L’Africa depredata

Il saccheggio del continente africano raccontato da Sinistra in Rete e da Mauro Armanino, missionario in Niger

 

 

 

Le multinazionali sottraggono all’Africa miliardi di dollari

Fonte: Sinistrainrete

Secondo il nuovo rapporto Oxfam rilasciato in data odierna [2 giugno, ndt], intitolato: “Africa: l’ascesa per pochi”(1), 11 miliardi di dollari sono stati sottratti all’Africa nell’arco dell’anno 2010, grazie all’utilizzo di uno tra i tanti trucchi usati dalle multinazionali per ridurre le imposte. Tale cifra, è sei volte l’equivalente dell’importo che sarebbe necessario a colmare il vuoto di fondi nel sistema sanitario di Sierra Leone, Liberia, Guinea, Guinea Bissau, tutti Stati in cui è presente l’ebola. Le scoperte dell’Oxfam arrivano in corrispondenza dell’imminente partecipazione dei leader politici ed economici al 25° World Economic Forum Africa, che si terrà in Sudafrica.

Il tema principale dell’incontro sarà come assicurare l’ascesa economica dell’Africa e conseguire uno sviluppo sostenibile. E’ necessaria una riforma del sistema di tassazione globale, affinché l’Africa possa pretendere i fondi che le spettano – tra l’altro, è necessaria per affrontare l’estrema povertà e disuguaglianza – e diviene realmente determinante se il continente deve continuare la sua crescita economica.

L’Oxfam ha richiesto a tutti i governi, la presenza dei capi di Stato e dei ministri delle finanze in vista della Financing for Development Conference che si terrà a luglio in Etiopia.

La conferenza di Addis Abeba stabilirà le modalità con cui il mondo finanzierà lo sviluppo per i prossimi vent’anni; questa è un’opportunità per i governi, affinché inizino a elaborare un sistema globale di tassazione più democratico ed equo.

Winnie Byanyima, direttore esecutivo internazionale dell’Oxfam, ha dichiarato: “L’Africa sta subendo un’emorragia di miliardi di dollari, a causa dei trucchi usati dalle multinazionali per imbrogliare i governi africani, lasciandoli senza le entrate dovute, dal momento che non pagano la loro giusta quota di tasse. Se le entrate delle tasse fossero investite in educazione ed assistenza sanitaria, le società e le economie prospererebbero ulteriormente in tutto il continente”.

Nel 2010, l’ultimo anno di cui sono disponibili i dati, le compagnie multinazionali hanno evitato di pagare tasse per un ammontare di 40 miliardi di dollari statunitensi, grazie ad una pratica chiamata trade mispricing – nella quale una compagnia stabilisce prezzi artificiali per i beni e servizi venduti tra le proprie sussidiarie, al fine di evitare la tassazione. Con le corporate tax rates che hanno una media pari al 28% in Africa, ciò equivale a 11 miliardi di dollari statunitensi come entrate sotto forma di tasse.

Il trade mispricing è solo uno dei trucchi che le multinazionali usano per non pagare la loro quota giusta di tassazioni. Secondo l’UNCTAD, i paesi in via di sviluppo nella loro totalità, perdono, secondo una stima, 100 miliardi di dollari l’anno attraverso un altro set di schemi che permettono di evitare i pagamenti, coinvolgendo i paradisi fiscali.

Le compagnie fanno una dura attività di lobbying per avere agevolazioni fiscali come ricompensa per basare e mantenere le loro attività nelle nazioni africane. Le agevolazioni fiscali fornite alle sei più grandi compagnie di estrazione mineraria in Sierra Leone, raggiungono il 59% del budget totale della nazione o equivalgono a 8 volte il budget sanitario statale.

Byanyima ha aggiunto: “I leader africani non devono assistere inerti all’approvazione del nuovo sistema di tassazione globale, cosa che dà alle multinazionali la libertà di scansare i loro obblighi di pagamento delle tasse in Africa. I leader politici e d’affari devono mettere da parte la loro importanza, innanzi alle richieste, sempre più insistenti, di una riforma del sistema di tassazione internazionale. Le nazioni africane, devono introdurre un approccio più progressivo e democratico alla tassazione – incluso un appello alla parola ‘fine’ per le esenzioni dalle tasse per le compagnie straniere”.

Gli attuali meccanismi internazionali volti a superare l’evasione fiscale, come il processo BEPS (Base Erosion and Profit Shifting), controllato dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE)(2) per il G20, lasciano aperte enormi “vie di fuga” per le tasse, che le multinazionali possono continuare a sfruttare in tutto il mondo in via di sviluppo. Molte nazioni africane sono state escluse dalle discussioni sulla riforma del BEPS e, come risultato, non ne trarranno alcun beneficio.

 

(Traduzione di: Marco Nocera)

Originale: http://fahamu.org/node/1911

Note

1https://www.oxfam.org/sites/www.oxfam.org/files/world_economic_forum_wef.africa_rising_for_the_few.pdf

2 Organisation for Economic Co-operation and Development (OECD) [così nominata a livello internazionale, ndt]

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Niamey, una città di sabbia

di Mauro Armanino

Non fatevi ingannare dagli edifici a piani e dai cavalcavia dai nomi epici. Niamey è una città immaginata dalla sabbia. Ospiterà tra un paio di mesi l’Assemblea dell’Unione Africana e per questo arrivano in tanti a truccarla da capitale comune. Qualche hotel di lusso, un’università islamica a piani girevoli, snodi stradali che inseguono la direzione e l’ordinanza municipale che impone ai mendicanti di passare all’invisibilità dal primo di maggio. La festa dei lavoratori ha coinciso con la pulizia delle strade, cominciata dagli allievi della Scuola Nazionale della Gendarmeria e poi continuata dai cittadini stranieri suddivisi per nazionalità di provenienza. Alcuni cittadini locali sono assunti ad ore e col ‘gilet- verde-ecologico’, lavorano di notte per liberare le strade dalla sabbia che la mattina seguente rispunta, fresca di giornata, poco lontano. Niamey è in realtà una città di sabbia che passando dai ministeri, aggirando le rotonde e facilitando il digiuno ben prima e ben oltre il mese di Ramadan, si infiamma solo per l’esplosione di una cisterna di benzina. 60 i morti accertati e alcune decine gli ustionati gravi ancora in pericolo di vita. Terminato il lutto nazionale, c’è da giurarlo, sarà ancora la sabbia a coprire le rotaie del treno, anch’esso di sabbia, che mai raggiungerà la città di Dosso con la stazione di arrivo. Solo per attimo, in questa drammatica esplosione, la città reale era apparsa. La città che sopravvive di niente perchè tutto spera dalla clemenza della sabbia divina.

Non fatevi ingannare dalle strade a doppia corsia separate da lampioni coi pannelli solari. Niamey è una città presa in ostaggio dalla sabbia. Immaginate l’università che porta il nome di un luminare nell’uso civile dell’energia solare. Abdou Moumouni che, legato com’era al suo popolo, pianse il giorno del suo dottorato in Francia pensando agli innumerevoli fratelli africani che non avevano avutola sua stessa sorte. Il pianto di Moumouni è adesso duplice. Il primo per l’Università che offende un nome che meriterebbe ben altro che mesi senza corsi e anni accademici senza fine. L’altro pianto è per l’irregolarità dell’erogazione dell’energia elettrica che, con oltre 40 gradi di temperatura, costringe i cittadini ad una quotidiana sfida con la propria resilienza cardiaca. Provate ad ammalarvi e vedrete. Se averete la fortuna di non incappare nell’ultimo sciopero del personale curante potreste trovarvi con l’inevitabile panne allo strumento che provvede le ecografie e sarete inviati in una delle cliniche private gestite dal dottore incontrato all’Ospedale Nazionale.Nel caso di epidemie dovreste sperare che il vaccino prescritto non sia contraffatto e sostituito da placebo la cui efficacia è com’è noto problematica. Per fortuna la circolazione delle auto è stata resa più sicura dalla cintura di sicurezza ormai obbligatoria, quella alimentare, invece, non è a tutt’oggi ancora assicurata.

Non fatevi ingannare dalla promessa di arrivare puntuali al lavoro o all’incontro fissato la sera prima. Niamey è una città fondata sulla sabbia.Senza preavviso parte o arriva il Presidente della Settima Repubblica del Paese. Due ore prima del suo imprevedibille arrivo o passaggio le strade saranno ermeticamente chiuse e il rischio all’incolumità del Presidente reso nullo. Così come l’inizio del lavoro al ministero e l’importante riunione dell’ultima ONG sbarcata sul campo umanitario che com’è noto, grazie alla sabbia prospera e si rigenera. I migranti, ad esempio, sono da tutti corteggiati, una volta fermati e resi inoffensivi. La salute, il ritorno libero al Paese di partenza, la sensibilizzazione sui rischi e le disavventure della migrazione, formazioni di arti e mestieri e, non ultimo, i loro diritti umani confiscati. GIornalisti, ricercatori, esperti, antropologi, religiosi, commercianti e cercatori d’oro, tutti uniti attorno ai migranti per consolarli e soprattutto addomesticarli. Per i rifugiati poi, prescelti e salvati dal programmato e sostenuto inferno libico, sono portati nella sabbia di Niamey dove rimarranno mesi o anni prima di arivare al paradiso che prenderà cura di loro. Si è formata per loro da non molto, una città, che non è quella della gioia ma di casette prefabbricate in legno e protette, naturalmente, da un muro di sabbia.

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La via della seta come quella di sabbia. Mercanti nel Niger

di Mauro Armanino

Ad ognuno il commercio che si merita. Quello della seta con l’ambizione tutta cinese di contrastare l’egemonia degli Stati Uniti e poi quella del Sahel, fatto di sabbia o poco più. Adesso nel Niger passano proprio tutti e l’ultima in ordine di tempo è Angela Merkel, arrivata per dare soldi, consigli e confermare la politica europea nella zona. Erano tutti d’accordo con lei. Solo il lavoro e lo sviluppo potranno lottare con successo contro il terrorismo e le migrazioni. Il fatto che le due cose, ormai da tempo, vadano appaiate non fa che confermare che politica, economia e repressione della mobilità umana nel Sahel non siano separabili. In cambio di aiuti sostanziali il Niger si offre come garante della mercanzia: migranti criminalizzati e dunque bloccati ad Agadez e poi venduti in cambio di soldi e progetti di sviluppo. Dalla via della seta, dove tutti si commercia a quella di sabbia il passo è breve. Chiedetelo alla signora Emmanuela Del Re, di visita ad Agadez il martedì 30 aprile scorso. Lei, vice-ministro degli Esteri e della Cooperazione Internazionale, ha tenuto ad assicurare le autorità nigerine dell’azione italiana a sostegno del Paese. L’anno scorso, in cambio della ‘comprensione’ del Niger in ambito migratorio, l’Italia ha assicurato al Paese un aiuto di 80 milioni di euro. Chi credeva che la sabbia non ha valore di scambio si trova apertamente sconfessato. La via della sabbia è altrettanto produttiva di quella della seta, parola della Merkel.

Quanto all’Oim, Organizzazione per le Migrazioni Internazionali, che si vuole come strumento per migrazioni programmate, ordinate, scelte, pulite, sicure e soprattutto ‘regolari’(per chi ha il diritto di deciderlo), da tempo recita a soggetto la sua parte. Non soddisfatto di partecipare al finanziamento della nuova sede della Direzione di Sorveglianza del Territorio, di facilitare frontiere controllate secondo gli standart internazionali, si è investito ultimamente nella carovana di sensibilizzazione ai rischi della migrazione. Teatro, canzoni, testimonianze di migranti che raccontano le loro peripezie, film scelti ‘ad hoc’, tutto congiura per favorire la creazione di una mentalità che,delle migrazioni, mette in luce le politiche dell’Occidente.‘Siate informati, migrate nella sicurezza’, questo il sottotitolo del tema della carovana che ha toccato le città più importanti del Niger con questo messaggio rassicurante. Anche perchè la migrazione abusivamente chiamata ‘regolare’ è a tutti gli effetti impossibile viste le condizioni repressive imposte dallo spazio ‘Shengen’.Provare per credere. A Niamey chi assicura il servizio post vendita dei permessi di soggiorno è l’ambasciata francese. Anche chi crede nei miracoli è messo a mal partito. Fuori di Emmanuel Macron e le sue politiche, cosi’ simili a quelle di Matteo Salvini e simili sinistre figure della politica europea, non c’è salvezza.

La via della sabbia è tortuosa ma redditizia. Il G 5 Sahel, insieme di militari di cinque paesi del Sahel  domanda oltre 2 miliardi di euro ai reticenti donatori  per agire, gli Stati Uniti hanno comunicato di voler triplicare gli aiuti militari al Burkina Faso in preda a convulsioni terroriste e poi l’operazione Barkhane, le Nazioni Unite e i Paesi europei coi propri militari sul posto. Nel Sahel la via della sabbia è armata e tutto ciò, tra sparimenti, attacchi a scuole, chiese, mosquee e a tutto quanto si muove, genera sofferenza per i più e business per altri. Senza citare quanto accade, non casualmente, accanto al lago Tchad, con l’autodefinito guppo di Boko Haram, che semina profugli, rifugiati, morti, ostaggi e umanitario in cambio di soldi. La via della seta, in questo caso, non è irrilevante. Quando due elefanti si fanno la guera a soffrire è l’erba del prato. Difficle comprendere quanto accade se non si considera il conflitto di supremazia tra le potenze occidentali e la Cina popolare della via della seta. Ci sono in gioco terreni, risorse, minerali piùo meno strategici e le geopolitiche di influenza in questa porzione dell’Africa chiamata Sahel, che gioca a fare la sponda tra le potenze coloniali e quelle nascenti. La via della sabbia è una sabbia mercante che solo il vento arriva a tracciare  e a cancellare quando occorre.

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La banalità del male per il Ramadan nel Sahel

di Mauro Armanino

Ambasciata di Francia nel Niger. A partire da oggi e fino alla settimana prossima, non è escluso che gruppi terroristi cerchino di profittare di questo tempo di festa per commettere azioni violente. Il messaggio in questione arriva puntuale come la sabbia nel Sahel di Niamey. E’lo stesso messaggio che, con sfumature distinte, si avvicenda una o più volte l’anno e di preferenza in queste circostanze. Martedì è la festa che chiude il mese del Ramadan iniziato il 5 maggio e che avrebbe potuto essere al digiuno di morti, feriti e spariti. Sappiamo non è stato proprio così e appena qualche giorno fa sono state prese in ostaggio alcune persone nei pressi di Diffa, nel profondo sud-est del Niger. La frontiera della normalità si sposta come quella europea di contrasto all’emigrazione nel Sahel, da Agadez scende senza darlo a vedere fino a Niamey. D’altra parte ci si abitua a tutto, così almeno si pensa, persino alle feste ‘armate’ come Un giorno di festa dove una vigilanza rafforzata è vivamente consigliata, ricorda con sobrietà il messaggio mail dell’Ambasciata. L’Aid el Fitr, in arabo, significa la festa delle rottura del mese di digiuno, il Ramadan.

Sono migliaia le scuole elementari dei poveri chiuse nelle zone rurali del Sahel. Centinaia le persone uccise e oltre 300 mila i bambini che, solo nel Burkina Faso, hanno smesso di frequentare. Centinaia i maestri costretti all’inattività perchè, assieme a gruppi religiosi, bersaglio del salafismo armato che si estende in alcune arée del Sahel. Finchè a sparire e a morire saranno i poveri sotto il sole del Sahel nulla accadrà, I figli e le figlie dei grandi, invece, si trovano in città, in scuole molto private e con protezione garantita perfino contro gli scioperi. La doppia criminalità supposta salafista si declina contro i poveri e gli innocenti contadini da tempo abbandonati al loro destino dalle autorità politiche. Malgrado il Ramadan ‘armato’,c’è chi potrà festeggiare secondo le migliori tradizioni locali con i legumi e i condimenti, a prezzi maggiorati per la circostanza e con volatili di ogni natura. Congelati o di produzione locale sono parte insostituibile del menu della festa. Le donne e i bambini hanno diritto a vestiti nuovi di festa nelle boutiques pret- à porter o negli stands delle fiere adibite per l’occasione.Cordialmente, l’Ambasciata di Francia.

La ‘banalità del male’, di cui scriveva Hannah Arendt, a proposito del processo del nazista Eichmann a Gerusalemme, si riproduce a suo modo nel Sahel contemporaneo. La sola differenza che ci distingue da altre ‘banalità del male’, sta tutta nell’identità dei nostri morti e scomparsi, che è di sabbia. Scompare in fretta per risorgere da un’altra parte, da una comunità di fedeli musulmani a un’altra di fedeli cristiani. Croci, sepolture, terreni abbandonati, campi di sfollati e per profughi. La stessa interminabile litania di sofferenze che la sabbia custodisce con cura e conserva in cimiteri invisibili per gli occhi distratti dei potenti. Il messaggio di sicurezza è del 1/6/2019, rilasciato a Niamey dall’Ambasciata di Francia nel Niger. A partire dalla data e fino alla settimana prossima, non è escluso che gruppi terroristi cerchino di profittare di questo periodo di festa per commettere azioni violente. Si raccomanda una accresciuta vigilanza. Termina così il messaggio di sicurezza dell’Ambasciata che si rivolge alle signore e ai signori iscritti nella lista di diffusione diplomatica. Per i poveri non c’è nessun messaggio.

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La povertà ricchezza dei popoli

di Mauro Armanino

Si scriveva proprio così, il secolo scorso. Il libro che porta questo titolo è stato pubblicato nel 1978 da Albert Tévoédjrè. Al momento l’autore era il direttore dell’Istituto Internazionale degli Studi Sociali e direttore aggiunto dell’Ufficio Internazionale del Lavoro, basato a Ginevra. Cose dell’altro secolo che forse neppure lui, oggigiorno, oserebbe pensare e meno ancora scrivere. Un recente articolo dell’Agenzia Ecofin, basata nel Cameroun e a Ginevra ricorda, come fosse un’evidenza, che il nostro pianeta conta attualmente 34 Paesi poveri. Nel 2003 i Paesi con reddito per abitante annuo, uguale o inferiore a 995 dollari, erano 66. Sui 34 Paesi in questione 26 si trovano nell’Africa sub sahariana. Tra questi il Mali, il Niger, l’Eritrea, Madagascar e, tra gli altri, anche la Repubblica Democratica del Congo. 32 Paesi hanno dunque raggiunto il gruppo delle economie definite ‘a reddito intermedio’ e sono giunti a quel livello soprattutto grazie all’esportazione di idrocarburi e di risorse miniere. La Banca Mondiale sostiene che, nel prossimo futuro, il numero di paesi poveri potrebbe non ridursi a causa di conflitti, di violenze e di instabilità. Molti di loro sono dipendenti dall’agricoltura, sostiene ancora la Banca Mondiale e i rischi di cambiamenti climatici potrebbe avere inflenza negative sull’economia. Oggi i nostri contadini, profittando della pioggia, seminavano il miglio.

995 per persona all’anno fa meno di tre dollari al giorno. La povertà come ricchezza dei popoli contestava appunto questo approccio meramente finanziario. Sappiamo che, accanto al denaro, sono stati introdotti da tempo altri parametri di valutazione della povertà. Comunque quello del reddito pro capite rimane, come si può vedere anche dal rapporto in qustione, sempre centrale. Fin dal secolo scorso Tévoédjrè, oggi con 89 anni di età, contestava l’identificazione tra povertà e miseria, quest’ultima da combattere. La povertà, intesa come sobrietà nell’essenziale, è proposta come cammino, che uno Stato che merita questo nome, dovrebbe poter garantire ai propri cittadini. Strade, salute, educazione, come un minimo comune sociale che implica solidarietà nella ricchezza. Profeti cercasi anche in questo secolo, che nel Sahel e altrove fanno difetto. Ripartire dalla povertà e non dalla riccheza per riformulare una scala di priorità che abbia la follia di metterla in valore. Ritrovare il coraggio, smarrito ormai, di rivendicare la dignità di una vita coerente con il minimo comune sociale e finirla una buona volta con modelli di società neo coloniale riciclata sul posto. I profeti dell’immaginario sociale sono stati espunti, sradicati o, molto spesso, si sono venduti al sistema di rapina a banca armata. Assieme al miglio si dovrebbero seminare utopie saheliane.

Come ricordava con illuminata anticipazione Ivan Illic sulla povertà ‘conviviale’ che il parametro finanziario rende prima colpevole e poi immiserisce, così ha ripreso lo stesso Tévoédjrè. Ricordava che era necessario cambiare di orizzonte interpretativo e che il primo passo era quello di ‘disonorare il denaro’ e, riprendendo Karl Marx, ‘più il mondo delle cose aumenta in valore, più il mondo degli uomini si svalorizza’. Continua ancora l’autore …’Percepire l’esistenza e concepire lo sviluppo attraverso la spirale senza fine nell’acquisto di beni di dubbia utilità o inutili, in una ricerca obbligata e illimitata, ecco l’assurdo’. Un’assurdità che si paga a caro prezzo, sottolinea ancora l’autore…’ la ricchezza alla lunga diventa tossica per la società’. E’ l’assurdità che espone il mondo alla ‘tragedia del senso perduto’. Solo la povertà potrebbe guarirlo partendo dalla…’contestazione di una ricchezza che conduce allo sfacelo porta a scoprire la povertà che permette di ridare senso alla vita…la miseria ci perseguita o ci minaccia perchè non abbiamo scelto la povertà’. La povertà ricchezza dei popoli è un libro scritto nel secolo scorso da Albert Tévoédjrè, originario del Benin, Paese affacciato sull’Atlantico in cronica crisi economica e da qualche tempo anche politica. Qualche anno dopo Albert ha ricoperto nel suo Paese la carica di Mediatore della Repubblica e forse, pure lui, si è lasciato ‘normalizzare’. La sfida è ancora attuale e, nella sabbia del Sahel, ci sono contadini che senza saperlo assieme ai semi di miglio piantano utopie.

 

 

Redazione
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