L’Agnello – Mario Piredda

(visto da Andrea Mameli e Francesco Masala)

Una Sardegna che non ti aspetti, tra archetipi e filo spinato, nel film di Mario Piredda L’Agnello – Andrea Mameli

Una Sardegna che non ti aspetti, quella che Mario Piredda riesce a mostrare con L’Agnello. Una regia che punta agli archetipi (la malattia, i legami familiari, la ricerca della felicità nonostante tutto, per dirne solo tre) e lascia perdere gli stereotipi (il mare e le pecore ci sono, ma solo di sfondo). Un film duro, ma mai spigoloso, nel quale la voglia di vivere è in continua competizione con le difficoltà che si incontrano nella vita: le malattie e il filo spinato (e relative connessioni) rappresentano la parte negativa.
Un lavoro difficile che secondo me è riuscito bene. Anche grazie alle capacità degli attori (e qui c’è anche la bravura della responsabile del casting, Stella La Boccetta, perché non bisogna mai dimenticare che la selezione del cast è fondamentale) si misurano proprio nel tenersi fuori dalla Sardegna stereotipata. E nel rendere centrali le relazioni tra le persone. In questo le prestazioni di Nora Stassi, di Luciano Curreli e di Michele Atzori sono davvero notevoli.

L’agnello c’è (e a tratti sembra in qualche modo consapevole di dover interpretare una parte!) ma non gli viene conferito un particolare potere, se non, con la sua mansuetudine, quello di calmare le persone. Gli spettatori e le spettatrici sapranno conferirgli l’importanza e il ruolo che merita.

Ma c’è anche altro. C’è la musica, come appiglio a una vita da vivere felicemente (con la batteria suonata da padre e figlia) e la musica assordante della discoteca, come momento di evasione dalla durezza della quotidianità. E c’è soprattutto l’ambiente, bello, ma avvelenato, ci sono uniformi e c’è il rombo di aerei da guerra, c’è il filo spinato (molto) e le distese di macchia mediterranea graffiate dai cingoli (non dei trattori ma dei carri armati). Ci sono le regole da seguire e salute che se ne va via, da inseguire.

Infine, una nota di ulteriore merito per regista e attori: il film in alcuni punti riesce anche a fare ridere, di gusto e senza sbavature. E anche questo, secondo me, è un merito non banale.

P. S. Ripensando al ruolo dell’agnello lo vedo come un avvertimento. E la chiave è fragilità. Il nostro agnello protagonista è fragile rispetto alla vita. La vita è fragile rispetto alle malattie. Le relazioni sono fragili rispetto ai comportamenti umani. L’ambiente è fragile rispetto alle azioni umane. Nel film sono le azioni umane (quelle che io ho racchiuso nella metafora del filo spinato per il chiaro riferimento alle esercitazioni militari) a causare le malattie. E nel cercare un rimedio alle malattie alcune relazioni (familiari) entrano in crisi, mentre altre relazioni nascono (tra sconosciuti).

 

da qui

 

In Costa Smeralda e nei villaggi turistici è pieno di sardi, che fanno i camerieri e le pulizie, e non solo (come canta Piero Marras)

La Sardegna non è più un posto di mare e sole e vacanze per il cinema, sempre più anche il cinema la rappresenta per quello che è, una regione dove si fatica, ci si ammala sempre di più, magari vicino alle basi e ai poligoni militari.

Insomma è diventata, nel cinema, ma lo è sempre stata, una regione difficile, non solo per i banditi del capolavoro Banditi a Orgosolo di Vittorio De Seta.

Già Bonifacio Angius ce l’aveva fatto vedere nel 2018 in un suo film (qui).

L’Agnello racconta una storia semplice e complicata insieme, di padri e figli, e figlie, di morte e malattia, di come ci si sente prigionieri a casa propria (leggi qui).

Gli animali si ammalano e muoiono, uomini e donne si ammalano e muoiono. Tutto questo è lo sfondo del film.

Il resto lo fanno un giovane e bravissimo regista, al suo primo lungometraggio, e la sua banda di attori, Luciano Curreli, Piero Marcialis, Michele Atzori e soprattutto Nora Stassi, l’attrice che interpreta Alice, la protagonista del film.

Quando riapriranno i cinema cercatelo in tutti i modi, e se qualche cinema lo “censurerà” per la sua carica antimilitarista, implicita e chiarissima, non arrendetevi, cercate di vederlo comunque, non sarete delusi (se non siete generali dell’esercito italiano).

qui e qui due ottimi cortometraggi di Mario Piredda

 

da qui

redaz
una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime. Mi racconti questa teoria, disse Pereira. Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sé, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perché noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone.

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