La Space Opera di Lois McMaster Bujold

Negli ultimi giorni ho colmato una delle mie lacune (in genere tante ma in fantascienza pochine) incontrando quella che Giuseppe Lippi definisce “La regina della (nuova) space opera” ovvero Lois McMaster Bujold. Il suo “I due Vorkosigan” (del 1994, titolo originale “Mirror dance”, traduzione di Gianluigi Zuddas) numero 108 di Urania Collezione è in edicola per tutto il mese: 518 pagine per 5,90 euri.
In estrema sintesi: bel ritmo, bei personaggi, nessuna crepa o stagnazione ma nel finale torture troppo insistite e dettagliate. E’ davvero “space opera” non qualcosa di aggiornato… come si dice in giro: il paragone con Jack Vance può starci (per qualità e per temi), quello con Asimov mi pare forzato.
Sia chiaro: se amate i libroni sulle 500 pagine, ben scritti e che rimangono sensati pur quando si scatena l’adrenalina, beh  “I due Vorkosigan” fa per voi.

E’ impossibile raccontare – in uno spazio ragionevole – la trama e le sottotrame, forse una ventina. Si può  però indicare qualche suggestione. A esempio il gioco degli specchi, che rimanda al titolo originale, e delle identità in parte ovviamente si centra sui due protagonisti (fratelli-clone) che, più volte, nel romanzo si scambiano le parti ma si riferisce anche anche agli altrui sguardi e al nostro riflettere in essi; come dice la saggia contessa: “Gli altri sono il solo specchio che abbiamo per vedere noi stessi”.
Segnalo (a pag 69) la barzelletta dei cavalli che ho  inteso raccontare, con le variazioni del caso, a proposito delle fabbriche sia italiane che russe (in entrambe gli equini sono sostituiti da carriole).
Spesso McMaster Bujold azzecca la frase giusta al momento giusto. Come questa (a pag 316): “Credo che metà di ciò che chiamiamo follia sia soltanto un poveraccio che viene a patti col suo dolore, per motivi che irritano la gente che gli sta intorno”. O come quella, verso la fine, sulla “truppa nera” dei vecchi piroscafi, “gli eroi di cui ci si vergogna, chiusi giù in cantina”.
Finito di leggere il mio primo McMaster Bujold capisco perchè questa mia quasi coetanea nata nell’Ohio abbia vinto 4 premi Hugo (e vari altri) conquistando la scena della “space opera” dalla metà degli anki ’80. Da noi quasi tutti i suoi libri sono finiti nel catalogo Nord, solo un paio da Delos Book. Ma adesso entra in ballo Urania (meglio così, anche per i prezzi) con un inedito del 2010 che ipotizzo essere l’ennesima storia ambientata nello stesso angolo di impero galattico.
Altri pro? I suoi fans dicono che è sempre intelligente, come qui indubbiamente si mostra, compensando una ambientazione classicamente guerresca con protagonisti molto (o abbastanza) freak e con spruzzate di antimilitarismo, di femminismo, di ironia e di saggezza varia.
Altri contro? Lo stile barocco, la moltiplicazione di intrighi (anche amorosi), la moltiplicazione dei dettagli. Il mio amico Carlo poi, reduce anche lui da un incontro ravvicinato con McMaster Bujold, chiede se basti mettere un po’ di mutazioni e mondi extra perchè sia fantascienza.
In generale se comunque la produzione media della fantascienza (variamente intesa) fosse tutta a questa altezza sarei felicissimo; anche perché, come suggerisce un altro amico, con una “media” così uscirebbero più facilmente i capolavori.

Redazione
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