«La strada»: è solo homo homini lupus?

Elena Di Fazio e Giulia Abbate – ovvero «Il dodo» – sul romanzo di Cormac McCarthy (*)

A seguire una noticina di db

Dopo che una catastrofe non meglio specificata ha trasformato il pianeta in un arido deserto di cenere privo di fauna e flora, un uomo e il suo figlioletto attraversano gli Stati Uniti cercando di sopravvivere al freddo, alla fame e a chiunque gli si pari davanti. Il loro viaggio è un crescendo drammatico di violenza e di domande sul senso di tutto ciò, destinate a restare senza risposta.

«La strada» di Cormac McCarthy è un libro che ho faticato a finire, per un motivo che ho compreso solo a metà dell’opera: il disprezzo. Questo genere di distopia d’oltreoceano rappresenta infatti ciò che più disprezzo in certa cultura americana, l’idea ossessiva dell’homo homini lupus portata all’estremo, la convinzione che gli esseri umani siano fondamentalmente bastardi sanguinari e che al crollo della società civile inizierebbero a divorarsi (letteralmente) tra loro. Il romanzo si basa su questa visione del mondo incrollabile, monolitica, priva di qualunque spiraglio di luce, finendo per diventare una lettura pesante e morbosa.

Nonostante McCarthy sia un bravo scrittore – incredibilmente evocativo in ogni frangente, anche quando descrive la dispensa di un cannibale – queste sue scelte narrative mi hanno impedito di apprezzare «La strada» come romanzo di fantascienza. Se il mio rifiuto può essere un giudizio molto soggettivo, posso dire da un punto di vista più ampio che c’è molta faciloneria nel ritrarre un mondo post-apocalittico popolato solo di figli di puttana: così siamo bravi tutti, perché non bisogna impegnarsi a tirare fuori qualcosa di credibile o originale. Mi viene in mente Doris Lessing e la sua minuziosa, intelligente descrizione di una nuova società senza regole in «Memorie di una sopravvissuta». Mi viene in mente anche un commento di Giulia mentre discutevamo di questo romanzo: «Ci sono posti al mondo dove se domani crollasse ogni regola nessuno si accorgerebbe della differenza».

Ecco quello che non ho sopportato in «La strada»: è ruffiano e banale. Un romanzo di sci-fi che si basa su un immaginario trito e privo di sfumature manca il bersaglio e McCarthy, per quanto sia un bravo scrittore, non si dimostra un bravo scrittore di fantascienza.

(*) ripreso da lezionisuldomani.wordpress.com

 

Una noticina di db

Questa recensione “arriva in bottega” attraverso un percorso abbastanza strano. Giorni fa in posta trovo – a mo’ di augurio contro il corona virus? – questa frase.

Ce la caveremo, vero, papà?”. Sí. Ce la caveremo.
“Perché noi portiamo il fuoco”.
Sì. Perché noi portiamo il fuoco.
CORMAC MCCARTHY

Ho rilanciato la frasetta nella mia listarella “martediana” (cioè fantascienza e dintorni) per vedere di questi tempi… l’effetto che fa. Mi arrivano cinque/sei risposte “pro Cormac”. Però una stimabile amica mi segnala l’opinione davvero in controtendenza che avete letto qui sopra. Io resto di parere diverso – se vi interessa guardate qui: Ce la caveremo papà? – però mi piace quando si accendono discussioni; inoltre è la prima volta che sono in serio disaccordo con Elena e Giulia, al punto che mi sembra di aver letto un libro diverso. Ecco la ragione di questo post: dite la vostra se vi va. (Non è un derby: posate i fumogeni)

 

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