«L’arte della pace»

Un libro di Alberto L’Abate recensito da Laura Tussi

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Alberto L’Abate, amico e collaboratore di Aldo Capitini e Danilo Dolci, è oggi il principale fautore italiano della nonviolenza. Precursore dei Peace studies, ha fondato, presso l’Università di Firenze, il primo corso di laurea in «Operatori di pace», insegnandovi «metodologia di ricerca per la pace».

Il suo libro «L’arte della pace» (prefazione di Rocco Altieri, Centro Gandhi Edizioni, Pisa 2014) rappresenta la summa della sua riflessione con la convinzione che per sconfiggere la guerra il lavoro per la pace vada preparato e strutturato prima che la violenza deflagri.

Alberto L’Abate, in dialogo serrato con Galtung e i più accreditati studiosi dei conflitti, scrive «L’arte della pace» che costituisce un’autentica pietra d’angolo e una illuminante stella polare per tutti coloro che ritengono opportuno attivare istituzioni internazionali per la pace, alternative agli eserciti, nella gestione delle situazioni di crisi, nel panorama geopolitico contemporaneo e nel promuovere innanzitutto la giustizia al fine di raggiungere l’obiettivo più nobile della riconciliazione tra le parti belligeranti e in conflitto, oltre la vendetta, tramite il perdono da parte di chi ha subito l’offesa e l’oltraggio.

Rocco Altieri nella prefazione al libro, intitolata «Interconnessione tra teoria e prassi» sostiene che il volontariato non può da solo assumersi la responsabilità dell’impegno per la pace ma è tempo di costituire istituzioni apposite e durature e di formare professionisti nel monitoraggio, nella mediazione e nella trasformazione dei conflitti, così che la pace diventi un lavoro permanente e altamente qualificato.

La pace deve essere finanziata e sostenuta in un’ottica di transarmo, ossia riducendo le spese per gli armamenti e le istituzioni belliche, abbandonando così la «difesa offensiva», come quella attualmente utilizzata, con varie tipologie di ordigni come gli F35 e le B61 per passare invece alla «difesa difensiva». Gli Stati e gli organismi internazionali devono dotarsi in tempo di strumenti adeguati per cogliere i primi sintomi delle crisi e agire tempestivamente per prevenire le violenze. Tutto il trattato «L’arte della pace» è una denuncia del fatto che gli Stati avrebbero da guadagnare in termini di efficacia e di bilanci in attivo, se finanziassero e promuovessero la pace e non la guerra. L’autore utilizza gli insegnamenti di Sun Tsu, celebre autore del trattato «L’arte della guerra» e li interpreta in senso positivo per essere utilizzati nelle lotte nonviolente e per realizzare e attualizzare un contesto umano di prevenzione dei conflitti armati nell’assetto geopolitico contemporaneo. Nel nostro Paese, per esempio, l’attuale governo Renzi, cosiddetto di “larghe intese”, non si mostra sensibile alla necessità del disarmo e della riduzione degli armamenti e delle spese militari: è assurdo che il mondo occidentale stia combattendo una guerra permanente al terrorismo, che invece di sconfiggerlo lo potenzia e lo alimenta giorno dopo giorno. È necessario impegnarsi per cambiare direzione alla globalizzazione, che è utilizzata attualmente dalle multinazionali per accrescere profitti, rinfocolando così il risentimento dei poveri, creando enormi divari economici, e invece pensare a una “nuova globalizzazione” per una politica di riequilibrio tra abbienti e meno abbienti, tra ricchi e poveri, per perseguire la giustizia e un nuovo modello di sviluppo equilibrato e sostenibile tra il Nord e il Sud del mondo. Nel campo della ricerca per la pace sono previste tre tipologie di attività: il peacebuilding, il peacekeeping, e il peacemaking, ovvero la costruzione, il mantenimento e l’edificazione della pace. I servizi e le attività di pace, portati avanti da attori non governativi, comprendono l’aiuto alla comunicazione, il miglioramento della comprensione reciproca, lo scoraggiamento all’uso della violenza, la mediazione, il mantenimento della pace tramite l’interposizione, anche con l’aiuto di ambasciate e corpi civili di pace, con un compito di educazione politica, per condurre lotte nonviolente contro lo sfruttamento, l’ingiustizia e l’oppressione esercitate dai governi. Per smontare i conflitti e trasformarli positivamente, Galtung propone di agire a livello di empatia tra le parti, con la capacità di porsi nei panni dell’altro e di passare da comportamenti violenti a nonviolenti, prima in confronto e poi in dialogo, e infine cercare di superare le contraddizioni che inducono al conflitto, attraverso la creatività, sviluppando tutti i modi possibili per trascendere le conflittualità, tenendo in considerazione gli interessi e le esigenze di tutti. Sempre Galtung, rispetto al conflitto tra Israele e Palestina, accenna all’importanza delle persone, che in entrambi i campi avversi, non si identificano con la politica condotta dalla propria parte e cercano accordi con i loro corrispondenti nel campo avverso, che lui chiama «il sé nell’altro». Uno dei più alti esempi di mediazione dei conflitti di questo tipo è condotto dalle «Donne in nero», storica associazione che unisce le donne israeliane e palestinesi per una politica di pace da ambedue le parti in conflitto. La mediazione dei conflitti non ha spazio nella politica delle grandi potenze, a causa di una “cultura profonda” che giustifica la violenza e la considera necessaria nella politica internazionale, e che dovrebbe invece essere sostituita da una cultura vera e autentica basata sul rispetto dell’altro, della sua vita e del suo diritto di esistere, puntando sulla “forza più potente”, ossia la nonviolenza. Per questo è necessario un enorme investimento sull’educazione alla pace, intesa non solo in senso negativo, come assenza di guerra, ma anche in positivo, ossia come giustizia per tanti che ancora oggi soffrono la fame, la carenza di alloggi e lavoro, condizioni di vita e lavorative orribili, rischi di disastri ambientali e altro ancora. Non è sufficiente impegnarsi per prevenire le guerre, ma l’educazione alla pace deve servire alle persone per sviluppare la capacità di vedere le ingiustizie e comprenderne le cause. Un mondo di pace ha bisogno per realizzarsi completamente e attualizzarsi concretamente di persone che abbiano il coraggio di andare contro corrente, anche se questo richiede sacrifici, condanne e denunce, attraverso il coraggio e la perseveranza nella giustizia e nella verità. E anche questo monito di perseveranza nella nonviolenza ha portato Alberto L’Abate, a costituire un fondo librario che è stato accolto presso la biblioteca di scienze sociali dell’Università di Firenze. Questi libri riguardano le varie materie approfondite durante gli studi svolti in Italia e all’estero e insegnate alle università di Ferrara e Firenze e nelle scuole di servizio sociale di Firenze e Siena e che spaziano dalla sociologia generale alle scienze politiche, dalla pedagogia alla psicologia.

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