Latasha Harlins: un colpo alla nuca, 30 anni fa

di Francesco Bernabini

Un documentario ne celebra la vita con le voci delle sue coetanee ancora vive

Domani – 14 luglio 2020 – Latasha Harlins sarebbe una donna intenta a festeggiare i suoi 45 anni. Invece quel sabato mattina del 16 marzo 1991, Latasha era una ragazza afroamericana di 15 anni entrata in un negozio di liquori per comprare un succo d’arancia. E ne è uscita cadavere.

È successo a South Central, uno dei quartieri più poveri di Los Angeles (nel 1990 il tasso di povertà superava il 30%) abitato anche oggi quasi solo da ispanoamericani e afroamericani. All’epoca numerosi esercizi commerciali erano gestiti da immigrati coreani. Come l’Empire Liquors Market al 9172 di South Figueroa Street, all’incrocio con la 91esima strada, dove quella mattina entrò Latasha Harlins. Dietro al banco c’era Soon Ja Do, la donna titolare del negozio insieme al marito. Latasha aveva messo la bottiglietta di succo d’arancia nello zaino e Soon Ja Do non deve proprio averli visti quei due dollari nella mano della ragazza. Così la donna ha subito pensato al taccheggio: ne è nato un diverbio, una colluttazione e una volta che Latasha ha voltato le spalle per allontanarsi Soon Ja Do l’ha freddata con un colpo alla nuca sparato da circa un metro. Lo si può vedere nel video dell’accaduto ed è anche quanto è stato riportato da due testimoni oculari.

Al processo, tenutosi il 15 novembre 1991, la giuria ritenne Soon Ja Do colpevole di omicidio colposo volontario e raccomandò la pena massima: 16 anni di detenzione. Joyce Karlin, il giudice del processo, fu di tutt’altro avviso: la reazione di Soon Ja Do era in parte giustificata e così la condanna finale fu di soli cinque anni di libertà vigilata, 400 ore di servizi sociali, una multa di 500 dollari e il pagamento delle spese per il funerale.

Solo tredici giorni prima dell’omicidio di Latasha Harlins, poco dopo la mezzanotte del 3 marzo 1991, c’era stato il brutale pestaggio del tassista afroamericano Rodney King da parte di quattro agenti bianchi del Dipartimento di Polizia di Los Angeles (LAPD). Casualmente il tutto venne filmato da un videoamatore, un certo George Holliday, e quelle immagini fecero il giro del mondo destando ovunque scalpore.

Il 21 aprile 1992 la Corte d’appello della California confermò all’unanimità la decisione del giudice Joyce Karlin sul caso Latasha Harlins.

Otto giorni dopo, il 29 aprile del 1992, nella ricca e reazionaria Simy Valley, una giuria composta da dieci bianchi, una giurata di origine ispanoamericana e una di origine filippine, decretò l’assoluzione dei quattro agenti del LAPD dall’accusa di uso eccessivo della forza nei confronti di Rodney King.

Capita che ogni tanto la misura sia colma e quindi quella sentenza fece da detonatore alla più drammatica rivolta urbana di tutta la storia degli Stati Uniti d’America: oltre 60 morti, circa 2mila feriti, un miliardo di dollari di danni. “No justice no peace” era il motto dei manifestanti che aspettavano la sentenza fuori dal tribunale di Simy Valley. Giustizia per Rodney King, ma anche per Latasha Harlins e per tutti quegli afroamericani vittime degli abusi sistematici della polizia e del sistema giudiziario e più in generale giustizia per tutte le vittime del razzismo istituzionale, fatto anche di segregazione residenziale e discriminazione nell’accesso all’educazione, al lavoro e alla sanità. E poi giustizia per tutti quelli che non arrivano alla fine del mese: proprio per questo quella di Los Angeles divenne anche una ribellione di classe, una rivolta per il pane a cui si unirono centinaia di immigrati provenienti dal Centro America. Purtroppo fu in parte anche uno “scontro interetnico”: il 45% del totale dei danni economici venne subìto dai commercianti coreani e anche l’Empire Liquors Market fu saccheggiato e dato alle fiamme. È evidente che sotto questo aspetto il caso Latasha Harlins ebbe ancora più rilevanza del caso Rodney King: «Vogliono giustizia. Vogliono vedere che venga fatto qualcosa alla tipa che ha sparato alla ragazzina» dichiarò in quei giorni al Los Angeles Times il rapper Eazy E degli NWA.

Latasha Harlins, anche se non ha mai avuto la notorietà di Rodney King, è stata comunque un simbolo: per lei fu fondato un comitato di giustizia guidato dalla zia Denise, si tennero veglie, le vennero dedicati anche pezzi rap (vedi il video di Keep Ya Head Up del compianto Tupac Shakur, del ’93). Poi, come quasi sempre accade, è sceso lentamente l’oblio, fino però a una sua riscoperta recente, avvenuta probabilmente grazie anche al movimento Black Lives Matter del 2013 che non può non incidere sulle coscienze e sulla memoria collettiva.

Così nel 2015 è stato pubblicato il libro The Contested Murder of Latasha Harlins: Justice, Gender, and the Origins of the LA Riots della ricercatrice dell’Ucla Brenda Stevenson, mentre nel 2019 è uscito il breve documentario A Love Song for Latasha di Sophia Nahlia Allison, regista nativa proprio di South Central. Si tratta di un lavoro intimista che omaggia la vita, seppur breve, di Latasha attraverso la narrazione di Ty e Shinese, ovvero la sua migliore amica e sua cugina. Love Song for Latasha ha vinto diversi premi in Festival statunitensi ed è stato presentato anche al Tribeca Film Festival nel 2019 e al Sundance Film Festival proprio quest’anno.

Il documentario della Allison ha anche un sito ufficiale, www.alovesongforlatasha.com in cui è possibile vedere il trailer e trovare altro materiale molto interessante su Latasha Harlins.

MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.

Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.

La redazione – abbastanza ballerina – della bottega

 

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