La terra trema e il cielo pure

recensione a «La fragilità di Dio: contrappunti teologici sul terremoto» (*)  

In Italia c’è un’isola fortunata (la Sardegna) praticamente immune dai terremoti mentre il resto d’Italia è in perenne dolore e affanno per le scosse, la ricostruzione, la prevenzione possibile.

«La fragilità di Dio: contrappunti teologici sul terremoto» è un libretto insolito (dalle Edizioni Dehoniane Bologna: 224 pagine, euri 16,50) con le riflessioni di 22 fra teologi e filosofi di varie Chiese cristiane e di differenti religioni. E’ uscito un anno dopo i terremoti che nel 2012 hanno scosso molte parti d’Italia, e soprattutto l’Emilia; da lì parte, cioè dalle scosse nel cuore e nella testa oltre che dalle ferite di case, fabbriche, monumenti.

Meglio dirlo subito: «La fragilità di Dio: contrappunti teologici sul terremoto» non è adatto per chi crede nel dio onnipotente della tradizione. Tanto meno per chi crede, come in tempi neanche troppo lontani, che le catastrofi naturali siano una punizione divina per il pessimo comportamento degli umani. Qui invece, sollecitati dal teologo Brunetto Salvarani, gli interventi si interrogano sulla società messa di fronte a un evento “imprevedibile” e sul rapporto con il loro Dio di persone che si scoprono fragili: dal «tempo spezzato» di Piero Stefani alla «divina perplessità» di Moni Ovadia e alle «tre fragilità della Chiesa d’oggi» di Serena Noceti; un dio che Rubem Alves vede «infelice» e Lidia Maggi alle prese con «i suoi guai». Nel finale Salvarani lascia la parola all’«urticante» Alessandro Bergonzoni: «Non solo maniche, dovremo rimboccarci anche e soprattutto il pensiero»; il riferimento è al sisma nell’intreccio fra territori e prevenzione ma vale anche per la necessaria umanizzazione di una religione che deve fare i conti con la sua fragilità. Nel libro si ricorda come alcuni rabbini internati ad Auschwitz processarono Dio e lo dichiararono colpevole per quello che stava accadendo ma «dopo la sentenza» ricominciarono a pregare; «con Dio, contro Dio ma non senza Dio» sintetizza Elena Lea Bartolini De Angeli. E sempre nell’inferno di Auschwitz, Etty Hillesum scrisse a Dio: «cercherò di aiutarti affinché tu non venga distrutto dentro di me». Dopo il XX secolo Dio (o YHWH secondo l’antica trascrizione) è «debole» ma questo lo rende più vicino a noi, «malati e peccatori»: insomma «la fragilità di Dio» nasce dall’amore che non è «ferma certezza» ma relazione da costruire.

Un così inquietante – ma filosoficamente affascinante – intreccio di riflessioni sulla divinità imperfetta e “umanizzata” riguarda soltanto i credenti? No, risponde Rubem Alves, teologo ma anche psicanalista: persino la speranza dei laici può essere simbolicamente una stella che brilla nel cielo, tanto bella quanto lontana e inarrivabile. «Ma cosa sarebbe di noi senza l’aiuto delle cose che non esistono?» chiede Alves citando il poeta Paul Valery e subito aggiunge: «questo è il mistero dell’animo umano: siamo aiutati da quello che non esiste». In stretto collegamento con Marco Valli, insegnante e psicoterapeuta che, avendo abbracciato il buddhismo, è noto come il lama Osel Dorje: ricordandoci che lo stesso ideogramma cinese indica sia la crisi che l’opportunità, ci invita a uscire dai nostri schematismi e approfittare della tragedia («un tremendo richiamo») per darci una possibilità di rinascita.

(*) Questa recensione si colloca nella rubrica «Chiedo venia», nel senso che mi è capitato, mi capita (e mi capiterà, oh sì) di non parlare in blog per molti mesi di alcuni bei libri, magari letti e apprezzati. Perché accade? A volte nei giorni successivi alle letture sono stato travolto (da qualcosa, qualcuna/o, da misteriosi e-venti, dal destino cinico e notoriamente baro, dalla stanchezza, dal super-lavoro … o da chi si ricorda più); altre volte mi è accaduto di concordare con qualche “testata” (contro il muro, come dice la vecchia battuta) una recensione che poi rimane sospesa per molti mesi. Ogni tanto ho perso, magari ritrovato e persino riperso quel tal libro… Tempo fa ho deciso che avrei rimediato in blog a questi buchi, con una rubrica apposita appunto chiedendo venia.

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