scappare. Recupera l’anno, se vuoi, finisci il liceo ma poi corri, vattene. Rompi la gabbia. Va all’estero, almeno per un po’. A studiare, a lavorare, ad annusare, a innamorarti, a pensare… Via da questa Italia di merda, da questa che chiamano scuola ed è quasi sempre solo un addestramento all’ignoranza e alla viltà. E via pure dai tuoi genitori sì, che sono noiosi, che stanno sempre a dirti com’era bello il ’68 e il ’77… come se fosse colpa tua che il tempo passa, tutto cambia (in Italia quasi sempre in peggio) e solo Andreotti-Nosferatu resta per sempre uguale». Pausa. «Sia chiaro Jan che non mi voglio liberare di te e anzi sarò tristissimo di non vederti. Ma è proprio perché ti voglio bene che dico: vattene dall’Italia, via dalle aule che odi e da quei professori che confessano il loro fallimento e la loro ignoranza quando bisbigliano ai genitori: “strano, i ragazzi migliori del liceo sono quelli che hanno il peggior voto in condotta”. Una frase che da sola li condanna. Una frase che era già vecchia e stupida quando i brontosauri brucavano».

I tuoi racconti scolastici, i tuoi libri che sfoglio, gli incontri che ho avuto con il preside ciellino e con i/le prof (salvo un paio di eccezioni tutte persone che sarebbero bruttine per meschinità in tempi normali ma che risultano ributtanti nell’era della Gelmini) mi hanno ricordato perché anch’io odiavo la scuola e i/le docenti – salvo un paio di meravigliose eccezioni – e in definitiva perchè ho fatto il ’68.

Quando avevo l’età di Jan io ho conosciuto tre luoghi-istituzioni dove parcheggiare i giovani, si diceva per farli studiare. Il primo era la $cuola dove quel dollaro indica che solo i ricchi venivano trattati bene con i/le prof a dare il meglio (o più probabilmente: il meno peggio) di loro per insegnare qualcosa ai figli e alle figlie “di papà”. La seconda era la Skuola con la K del Ku KluxKlan: razzista e classista, fascista o fascistoide, autoritaria perché incapace di essere autorevole. Infine c’era la squola, questa democristiana più che fascista: ignorante oltre che tetra. Ero piccolo e poco esperto, presuntuoso e un po’ teppista ma solo leggendo un po’ di giornali e qualche libro, frequentando un cineclub e la strada ne sapevo sempre più di quei quattro caproni (o caprette) in cattedra; e volendo – le rare volte che volevo – li costringevo a darmi un 8 o un 9 in qualunque materia perché io sapevo di cosa si stava parlando e loro di solito no.

Quando ho conosciuto «Lettera a una professoressa» scritto dai ragazzi di Barbiana (cioè dagli allievi di don Milani) era il 1967: proprio come mio figlio stavo recuperando un anno per bocciature, nel mio caso dovute a (gravi) episodi di «indisciplina». Fu un totale feeling con i ragazzi di Barbiana: anche se non ero figlio di contadini, la pensavo come loro su tutto e avevo 100 volte detto, fra me e me, «professoressa sei una puttana, ti vendi a chi paga di più». Quel libro bisognerebbe leggerlo anche oggi: perché con pochi cambiamenti (forse solo aggiungendo a operai, contadini anche immigrati) è purtroppo tutto rimasto uguale. O meglio tornato. Perché dopo il ’68 qualcosa per un po’ cambiò, perchè alcune/i di noi ribelli fecero i prof, perché i rapporti di forza (anche culturali) nella società erano cambiati, perché il vento soffiava forte. Ma poi loro – padroni e relativi servi con i servi dei servi cioè i peggiori – si ripresero. O noi mollammo, chissà (ne ragioneremo un’altra volta). E uno dei risultati fu che la scuola ridiventò, salvo eccezioni, un incrocio fra il cesso, una caserma e una barzelletta. Un merito che non mi sento di attribuire alle sole destre e a Casini (detto «ora son qua, ora son là – con chi meglio mi pagherà»): per rendere la scuola più tetra e inutile, di nuovo autoritaria e classista, persino incapace di educare (persino il minimo, vorrei dire l’abc) molto si sono sforzate le sedicenti sinistre. E chi lo nega è cieco o bugiardo.

Ma continuo a scrivere che ci sono eccezioni e di questo ho cercato di parlare a Jan e su questo – siore e siori, gentile pubblico qui convenuto che mi onora della sua attenzione pur dopo 100 righe circa –  vorrei dire altre 4 (d’accordo: 600) parole.

Quel che mi dispiace rispetto a mio figlio – ma in generale rispetto a tutte/i coloro che sono giovani – è non essere abbastanza bravo da mostrare che comunque una scuola (senza dollaro, senza q, senza k) può esistere. Esiste. Che si può imparare divertendosi, partendo dalle esperienze, rispettando le persone. Che persino dentro quella roba che oggi s/governa la Gelmini ci sono alcune/i prof che riescono, nonostante tutto, a far capire quanto è bello, urgente, importante – e dunque necessario – studiare.

Dieci giorni fa sono stato al convegno del Cem, il Centro di educazione ala mondialità dei saveriani. Attenzione, plin-plon, luce rossa: ho detto saveriani cioè missionari, non guevaristi, non anarco-trozkisti, non seguaci di Thomas Sankara o ell’indigeno pazzo che ha voluto una Costituzione dove fossero contemplati i diritti della Madre Terra. Missionari. Il tema del convegno (e il percorso che per un anno la rivista «Cem mondialità» va ad affrontare) era tosto: ruotava intorno a coraggio, responsabilità, cittadinanza e con un bell’«Adesso» ad aprire invitava subito a passare «Dalle paure al coraggio civile, per una cittadinanza glocale» dove glocale (parola difficile ma necessaria) significa sapersi muovere nel locale ma con un occhio sul globale e/o viceversa. Del convegno magari vi parlerò un’altra volta ma il centinaio di pazze/i che era lì è uscito con la conferma (o la scoperta: per i novizi) che imparare è appunto bello, importante, urgente, necessario e che è tutt’altra roba da Gelmini ma anche dall’idea che il centro-centro-centro-centro-sinistra ha sull’insegnare e sull’apprendere, sui saperi, sula responsabilità, sui diritti.

Adesso qualcuna/o di voi magari sta pensando: «ecco il solito manicheo Barbieri, tutto beeeeeeeeeeeeello al Cem? Nessuna ombra?». Ma sì, difetti e limiti ci sono: io ne vedo alcuni e altre persone ne scoprirebbero di più. Ma c’è vita, entusiasmo, cultura e coraggio cioè 4 parole che se vengono pronunciate in una classe “normale” sono una presa per il culo.

Sabato e domenica scorsi sono stato invece al seminario «Corpo a corpo» organizzato da Monica Lanfranco (che ogni domenica incontrate su codesto blog) e da altre femministe. Mi scusi Barbieri, lei ha detto femministe? Quelle con i baffi? Esattamente, quelle baffute. Una giovane presente ha ricevuto il messaggio (ironico o prevenuto?) da un’amica: «dimmi in quante hanno i baffi» e ha risposto «tre», perché in effetti c’erano (in ordine alfabetico) Andrea, Kashif e io, tre maschi infiltrati e ben accetti fra una cinquantina di femministe. Della ricchezza di questo incontro spero di aver presto l’occasione di raccontare ma qui lo cito solo per dire che, come al convegno Cem (eppure sono luoghi assai differenti e per certi versi non comunicanti) molto abbiamo imparato … anche divertendoci.

E ancora, ancora, ancora. Se avessi tempo questo week end galopperei ad ascoltare Susan George ma anche Gianni Mattioli, Gianni Tamino e Marcelo Barros a Città di Castello (ne ho accennato sul blog) oppure agli incontri di Novellara e Correggio (idem). Poi a fine mese volerei al training delle Pbi, le Brigate di pace internazionali, un altro modo di imparare…. a vivere – e lottare – nei conflitti ma senza violenza. Voglio dire che anche in questa brutta Italia ce ne sono tanti di luoghi dove si incontra una vera scuola, quel che io penso sia una scuola.

Allora forse l’altro giorno ho sbagliato tutto – come in quella vecchia canzone («O cara moglie») e avrei dovuto invece dire a mio figlio: «vattene, scappa via, lontano da questa scuola di merda in questa Italia di merda… oppure scova l’altra scuola e lì gioca, ridi, arrabbiati, impara, insegna e preparati a lottare»

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

23 commenti

  • Prima di tutto penso che tu abbia fatto bene a invitare Jan a prendere il volo. Può sempre decidere di tornare, ma l’esperienza in paesi esteri che funzionano meglio come società e come stati è molto formativa.
    Va anche detto che dovremmo anche confrontarci con il fatto che la cultura italiana è perdente e ormai inadeguata al futuro dell’Umanità. Chi ha idee, speranze, energie, “voglia di fare” è ora che prenda altre strade. La società italiana non è in grado di preparare persone capaci di vivere il futuro che arriva, qualunque esso sia.
    Il mondo culturale sia di destra che di sinistra vive nella più totale ignoranza senza minimamente studiare, conoscere e aggiornarsi.
    Aveva ragione lo zio di mio nonno, che, appena tornato nel 1945 dopo aver combattuto con la Resistenza francese, disse a suo fratello “questi sono peggio dei fascisti” e intendeva tutti: PCI, DC etc… e aveva ragione. E’ morto esule in Francia, o non “esule” ma libero e pronto a combattere per qualcosa?
    Tant’è che me ne vado anch’io, spero entro l’estate del 2011.
    Sottolineo che è un ex-fascista (non dubito che sia un ex) sta guidando la riforma del centro-destra al fine di salvarne il potere… mentre il centro sinistra passa il tempo a farsi domande insulse.

  • Ma Jan che cosa pensa?

    • bella domanda quella di Raffaele
      stasera Jan lo legge (così mi ha annunciato con fanfare al minimo) e mi dice; dubito che in questa fase storica bla-bla risponderà per scritto
      io spero che il (doppio) dato biografico, pur se di una certa importanza, non offuschi l’asse del ragionare sulle miserie della skuola, squola, $cuola…. e sulla bellezza perduta dell’imparare (db)

      • Ho chiesto che cosa pensa Jan perché io condivido il dato di fatto che la scuola è stata massacrata da gran parte degli adulti che ci lavorano (piano però con le generalizzazioni: conosco decine di colleghi, presidi, bidelli che amano profondamente i ragazzi, la scuola e l’insegnamento e vanno avanti a forza di Maalox). Ma quando un adolescente raggiunge i 16/17 anni non ha più alibi: tra i miei studenti universitari c’è una minoranza (non infima per fortuna) che vuole e giustamente pretende una università di qualità, affettivamente e cultruralmente parlando; ma la maggioranza sta bene in questo schifo, ci sguazza copiando agli esami, leccando i piedi ai professori per avewre 18 e poi insultandoli dopo 5 ninuti, cercando i riassunti dei testi su Internet, scaricando le tesi da http://www.tesi.net, disturbando a lezione,snobbando i pochi docenti che fanno programmi di qualita’ (io mi laureo con X tanto lui non legge mai i capitoli della tesi). Ecc. ecc.. Un bambino delle elementari è solo una vittima, uno studente delle superiori è resistente o complice. Ricordo un verso di “Canzone per Francesco” del prof (!) Roberto Vecchioni (ascoltate “Comici spaventati guerrieri” dal suo ultimo splendido LP): “Ma coi ragazzi c’era un fatto personale/non han capito chi ci marcia su e chi vale”. E dunque: Jan cosa ne dice? E se non lui, cosa ne dicono i lettori giovincelli di questo blog?

  • La scuola deve anche o soprattutto insegnare a risolvere problemi, perché la nostra specie deve continuamente risolvere problemi, concreti, astratti, simbolici, economici, sociali, espressivi, per poter continuare a sopravvivere su questo pianeta, l’unico abitabile nelle vicinanze immediate. Forse, soltanto dopo questa presa di coscienza sarà possibile realizzare una scuola migliore.

    Quanto alle scuole immaginate, DB, potresti parlarci della scuola in Venere + X ?

    • Ago è Agostino, ago nel pagliaio, siciliano dalle mille sapienze e passioni che va a studiare a Trieste, che trova una bella borsa-lavoro in Australia, che attualmente è in Danimarca. Che non cessa di studiare, anche nelle università del Brutto Paese.
      In Danimarca…. Dunque è fuggito? no, scrive lui che “non si va via, ci si sposta sullo stesso pianeta, barca nel cosmo, oppure ci si sposta in spazi differenti ma resi reali dalla memoria e dalla pratica nella memoria”.
      Ha ragione.
      Come ha stra-ragione a ricordarmi di “Venere più X”, uno straordinario (dunque: incompreso da molti) romanzo di Theodore Sturgeon. Da tempo rimando – non per pigrizia ma per avere il tempo e fare un bel lavoro – un articolo (un saggetto? un delirio? una lettera d’amore?) su Sturgeon. Come su Ursula Le Guin. Prima o poi arriverà, arriveranno entrambi. .. Se poi qualche sturgeoniana/o o leguiniana/o che frequenta codesto blog mi vuole precedere ne sono felice: non mi chiamo Esaù e non ho problemi di primogenitura (le lenticchie sì, vanno bene comunque).
      Alle 5,50 del mattino mi è concesso chiudere con una battita scema post-scespiriana (shakespeariana?): “scusa Ago ma c’è Scamarcio in Danimarca? (db)

      • Daniele, grazie per la tua replica ! Sei gentilissimo e quindi ( citazione ) umanissimo. Brevissime, mi si chiudono gli occhi, sveglia alle 5, alle 6 e 30 al campo, circa 20 chili di fagiolini raccolti, bisognava completare la raccolta e liberare il campo in modo che con il trattore e l’aratro lo si possa da domani processare di nuovo per piantare patate, perché la fattoria è una scuola, un’impresa e un laboratorio, ma la stanchezza non mi permette di articolare.

        Scamarcio chi ? Non so chi sia. Davvero. Mi perdo qualcosa ? Forse sì, forse no ? Non so.

        Sarebbe secondo me importantissimo se qualcuno, TU ? scrivesse sulla pedagogia immaginata. Le mie conoscenze sono, sempre, molto limitate, ma gli spunti pedagogici in “Venere più X” mi rimasero impressi, il canto, il laboratorio per lavorare la terracotta, ci vuoi, puoi, riflettere e parlarcene quando hai tempo ? Secondo me sarebbe molto interessante.

        – Tornando alla premessa e per chiudere… oggi, questa mattina, mentre raccoglievo i fagiolini, e pensando alla necessità di imparare a risolvere problemi ( e di imparare a imparare ), insegnare a risolvere problemi significa anche insegnare ( stimolare, perché insegnare è o dovrebbe essere forse soprattutto stimolare ) la cooperazione, l’autorganizzazione, la responsabilità, l’autogestione dei conflitti, la valorizzazione dei differenti talenti… perché, a meno di casi e situazioni e talenti particolari… un problema non lo si “attacca” da soli, non lo si risolve da soli, lo si risolve in gruppo, raccogliendo e stimolando i talenti delle persone che compongono il gruppo di lavoro… e ciò significa ( imparare a ) sapersi organizzare, sapersi gestire, accettare e rispettare le proprie responsabilità e quelle degli altri membri del gruppo di lavoro, saper gestire i conflitti in modo costruttivo e non distruttivo, saper valorizzare i talenti, quelli propri e quelli degli altri membri del gruppo di lavoro, e, oltre a valorizzarli, rispettarli… non riesco a continuare ed allora chiudo la mia controreplica e ti ringrazio di nuovo, buonanotte e grazie, ciao

  • Ho sbagliato era: http://www.tesionline.it ma guardate anche http://www.tesidilaurea.it così vi fate un’idea: un bignami elettronico travestito da archivio!

    • grazie a Raffaele (come a altri intervenuti, tutti uomini sinora – ohibò).
      Piacerebe anche a me che su questo tema – e altri – intervenissero fanciulle e fanciulli in fiore non solo vecchioni (minuscoli o maiuscoli) come noi.
      Poi…
      sempre d’accordo con chi ricorda le eccezioni (molte ma appunto eccezioni) e ben contento se anche qui vengono segnalate e magari narrate.
      Però mi ha assai colpito un “posta-e-risposta” su “il manifesto” del 29 luglio con una lettera disperata – L’INSOSTENIBILE DEGRADO DEL SAPERE – a firma Stefano Caffari e la desolata risposta (“ho letto due volte… con le lacrime agli occhi”) di Ugo Mattei. Il punto è forse nell’ultima frase della lettera e nell’ultimo paragrafo della risposta. Se Stefano Caffari scrive: “mi dispiace Università (…) ti vedo senza speranza”, Ugo Mattei obietta che l’ università è un “bene pubblico” come l’acqua, dunque bisogna salvarla “anche nell’interesse delle generazioni future”. Dolorosamente significativo che questo dialogo non abbia avuto seguito (almeno sulle pagine de “il manifesto”).
      Prima dell’università comunque ci sono le cosiddette superiori e di questo ho provato a parlare io. Non ho gli occhi di un/una diciottenne ma se il loro schifo-odio è anche solo uguale al mio… vuol dire che c’è in giro una sofferenza sociale, di massa oltre che individuale, non sopportabile. Almeno vogliamo nominarla e interrogarla? Senza dare tutte le colpe alla sola sciagurata che di nome fa Mariastella e di cognome Sfascini? (db)

      • Penso di aver presente lo schifo – odio di cui parli, lo si respira quotidianamente ed ovunque, a Palermo. Penso che sia, anche, una reazione alla scomparsa del futuro. Perché questo schifo – odio, avevo iniziato a provarlo anch’io, da adolescente prima di andar via da Palermo la prima volta, ed un anno dopo il mio imprevisto ritorno fino alla decisione di spostarmi di nuovo ( Palermo, se ci abiti per anni, ti rimane sempre dentro, è difficile liberarsene, disintossicarsi, occorre tempo, pazienza, e molta luce ). Non so chi mi abbia svegliato, penso sia stato Stanley Kubrick, quell’incontro fortuito una sera tardi con 2001 odissea nello spazio, quella è stata per me la sveglia, la mia visione personale del futuro. Visione è una gran parola, ma quella è stata la mia sveglia. Di svegliare le persone… tentativi ne sono stati fatti, tante persone hanno dedicato la propria vita a quest’impresa, svegliare le persone. Ma… è compito nostro svegliarle ? Sarebbe meglio che siano loro stesse a svegliarsi, no ? Sempre che io che scrivo sia sveglio, non ne sono sicuro. Ma… a volte ci si sveglia dopo aver sbattuto conto un palo, contro un muro, ed è una sveglia dolorosa. Ma cosa si deve fare allora. Non lo so. Forse continuare a sussurrare ai sonnambuli. Ma io, dormo anch’io o sono sveglio ? Chissà.

  • Come organizzo la scuola, cosa decido che si studi etc… è un po’ il riflesso di come immagino il mio futuro. Quando dico “io”, intendo io comunità, io società, io Stato. Il problema è tutto lì.
    Quale futuro si immagina una società che fa studiare lingue morte nelle sue scuole? A me è sempre stato risposto che danno “il metodo”, ma perché la matematica non da il metodo? Oppure studiare discipline sistemiche? Oppure dare gli studenti una vasta scelta di materie e discipline, senza categorizzarle, non è dare un metodo? Responsabilizzari?
    Se il cuore della formazione scolastica o del pensiero della formazione scolastica è il latino e il greco, e non la matematica o biologia, la letteratura antica e non quella moderna; allora sto progettando una società conservatrice.
    Se il punto di vista è sempre quello di Dante e non degli scrittori della seconda metà del Novecento, beh allora voglio una società arretrata, conservatrice, poco attenta al progresso e al cambiamento, quindi… anche politicamente vincono i conservatori. Ecco perché Jan e tutti i giovani devono andarserne, il futuro è da un’altra parte. L’immagine del futuro è da un’altra parte e ahimè, ci piaccia o no, è negli USA, nel nord europa, in Israele, in Corea o Cina, non nella pianura padana o nella Napoli borbonica.
    E mi permetto di sbrodolare ulteriormente, il comunismo ha perso quando ha dimenticato la sua origine “immaginifica”, “fantascientifica”, “futuristica”. Il comunismo immaginava il futuro… partendo dal presente… ops, questa è la fantascienza…

    • Guardi Andrea che in Italia COL CAVOLO che si studia Dante e il latino…non ha visto che il latino è stato praticamente estromesso da tutte le scuole a vantaggio di Sua Maestà Informatica? Non ha visto che non esiste più la storia? Quale insegnante apre la mente dei ragazzi appassionandoli al greco e buttando dalla finestra l’ultimo ritrovato hi-tech? Quale ragazzo oggi conosce tre versi di Dante e magari ne sa fare l’esegesi? Semmai è vero il contrario: la cultura umanistica, classica, libera da vincoli con le grandi imprese e con l’economia, ha saputo sempre creare rivoluzionari, come la cultura scientifica quando questi vincoli ha saputo farli a pezzi. Non c’è opposizione tra cultura umanistica e cultura scientifica, semmai tra COME si studiano le due: resta il fatto però che l’attacco reazionario alla scuole degli ultimi decenni ha letteralmente massacrato la prima. O lei conosce un quindicenne che capisce davvero Ovidio? Quanto le “due culture” convivevano, il risultato era un Primo Levi, un chimico che in Lager sapeva citare Dante a memoria. O era anche lui un conservatore?

      • Sono d’accordo, è il COME. Non c’è necessariamente opposizione tra cultura umanistica e cultura scientifica, poi a fare i pignoli bisognerebbe domandarsi, cosa s’intende con “cultura”, con “umanistica”, e quindi cosa si intende con “uomo” o “essere umano”, e cosa si intende con “scientifica”, dato che molte discipline, che hanno valore, che sono significative, di dichiarano “scientifiche” ma sono poi incapaci, per limiti strutturali propri, epistemologici, sono incapaci di seguire un metodo scientifico, non possono, non è possibile, manca la possibilità di falsificare, di isolare il fenomeno e di riprodurlo in laboratorio, e mi riferisco ad ambiti della sociologia, della psicologia… ma non voglio deviare troppo.

        Piuttosto che usare a sproposito l’aggettivo, l’etichetta, “scientifica”, sarebbe forse più utile valutare quale problema si vuole proporre, in quale ambito, e quali strumenti risolutivi mettere a disposizione del singolo o, meglio, del gruppo, per poi stimolare e lasciare che il singolo o il gruppo propongano una soluzione utilizzando gli strumenti messi a disposizione o creandone altri in modo autonomo.

      • Salve, mi sembra che si faccia confusione. La scuola italiana non era idonea a preparare i giovani ad affrontare il futuro anche nel 1980… la scuola italiana era ed è sempre stata conservatrice, perché Mussolini aveva fatto progettare un sistema formativo che producesse persone che avessero valori conservatori. Tant’è, dati alla mano, che la società italiana ha sempre votato tutto tranne che il blocco riformista. La differenza tra il blocco conservatore di oggi e quello coordinatore da Mussolini è che quello di oggi, a fronte di una società fortemente informativa o predisposta all’informazione, sta cercando di rendere la popolazione analfabeta per migliorare il processo di controllo.
        Mussolini invece sapeva bene che aveva bisogno di persone ben preparate per sostenere l’idea di una grande nazione, anche se a chiacchiere. Ma astutamente fece progettare un sistematico scolastico che coltivasse conservatori.
        L’idea poi che la cultura umanistica produca rivoluzionari, mi scusi, fa sorridere. I rivoluzionari si producono quando questi prima di diventarlo, incominciano a confrontare le ingiustizie dei poveri con la ricchezza dei ceti alto borghesi (cito Cacucci nella sua biografia su Jules Bonnot), oltre a darsi una solida formazione marxista. Altrimenti si fa i rivoluzionari come Veltroni…
        L’idea del come si studia qualcosa mi permetta è la favola che si racconta in Italia per giustificare programmi antiquati, non aggiornati, facendo studiare roba vecchia, mettendo sulla strada della vita ragazzi che non conoscono Silone, e questo perché bisognava passare due anni a studiare roba del 1300 da studiare come si deve all’università per coloro che ne erano veramente interessati.
        la ringrazio per aver citato Levi, che lei cita esclusivamente perché fondamentale nella diffusione della conoscenza della Shoà ma non nella formazione rivoluzionaria o di sinistra. La comunità ebraica italiana è sempre stata principalmente conservatrice (vedi l’organizzazione sociale di Trieste nella prima metà del novecento) e sinceramente lei non puoi dire cosa sarebbe stato Levi se non ci fosse stata la Shoà.
        Sono molto feroce perché vedo una sinistra italiana ignorante, cresciuta difendendo i presupposti culturali di Gentile, senza la minima attenzione alla parola Futuro.
        La scuola italiana è scadente perché è stata progettata così da Gentile e l’alibi di Berlusconi non coprirà il fatto che si è mantenuta una società conservatrice in quasi 100 anni. I dati economici, culturali, sociali questo esprimono: una sovrastruttura conservatrice associata a una struttura capitalistica… che si aspettava?

    • Andrea, penso che dare semplicemente una vasta scelta, un’ampia gamma, non sia sufficiente. Penso, in astratto, che chi ha più esperienza debba assumersi la ( impegnativa ) responsabilità di orientare e stimolare chi ha meno esperienza, perché altrimenti secondo me la scuola non avrebbe ragion d’essere, sarebbe semplicemente autoistruzione. Invece secondo me la scuola, come formazione, ha la sua ragion d’essere, ed è cruciale, per valorizzare e stimolare i talenti, la capacita di cooperare per risolvere problemi e la capacita di imparare a imparare.

      Inoltre, secondo me non è una questione di “cosa”, il latino, la matematica, Dante o altro, ma di “come”. Tradurre un testo da una lingua in un’altra, rimango convinto dopo anni, è molto più formativo, in senso s c i e n t i f i c o, di tanti esercizi di fisica o di matematica dove si applica spesso la solita regola, magari con qualche piccola variazione. L’informatica, se parliamo di algoritmi, è molto formativa, secondo me. Comunque, ripeto, secondo me è una questione di “come”, e lo studente deve essere responsabilizzato, ma l’organizzazione che offre la formazione non può sottrarsi alla ( impegnativa ) responsabilità di orientare e di scegliere come stimolare chi domanda di partecipare al percorso di formazione.

      Non penso che sia un

      d o v e r e,

      andarsene. Per me, non si va mai via, ci si sposta, il pianeta è lo stesso, ed i problemi sono così globali ed interdipendenti che il futuro ci raggiungerà qualunque sia il nostro domicilio. Detto questo, io mi sto spostando perché vivere significa in concreto negoziare compromessi, ma non sono disposto a compromettere me stesso, a perdere me stesso, perché in tal caso sarei un corpo vuoto, ed un corpo vuoto non ha molto senso, secondo me. Allora ho deciso di spostarmi. Mi ero già spostato, poi sono tornato, adesso mi sposto di nuovo, insomma si pianifica ma poi si improvvisa, vivere è un fare del jazz, no ? Free jazz ? Forse.

  • grazie Ago,
    per i molti interessanti commenti che immagino ti sottraggano al piacere (o al peso) dei fagiolini e delle alzatacce.
    Rispondo solo a uno dei tuoi msg
    (oggi sarà una giornataccia)
    IMPARARE A IMPARARE è uno dei nodi centrali, sono d’accordo, per ogni persona; poi nei luoghi della formazione bisognerebbe se non INSEGNARE A IMPARARE almeno aiutare ognuna/o a trovare la sua via; è un discorso lungo che non sono sicuro di essere all’altezza neppure di iniziare ma confido altre/i possano QUI portare avanti (fra chi spesso frequenta codesto blog di sicuro Raffaele Mantegazza)
    Mi chiami di nuovo, mi “sfidi” a scrivere sulla pedagogia IMMAGINATA (anzitutto dalla buona fantascienza) e io ci proverò, spero non da solo; ma non so dirti quando perchè molte cose devo scrivere per piacere o per “dovere” e ovviamente gli orologi già mi mordono i polpacci (detto banalmente: è una questione di tempo)
    Se fossimo in un Paese “normale” con una editoria “normale” avrei almeno la soddisfazione di suggerire a chi passa di qui due letture. La prima è appunto “Venere più X” di Theodore Sturgeon che però essendo fantascienza – dunque pubblicato da Urania in edicola o comunque da editori ballerini – è quasi introvabile. La seconda lettura è “L’isola” di Aldous Huxley ed è invece recuperabile (almeno lo era mesi fa quando ho verificato) essendo un vecchio Oscar Mondadori; basta ordinarlo presso un libraio gentile – ne esistono, proprio come gli zingari felici cantati da Lolli – e nel giro di pochi giorni dovrebbe arrivare. Poi altre perle bisogna cercarle in fondo al mare della migliore fantascienza; anche un’arzilla vecchietta Ursula Le Guin ci ha dato qualche buona indicazione. Nel nostro amato Philip Dick c’è almeno un esempio (vado a memoria, magari ripensandoci ne trovo tre) eccellente di un’altra possibile, pedagogia: è il racconto che in italiano è stato pubblicato come “L’ultimo test” o “L’ultima domanda” e che ragiona sul come si impara, quando è necessario, a disobbedire. Importantissimo, specie di questi tempi.
    Fra una chilata di fagiolini e l’altra, speravo di farti sorridere con la battuta su Scamarcio ma se nulla sai di lui (eppure sei appassionato di cinema) non ce l’ho fatta. Ritenterò.
    buona Danimarca, buon jazz anche – ci sono alcuni danesi eccellenti – e soprattutto buona vita (db)

  • sulla SKQuol(l)a non sembra significativo che ci siano solo maschietti che dicono la loro? per me le femminucce hanno troppo da fare con la scuola ai tempi del colera. Intendesi questa come provocazione? Ah, saperlo!

    • è significativo, ma… scusami la mia osservazione forse sgarbata, per una volta, ma… visto che spesso ascolto questa osservazione, che mancano i commenti femminili, almeno questa volta, visto che i commenti sono qui liberi, questa volta, anche questa volta la colpa è maschile ? Fine della provocazione.

  • savina dolores massa

    “…Non ho figli, lo sai Kora. Quando in Africa muore un uomo che ha avuto figli, di lui si dice, E’ morto. Quando muore uno che non lascia discendenza, si dice, E’ finito”.

    Ecco, questa è la mia risposta, Daniele. Questo tuo articolo è talmente bello che l’ho appena pubblicato sul mio blog, senza il tuo consenso. Perdonami.

  • Ed io grazie a Savina l’ho letto. Meno sola dei dieci minuti precedenti.
    Grazie Daniele.
    c.

  • Mi ha colpito questo tuo invito a Jan di partire, andare perché penso anch’io che incontrare persone, realtà,situazioni diverse, ci dà sempre qualcosa, si acquisisce, si scambia (può sconvolgerci) si cresce… e ed è quello che tu e Tiziana avete sempre spronato in Jan. Dall’altra questo fatto di lasciare la scuola mi crea pensieri contrastanti. Non penso a Jan in questo caso, mi sembra un ragazzo che ha avuto e continua ad avere moltissimi stimoli (da due genitori super stimolanti), in grado di pensare autonomamente sia pure con tutti i patemi e le contraddizioni di un ragazzo che deve muoversi nel mondo e che “vuole” vivere per come è lui. Spesso il mollare la scuola per molti ragazzi/e vuol dire lasciar perdere la possibilità, alle volte ridotta ai minimi termini è vero, di apprendere studiare, stimolare qualche interesse, curiosità per i fatti del mondo, per la storia, per un libro… uno spiraglio. Resta comunque un periodo della vita dove tutto è ancora possibile, modificabile, dove non si è ancora dentro al meccanismo “lavoro-soldi a fine mese-spese -consumi-vestiti-macchina-conto qualcosa”. Forse sbaglio, probabilmente ho davanti solo immagini di ragazzi-e che sono finiti così ma nella realtà esiste anche altro.
    Poi c’è un’altra questione, che riguarda più me (o noi che siamo diventati adulti?)…Il famoso diploma. Oggi, se non avessi una laurea (adeguata) o un diploma (adeguato) non potrei fare il lavoro che ho fatto a Milano per 10 anni (in un centro diurno o comunità)  Il famoso diploma  che ti garantisce di poter fare un lavoro … un giorno. E’ l’ansia degli adulti? l’apprensione per il pezzo di carta.  E’ così per una serie di lavori. Come conoscitore di di fantascienza, puoi avere visioni più precise,  IL PROSSIMO, PIU O MENO IMMEDIATO FUTURO COME SARA’? ESISTERA ANCORA NEL VOCABOLARIO LA PAROLA DIPLOMA O FINALMENTE DIO REVOCHERA LA MALEDIZIONE FATTA AD ADAMO E EVA?
    O invece questa mia è solo bisogno di sicurezza (mi viene un po’ da ridere), sapere che un figlio domani ha almeno un diploma, ha una possibilità in più?
    A parte ciò, penso che le possibilità per vivere, di lavoro, ognuno se le inventi, Forse ha più senso che ogni ragazza/o provi a fare quello che sente, che sperimenti, che viva la sua vita il più possibile come vuole che sia.
     “O vai a scuola o vai a lavorare” potrebbe tramutarsi in o vai a scuola o fai qualcosa, sperimenti qualcosa e io ti sostengo (anche questa è scuola). Certo per un po’ devi sostenerti, la tua libertà non deve essere a scapito della mia.
    Mi spiace non aver avuto una figlia o un figlio.
    Per scrivere queste poche (per me tantissime) righe ci ho messo ore, considerali pensieri scatenati da “vattene Jan…..”
    un abbraccio – Daniela

    • Daniela cara,
      prima di andare in letargo (fra qualche ora; vedi “Mi fermo qui”) tre risposte veloci – rooooooooooppo veloci, lo so – con finalino.
      1 – Al di là di Jan, i dati indicano che l’Italia è ora il Paese “industriale” dove più cresce la generazione Neet, ovvero – secondo la sigla inglese Not in Education, Employment, Training – cioè dove un quinto circa dei ragazzi (fra i 15 e i 29 anni) non studia, non si forma e non lavora. Colpa della Trimurti (il signor P2-1816, Trecarte e Mary Star) certo ma non solo loro. Mi pare una catastrofe ma in giro si parla di altro.
      2- Al di là di Jan, in Italia e altrove i dati ci dicono che i lavori in crescita sono quelli servili, guerrieri e da sbirri. Non ci dicono (ma si sa) che aumenta il gangsterismo a ogni livello. Si sa che le eccezioni – in ogni caso poche – confermano la regola. Mi ripeto: anche questa è una catastrofe; tu che ne dici?
      3- Al di là di Jan e persino oltre l’Italia, ci siamo persi il futuro. Non è poco… Ogni tanto qualcuno ci scrive un libro sopra ma mi sembra sconvolgente vivere sapendo che dobbiamo (DOBBIAMO?) abituarci a questo; cioè all’idea che la maggior parte delle persone sta vivendo (e/o viene educata a vivere) come se il domani fosse ingestibile, poco desiderabile e forse impossibile. So che accadeva così in gran parte del pianeta (dove-quando povertà e religioni educavano a obbedire e sperare in un rapido aldilà) ma credevo stessimo uscendo dalla preistoria. Il post-moderno è feudalesimo?
      Mi capita quando scrivo o dico robbbbbbe simili che qualcuna/a mi accusa (anche quando porto i dati su povertà e ricchezza, su guerre e democrazia, su istruzione e gangsterismo) di essere – un vecchio estremista. Vecchio sono, estremista può darsi ma (come ripeto spesso) non è questo il problema. La vera questione è che la situazione sta diventando estrema. Estrema. Anche per il clima, ci dicono gli scienziati. E noi buone/buoni solo a blaterare d’altro? (db)

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