La vera storia della repubblica delle banane

Recensione al libro di Francesco Serino dedicato al colpo di stato compiuto dalla Cia in Guatemala nel 1954 per rovesciare il presidente Árbenz

di David Lifodi

È il 1954 quando la Cia decide che è giunto il momento di rovesciare il governo di Jacobo Árbenz in Guatemala, ma leggendo il libro di Francesco Serino, La vera storia della repubblica delle banane (Mursia, 2017), si capisce che gli avvenimenti di quegli anni potrebbero essere ambientati tranquillamente ai giorni nostri. Basta sostituire il piccolo paese centroamericano con l’Honduras, il Brasile o il Paraguay, togliere il nome del presidente Árbenz e aggiungere quelli di Manuel Zelaya, Fernando Lugo, Dilma Rousseff o Lula, evidenziare le pressioni di multinazionali, latifondo mediatico e oligarchia terrateniente et voilà, oggi come allora, il gioco è fatto.

L’abilità di Francesco Serino consiste nel saper scrivere, quasi in forma romanzata, gli eventi che hanno condotto alla destituzione del presidente guatemalteco Jacobo Árbenz, alla guida del paese dal 1951 al 27 giugno 1954, quando fu costretto all’esilio in Messico. Al tempo stesso, grazie alla capacità dell’autore di raccontare nel dettaglio le trame che condussero al colpo di stato, se ci mettiamo per un attimo dalla parte degli oppressori, La vera storia della repubblica delle banane assomiglia molto ad una sorta di manuale di contrainsurgencia. C’è la United Fruit Company, che svolgerà un ruolo di primo piano nel colpo di stato, una stampa che martella quotidianamente contro un presidente democraticamente eletto (vi ricorda qualcosa? dai brasiliani dell’impero mediatico O’ Globo alle fake news per convincere l’opinione pubblica dell’urgenza di un intervento umanitario in Afghanistan, Siria e Libia) e una borghesia spaventata da quella che purtroppo può essere classificata come l’unica “primavera” davvero vissuta dal Guatemala.

Come succede ogni volta a seguito di un intervento militare statunitense, lo scenario politico-sociale del paese aggredito risulta essere peggiore di prima e così la United Fruit Company (dal 1970 Chiquita), continua a spadroneggiare in tutto il Centroamerica (sebbene l’associazione International Labor Rights Forum l’abbia inserita fra le peggiori multinazionali del pianeta) e nel paese le speranze di pacificazione sono state presto sotterrate da una lunga serie di regimi antidemocratici, culminati tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta con quelli di Lucas García e Ríos Montt, responsabili del genocidio maya. Proprio durante il biennio criminale di Montt, scrive Serino, “l’ambasciata Usa cominciò quasi a rimpiangere una figura come quella del deposto Árbenz”.

Eppure Árbenz, tra i protagonisti della rivoluzione del 1944, che aveva tratto linfa dai lavoratori urbani, dalla classe media e anche da alcuni proprietari terrieri, soprattutto i produttori di caffé, propugnava si una maggiore indipendenza dagli Stati uniti, godeva del sostegno delle forze progressiste, ma certo non intendeva creare le basi di una repubblica socialista come quella che il 1° gennaio 1959 si sarebbe instaurata a Cuba. Il suo programma, sottolinea Serino, si sviluppava in tre punti: “Raggiungere l’indipendenza economica, migliorare il tenore di vita della grande massa rurale contadina e dare libero sfogo alle potenzialità di crescita del capitalismo nel paese”. Bastò questo, nel Guatemala di allora, dove il 2,2% dei proprietari terrieri possedeva il 70,5% della terra produttiva e 22 famiglie controllavano quasi mezzo milione di ettari di terra, per far paura agli Stati uniti e al grande latifondo. Fu così che il timido avvicinamento di Árbenz al Partido Guatemalteco del Trabajo, peraltro marginale nel panorama politico del paese, finì per far asserire ai repubblicani statunitensi che “il Guatemala era di fatto un paese sovietico nel Centroamerica”.

Anche Ernesto Guevara, non ancora “el Che”, nel 1954, tentò di organizzare la resistenza al colpo di stato, come ha raccontato anche la sua prima moglie, Hilda Gadea, mentre in molti paesi latinaomericani si levarono voci contrarie al rovesciamento di Árbenz, ma a giocare un ruolo determinante fu la Cia, che dietro laute offerte in denaro convinse gran parte dei vertici delle forze armate a voltare le spalle al presidente. In realtà, secondo quanto fu costretto ad ammettere lo stesso rapporto del Foreign Relations of the United States in seguito, furono davvero pochi i documenti che confermavano il dilagare del comunismo in Guatemala, così come risultò essere una bufala l’accusa ad Árbenz di aver fatto acquistare dei gioielli Tiffany per la moglie a New York con i fondi della presidenza.

Già allora gli Stati uniti avevano messo in pratica quelle tecniche di disinformazione oggi divenute ormai prassi per screditare una persona e presentarsi agli occhi dell’opinione pubblica come un paese interessato a tutelare i più deboli. Ad oggi non risulta che la Casa bianca si sia mossa con altrettanta sollecitudine per rimuovere Jimmy Morales, l’attuale presidente guatemalteco noto per aver raggiunto la guida del paese grazie al sostegno di quei veterani di guerra responsabili del genocidio maya e confluiti nel partito di estrema destra Frente de Convergencia Nacional, peraltro sotto inchiesta per una serie di finanziamenti elettorali illeciti.

La vera storia della repubblica delle banane

di Francesco Serino

Mursia, 2017

Pagg. 179

€ 16

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

2 commenti

  • Massimo ruggeri

    Fulgido esempio di maccartismo internazionale! Interessante, esotico, purtroppo archetipo della ‘ricorrenza’. Il relatore e’ anche ottimo divulgatore.

  • Il libro merita davvero, anche perché credo che si tratti di una ricostruzione quasi unica, a livello politico e storiografico, a raccontare nel dettaglio quanto accaduto.
    L’autore, Francesco Serino, merita davvero grandi complimenti, anche per l’impostazione generale del volume.

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