“Lavoro ecoautonomo”

recensione di ALBERTO MELANDRI (*) al libro di Lucia Bertell

Nelle prime pagine di questo ricchissimo saggio (elèuthera editrice) l’autrice cita “la parabola che il saggio cherokee racconta ad un bambino della sua tribù: sono presenti due lupi nel cuore di ognuno di noi, uno buono e uno cattivo in perenne lotta fra loro. Alla domanda su quale dei due avrebbe avuto la meglio, il saggio risponde: – Quello che nutriremo di più“.  Bertell continua dicendo che “il lupo cattivo è per me il sistema dominante di mercato, il lupo buono le pratiche di resistenza e sottrazione al dominio mercificante e alle logiche stesse del potere.”

A queste pratiche di resistenza e sottrazione è dedicato tutto il saggio, che esprime costantemente un’attenzione molto sentita e acuta innanzitutto per la RINOMINAZIONE di concetti e pratiche, necessaria per distanziarsi “da un disagio e da un’ambivalenza riscontrata nella terminologia maggiormente usata”.

Per questo l’autrice – supportata dal suo gruppo di riferimento formato da Cristina Cometti e dal collettivo TILT, composto, oltre che dalla Bertell, da Federica de Cordova, Antonia De Vita e Giorgio Gosetti – non utilizza termini, peraltro molto diffusi, come “altra economia” o “economia solidale” (o sociale) o ancora “economie diverse” per definire forme di lavoro, che sono innanzitutto scelte di vita, caratterizzate da “relazioni umane, rapporto con l’ambiente, cura del locale e attenzione ai contesti per curare il globale”:  tutte le denominazioni normalmente utilizzate hanno in comune il termine economia ma – dice Cristina Cometti  – “la parola economia ha una taglia troppo piccola per il fenomeno che stiamo indagando; fenomeno che richiede una nominazione che abbia a che fare con la vita più che con la sola economia”. L’economia non è il motore di queste esperienze e per questo viene scelta l’espressione che costituisce il titolo del libro “Lavoro ECOautonomo” che mette in primo piano il legame fra scelte lavorative ed ecologia.

Un’analoga preoccupazione (volta a evitare di essere intrappolati all’interno del gioco della sinonimia che “riesce ad aggregare le differenze appiattendo le sfumature”) fa citare una riflessione di Pedro Garcia Olivo che spiega “lo scivolamento appropriativo con la progressiva, e politicamente voluta, dissoluzione della ‘differenza’ nella ‘diversità’.” (..) Nella ‘differenza’ c’è il seme di un disaccordo in cui prende vita una possibilità di divergenza e trasformazione. ‘Diversità’ è parola meno affilata di ‘differenza’.”

Queste attenzioni alle scelte lessicali sono espressione di un pensiero critico da cui parte la riflessione sulla trasformazione che ha investito l’area del cosiddetto Terzo settore, le cui organizzazioni “rispondevano in modo ambivalente a due spinte differenti. La prima derivava dalla forza e dalla presenza dei movimenti e dei gruppi di base, come (..) quello femminista per la salute delle donne o quelli dell’antipsichiatria o quelli dell’autotutela della salute dei lavoratori (..) La seconda spinta proveniva dall’intreccio del sistema pubblico a favorire, a supporto del welfare, la convenienza di dare risposte alle domande di cura crescenti (..) e l’interesse dei sistemi pubblici e privati di avere realtà esterne a propria disposizione che (..) potevano essere coinvolte nell’attivazione e gestione di servizi a costo minore”.  E poco più sotto: “ Il terzo settore si è quindi spostato nel mercato con tutta la dote e il sostegno” di quegli uomini e anche di quelle donne “che non ne hanno riconosciuto le sembianze di nuovo padre-padrone.”

Una sezione fondamentale del saggio riguarda i punti di riferimento ideali, che Lucia Bertell e il TILT hanno avuto per elaborare il metodo della loro ricerca sulle nuove forme di lavoro ecoautonomo e le riflessioni più generali a cui la loro ricerca le ha portate.

A cominciare dagli studi dell’antropologo Sahlins sulle società primitive, in cui “Il lavoro tribale è intermittente, sporadico, discontinuo, interrotto quando non più necessario.”

“L’economia dei primitivi non solo non risulta come un’economia della miseria, ma al contrario (..) dell’abbondanza”.

Secondo Axel Honneth, esponente della scuola di Francoforte, studioso della ristrutturazione neo-liberale del sistema economico capitalistico, “è attraverso questo processo che viene giustificato lo smantellamento dei diritti dei lavoratori (..) con l’incessante richiesta di sempre maggiore disponibilità alla flessibilità e all’investimento personale.”

Un’altra fonte di riflessioni è costituita da Ivan Illich secondo il quale “l’economia di mercato non conosce limiti (..) all’utilizzo delle risorse naturali (..) all’uso del tempo (..) all’uso delle relazioni”. A tutto ciò Illich contrappone il progetto di una società conviviale che è “una società che dà all’uomo la possibilità di esercitare l’azione più autonoma e creativa, con l’ausilio di strumenti meno controllabili da altri”.

Bertell cita poi la teoria bioeconomica di Georgescu-Roegen, che “critica i fondamenti di una crescita infinita, proprio perché ogni processo produttivo non dimininuisce, ma incrementa irreversibilmente, o lascia uguale, l’entropia del sistema-terra” : l’energia, una volta utilizzata, non è più disponibile e quindi non più utilizzabile da parte degli esseri umani. Per Georgescu-Roegen “l’unico prodotto che l’uomo può produrre nel rispetto della teoria bioeconomica (a entropia zero) è la ‘gioia di vivere’ “.

Anche Karl Polanyi viene considerato un punto di riferimento fondamentale, perché considera l’homo oeconomicus non come qualcosa di naturale ma come “il risultato di una costruzione storica”. Anche il mercato “non è la norma generale degli scambi economici, ma rappresenta un’eccezione storica”, quindi non è l’unica inevitabile forma che tali scambi possono assumere.

Un altro filone di pensiero è rappresentato dall’ecofemminismo della fisica indiana Vandana Shiva che si basa su “una critica alla scienza e allo sviluppo come progetti patriarcali che legittimano la relazione distruttiva e violenta con la terra”.  La violenza contro la natura è associata da questa studiosa a quella contro le donne e quindi “la democratizzazione del sapere diventa un’esigenza imprescindibile, una precondizione della liberazione umana dalla monocultura e dal dominio patriarcale ed economicista sulle donne”.  All’interno della riflessione sul pensiero di Shiva, Lucia Bertell introduce un parallelismo fra il pensiero femminista e quello radicato all’interno della tradizione anarchica, accomunati dalla messa in primo piano dell’individuo, dell’espressione di sé , dalla “necessità di riconoscimento a partire dalle proprie creazioni, ovvero dal proprio lavoro” verso l’autonomia e l’autodeterminazione.

Dopo un capitolo dedicato al racconto delle esperienze di sette lavoratori ECOautonomi, accomunati “da un approccio al lavoro che ha a che fare con la vita, non con il profitto”, l’autrice continua la sua riflessione proponendo un’altra scelta lessicale attenta ad evitare quello che lei definisce “l’appiattimento comunicativo”: la sostituzione dell’uso dell’aggettivo ‘sostenibile’, ormai corrotto dall’uso e reso ambiguo da una sua sovrautilizzazione al servizio degli interessi del mercato capitalista, con ‘praticabile’, in quanto un lavoro praticabile “si sviluppa attraverso pratiche di vita nella consonanza fra esseri” . E – come dice Dominique Méda – “se vogliamo che il lavoro sia la nostra opera e che divenga il nostro grande medium sociale, si deve rompere con la sua dimensione fondamentale, che è quella economica, si deve rinunciare alla ricerca infinita dell’abbondanza e dell’efficacia e, quindi, alla subordinazione”.

Un’ulteriore proposta lessicale è costituita dall’espressione ‘carsismo vernacolare’, per definire le pratiche di lavoro ECOautonomo che “scelgono l’anonimato dei vicoli e delle tane” per sfuggire “alla vista dei talent scout del marketing, dei parolai della pubblicità, dei fabbricanti di metafore, cioè di coloro che farebbero delle loro pratiche di resistenza le caratteristiche per il lancio di un nuovo prodotto, di una nuova moda, di una nuova linea di mercato” come è accaduto con l’inserimento nella grande distribuzione dei prodotti biologici ed equi e solidali, appiattiti in micronicchie e posti sullo stesso piano di un oceano di prodotti non-biologici, non-equi e non-solidali.

(*) Alberto Melandri: Pontegradella–in-transizione e CIES FERRARA

 

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Un commento

  • Roberto Brioschi

    per favore tienimi aggiornato. il mio profilo lo trovi su google digitando Roberto Brioschi ( autore pet Altreconomia) Un bel saluto.

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