Il pianeta assassinato: politica, epidemie, cibi e scienze

testi di Patrizia Gentilini, David Quammen, Gianni Tamino, Rob Wallace e Wwf

In coda una “nota della bottega” e i link ai nostri 7 dossier precedenti

 

L’AGROINDUSTRIA E LE EPIDEMIE

intervista a Rob Wallace (Le domande sono state poste da Yaak Pabst)

Quanto è pericoloso il nuovo coronavirus?

Rob Wallace: Dipende da dove ci si trova nella tempistica della propria epidemia locale di Covid-19: all’inizio, al picco, tardi? Quanto è buona la reazione della sanità pubblica della propria regione? A quale segmento demografico si appartiene? Quanti anni si hanno? Si è immunologicamente compromessi? E per considerare una possibilità non diagnosticabile: la propria immunogenetica, la genetica alla base della propria reazione immunitaria, è in linea con il virus o no?

Dunque, tutto questo clamore riguardo al virus è solo una tattica per spaventare?

No, certamente no. A livello di popolazione il Covid-19 segnava tra il 2% e il 4% di tasso di mortalità dei casi (CFR) all’inizio dell’epidemia a Wuhan. Fuori da Wuhan il CFR risulta scendere intorno all’un per cento, o anche meno, ma risulta anche avere dei picchi qua è là, compresi luoghi come l’Italia e gli Stati Uniti. La sua percentuale non pare alta in confronto, diciamo, con la SARS al 10%, l’influenza del 1918 tra il 5 e il 20%, l’”influenza aviaria” H5N1 al 60% o, in certi punti, l’Ebola al 90%. Ma certamente supera il CFR dell’influenza stagionale: 0,1%. Il pericolo non è tuttavia solo una questione di tasso di mortalità. Dobbiamo vedercela quello che è chiamato tasso di penetrazione o attacco comunitario: quanta della popolazione globale è infettata dall’epidemia.

Può essere più specifico?

La rete globale dei trasporti di passeggeri è a un livello record di connessione. Senza vaccini o antivirali specifici per il coronavirus, né a questo punto alcuna immunità di gregge, anche un ceppo di solo l’un per cento di mortalità può presentare un pericolo considerevole. Con un periodo di incubazione di fino a due settimane e una crescente evidenza di alcune trasmissioni prima della malattia – prima di sapere che le persone sono contagiate – pochi luoghi probabilmente sarebbero privi di infezioni. Se, diciamo, il Covid-19 registrasse l’un per cento di mortalità nel corso dell’infezione di quattro miliardi di persone, si tratterebbe di 40 milioni di morti. Una piccola percentuale di un grande numero può essere comunque un grande numero.

Sono cifre paurose per un patogeno verosimilmente meno virulento…

Decisamente, e siamo solo all’inizio dell’epidemia. E’ importante capire che molte nuove infezioni cambiano nel corso dell’epidemia. La contagiosità, la virulenza o entrambe possono attenuarsi. D’altro canto altre epidemie aumentano di virulenza. La prima ondata della pandemia di influenza nella primavera del 1918 fu un’infezione relativamente leggera. Furono la seconda e la terza ondata quell’inverno e nel 1919 che uccisero milioni di persone.

Ma gli scettici della pandemia sostengono che è stato contagiato e ucciso dal coronavirus un numero di pazienti minore di quello della tipica influenza stagionale. Che cosa ne pensa?

Sarei il primo a festeggiare se questa epidemia si dimostrasse una bomba inesplosa. Ma questi tentativi di scartare il Covid-19 come un possibile pericolo citando altre malattie mortali, specialmente l’influenza, sono un artificio retorico per interpretare la preoccupazione del coronavirus come mal riposta.

Dunque il confronto con l’influenza stagionale è zoppicante…

Ha poco senso paragonare due patogeni in parti diverse delle loro epicurve. Tuttavia l’influenza stagionale fa contagiare gli uni gli altri molti milioni di persone, uccidendone, secondo stime dell’OMS, fino a 650.000 l’anno. Il Covid-19, tuttavia, sta solo cominciando il suo percorso epidemiologico. E diversamente dall’influenza non abbiamo né un vaccino, né l’immunità di gregge per rallentare l’infezione e proteggere le popolazioni più vulnerabili.

Anche se il confronto è fuorviante, entrambe le malattie appartengono a virus, persino a un gruppo specifico, i virus RNA. Entrambe causano malattie. Entrambe colpiscono la bocca e l’area della gola e a volte anche i polmoni. Entrambe sono molto contagiose.

Queste sono somiglianze superficiali che non colgono una parte cruciale nel confrontare due patogeni. Sappiamo molto riguardo alla dinamica dell’influenza. Sappiamo pochissimo riguardo a quella del Covid-19. E’ immerso nell’ignoto. In effetti c’è molto riguardo al Covid-19 che non è conoscibile fino a quando l’epidemia non si manifesterà appieno. Al tempo stesso, è importante capire che non è questione di Covid-19 rispetto all’influenza. Si tratta di Covid-19 e influenza. L’emergere di infezioni multiple capaci di diventare pandemiche, attaccando popolazioni in combinazione, dovrebbe essere al centro della preoccupazione.

Lei conduce ricerche sulle epidemie e le loro cause da molti anni. Nel suo libro “Big Farms Make Big Flu” [Grandi fattorie causano grandi influenze] lei tenta di ricavare questi collegamenti tra le pratiche agricole industriali, l’agricoltura organica e l’epidemiologia virale. Quali sono i suoi approfondimenti?

Il vero pericolo di ogni nuovo focolaio è l’assenza o, detto meglio, il rifiuto interessato di capire che ciascun nuovo Covid-19 non è un incidente isolato. L’accresciuto presentarsi di virus è strettamente legato alla produzione di cibo e ai profitti delle imprese multinazionali. Chiunque miri a capire perché i virus stanno diventando più pericolosi deve indagare il modello industriale dell’agricoltura e, più specificamente, la produzione di bestiame. Attualmente pochi governi, e pochi scienziati, sono preparati a farlo. Tutto il contrario.

Quando sorgono le nuove epidemie i governi, i media e persino gran parte della dirigenza medica sono così concentrati su ciascuna emergenza separata che scartano le cause strutturali che stanno spingendo molteplici patogeni marginali a un’improvvisa celebrità globale, uno dopo l’altro?

Di chi la colpa?

Ho detto dell’agricoltura industriale, ma c’è un ambito più vasto al riguardo. Il capitale sta capeggiando arraffamenti di terre nell’ultima delle foreste primarie e in piccole proprietà agricole in tutto il mondo. Queste investimenti determinano la deforestazione e gli sviluppi urbani che conducono all’emergere di malattie. La diversità e complessità funzionali di questi vasti territori sono ridotte in modo tale che patogeni in precedenza bloccati si stanno riversando in bestiame e comunità umane locali. In poche parole, capitali come Londra, New York e Hong Kong andrebbero considerati come i nostri principali punti caldi della malattia.

Di quali malattie parliamo?

A questo punto non ci sono patogeni che non arrivino nelle capitali. Anche le più remote sono colpite, anche se a distanza. Ebola, Zika, i coronavirus, di nuovo la febbre gialla, una varietà di influenze aviarie, la febbre suina africana nei maiali sono tra i molti patogeni che si fanno strada dagli entroterra più remoti a circuiti peri-urbani, a capitali regionali e alla fine nella rete globale dei trasporti passeggeri. Dai pipistrelli della frutta in Congo a uccidere chi si abbronza a Miami, nel giro di poche settimane.

Qual è il ruolo delle multinazionali in questo processo?

Il Pianeta Terra a questo punto è in larga misura il Pianeta Fattoria, quanto a biomasse e terre usate. L’agroindustria sta mirando a monopolizzare il mercato alimentare. La quasi interezza del progetto neoliberista è organizzata intorno al sostegno di sforzi di imprese con sede nei paesi industriali più avanzati di prendersi la terra e le risorse dei paesi più deboli. In conseguenza, molti di questi patogeni in precedenza tenuti sotto controllo dalle ecologie forestali dalla lunga evoluzione sono liberati, minacciando il mondo intero.

Quali effetti hanno su questo i metodi produttivi dell’agroindustria?

L’agricoltura capitalistica che sostituisce ecologie più naturali offre esattamente i mezzi attraverso i quali i patogeni possono evolvere i fenotipi più virulenti e infettivi. Non si potrebbe ideare un sistema migliore per coltivare malattie mortali.

Come mai?

Allevare monocolture genetiche di animali domestici rimuove qualsiasi barriera possa essere disponibile per rallentarne la trasmissione. Le dimensioni e le densità di popolazioni più vaste facilitano tassi maggiori di trasmissione. Tali condizioni affollate deprimono la risposta immunitaria. L’elevata capacità di trasmissione, parte di ogni produzione industriale, offre una quantità continuamente rinnovata di soggetti sensibili, il carburante dell’evoluzione della virulenza. In altre parole, l’agroindustria è così concentrata sui profitti che selezionare un virus che potrebbe uccidere un miliardo di persone è trattato come un rischio da correre.

Cosa!?

Queste società possono semplicemente scaricare su tutti gli altri i costi delle loro attività epidemiologicamente pericolose. Dagli stessi animali ai consumatori, lavoratori agricoli, ambienti e governi locali attraverso giurisdizioni. I danni sono così estesi che dovessimo riportare quei costi sui bilanci delle società, l’agroindustria che conosciamo sarebbe finita per sempre. Nessuna società potrebbe sostenere i costi dei danni che impone.

Su molti media si afferma che il punto di partenza del coronavirus è stato un “mercato di cibi esotici” a Wuhan. Questa descrizione è vera?

Sì e no. Ci sono indizi spaziali a favore dell’idea. Il tracciamento dei contatti ha ricollegato le infezioni al Mercato all’Ingrosso del Pesce di Hunan in Wuhan, dove erano venduti animali selvatici. Il campionamento ambientale in effetti risulta indicare la parte occidentale del mercato, dove erano tenuti gli animali selvatici.

Ma quanto indietro e quanto diffusamente dovremmo indagare? Quando esattamente è realmente iniziata l’epidemia? La concentrazione sul mercato non coglie le origini dell’agricoltura selvatica negli entroterra e la sua recente capitalizzazione. Globalmente, e in Cina, il cibo selvatico sta diventando più formalizzato come settore economico. Ma la sua relazione con l’agricoltura industriale si estende oltra la mera condivisione degli stessi sacchi di soldi. Quando la produzione industriale – maiali, pollame e simili – si espande nella foresta primaria, esercita pressioni sugli operatori del cibo selvatico perché frughino più addentro nella foresta in cerca di fonti, aumentando l’interfaccia con, e il riversamento di, nuovi patogeni, incluso il Covid-19.

Il Covid-19 non è il primo virus a svilupparsi in Cina che il governo ha cercato di nascondere.

Sì, tuttavia questo non rende eccezionali i cinesi. Anche Stati Uniti ed Europa sono stati epicentri di nuove influenze, recentemente H5N2 e H5Nx, e le loro multinazionali e vassalli neocoloniali hanno spinto l’emergere dell’Ebola in Africa Occidentale e della Zika in Brasile. I dirigenti della sanità pubblica statunitense hanno coperto l’agroindustria durante le epidemie di H1N1 (2009) e H5N2.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha ora dichiarato una “emergenza sanitaria di interesse internazionale”. Tale passo è corretto?

Sì. Il pericolo di un tale patogeno è che le autorità sanitarie non devono basarsi sulla distribuzione statistica del rischio. Non abbiamo idea di come il patogeno possa rispondere. Siamo passati da un focolaio in un mercato a infezioni schizzate in tutto il mondo nel giro di settimane. Il patogeno potrebbe semplicemente esaurirsi. Sarebbe grandioso. Ma non lo sappiamo. Una preparazione migliore accrescerebbe le probabilità di ridurre la velocità di fuga del patogeno.

La dichiarazione dell’OMS fa anche parte di quello che io chiamo teatro pandemico. Organizzazioni internazionali sono morte a causa dell’inazione. Viene in mente la Lega delle Nazioni. Il gruppo di organizzazioni dell’ONU teme sempre per la propria rilevanza, potere e finanziamenti. Ma tale azionismo può anche convergere nell’effettiva preparazione e prevenzione di cui il mondo ha bisogno per bloccare le linee di trasmissione del Covid-19.

La ristrutturazione neoliberista del sistema dell’assistenza sanitaria ha peggiorato sia la ricerca sia la cura generale dei pazienti, ad esempio negli ospedali. Quale differenza potrebbe fare un sistema di assistenza sanitaria finanziato meglio nel combattere il virus?

C’è la storia terribile ma indicativa del dipendente di una società di consulenza medica di Miami che, tornato dalla Cina con sintomi di tipo influenzale, ha fatto la cosa giusta per la sua famiglia e la sua comunità chiedendo a un ospedale locale di sottoporlo a test per il Covid-19. Era preoccupato che la sua opzione minima del [programma di assistenza sanitaria] Obamacare non avrebbe coperto il costo. Aveva ragione. Si è trovato improvvisamente indebitato di 3.270 dollari. Una rivendicazione statunitense potrebbe essere che sia approvato un decreto d’emergenza che preveda che nel corso dello scoppio di un’epidemia, tutte la parcelle mediche relative a test per infezioni e a cure dopo un test positivo siano pagate dal governo federale. Vogliamo incoraggiare le persone a cercare aiuto, dopotutto, piuttosto che nascondersi – e contagiare altri – perché non possono permettersi le cure. L’ovvia soluzione è un servizio sanitario nazionale – pienamente dotato di personale e attrezzature per gestire tali emergenze a livello di comunità – in modo che un problema tanto ridicolo quale lo scoraggiamento della cooperazione comunitaria non sorga mai.

Non appena il virus è scoperto in un paese, i governi dovunque reagiscono con misure autoritarie e punitive, quali la quarantena obbligatoria di intere aree e città. Simili misure drastiche sono giustificate?

Usare un’epidemia come beta test del più recente controllo autocratico post epidemia è capitalismo dei disastri oltre i limiti. In termini di sanità pubblica io sbaglierei dalla parte della fiducia e della compassione, che sono importanti variabili epidemiologiche. Senza di esse le giurisdizioni perdono il sostegno delle loro popolazioni. Un senso di solidarietà e comune rispetto è parte cruciale del suscitare la cooperazione di cui abbiamo bisogno per sopravvivere insieme a simili minacce. L’auto-quarantena con appropriati controlli di sostegno da parte di catene di vicinato addestrate, forniture di beni alimentari porta a porta, permessi dal lavoro e indennità di disoccupazione, possono suscitare quel genere di cooperazione, che siamo tutti nella stessa barca.

Come forse sa, in Germania con l’AfD abbiamo un partito di fatto nazista con 94 seggi in parlamento. La destra nazista dura e altri gruppi associati a politici dell’AfD usano la crisi del coronavirus per la loro agitazione. Diffondono notizie (false) riguardo al virus e chiedono misure più autoritarie da parte del governo: limitazioni dei voli e blocco dell’ingresso dei migranti, chiusure dei confini e quarantena forzata…

I divieti dei viaggi e le chiusure dei confini sono richiesti mediante le quali la destra radicale vuole rendere razziali quelle che sono affezioni globali. Questo, naturalmente, è insensato. A questo punto, considerato che il virus è già in corso di diffondersi dovunque, la cosa sensata da fare è lavorare allo sviluppo del genere di resilienza della sanità pubblica in cui non importa chi si presenta con un’infezione, noi abbiamo i mezzi per trattarlo e curarlo. Naturalmente, smettere di sottrarre terre all’estero e di causare esodi, tanto per cominciare, e possiamo innanzitutto evitare che i patogeni emergano.

Quali sarebbero cambiamenti sostenibili?

Al fine di ridurre l’emergere di nuove epidemie virali, la produzione alimentare deve cambiare radicalmente. L’autonomia degli agricoltori e un forte settore pubblico possono frenare […] le infezioni fuori controllo. Introdurre varietà di bestiame e raccolti – e una riforestazione strategica – sia a livello di fattoria sia a livelli regionali. Permettere che gli animali si riproducano in luogo per trasferire immunità verificate. Collegare la giusta produzione con la giusta circolazione. Sovvenzionare il sostegno ai prezzi e a programmi di acquisto dei consumatori a sostegno della produzione agroecologica. Difendere questi esperimenti sia dalle compulsioni imposte dall’economia neoliberista sia agli individui sia alle comunità e la minaccia della repressione dello stato a guida capitalista.

Che cosa dovrebbero chiedere i socialisti di fronte alla crescente dinamica delle epidemie?

L’agroindustria, come modo di riproduzione sociale, deve essere abbandonata per davvero, anche se solo per ragioni di sanità pubblica. La produzione fortemente capitalizzata di alimenti dipende da pratiche che mettono a rischio l’intera umanità, in questo caso contribuendo a scatenare una nuova pandemia mortale. Dovremmo pretendere che i sistemi alimentari siano socializzati in modo tale che a patogeni così pericolosi sia impedito di emergere, tanto per cominciare. Ciò richiederà la reintegrazione della produzione di alimenti prima nei bisogni delle comunità rurali. Ciò richiederà pratiche agroecologiche che proteggano l’ambiente e gli agricoltori mentre fanno crescere il nostro cibo. Nel grande quadro dobbiamo curare le fratture metaboliche che separano le nostre ecologie dalle nostre economie. In breve, abbiamo un pianeta da vincere.

Mille grazie per l’intervista.

da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo – www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/agribusiness-would-risk-millions-of-deaths/

Originale: Marx21,  Traduzione di Giuseppe Volpe

da qui

 

Tutelare la salute umana conservando la biodiversità – WWF

Molte delle cosiddette malattie emergenti – come Ebola, AIDS, SARS, influenza aviaria, influenza suina e oggi il nuovo coronavirus (SARS-CoV-2 definito in precedenza come COVID-2019) non sono eventi catastrofi casuali, ma la conseguenza del nostro impatto sugli ecosistemi naturali.

L’uomo con le proprie attività ha alterato in maniera significativa i tre quarti delle terre emerse e i due terzi degli oceani , modificando a tal punto il Pianeta da determinare la nascita di una nuova epoca denominata “Antropocene”.

Molte pandemie degli ultimi decenni hanno origine nei mercati di metropoli asiatiche o africanedove si riscontra il commercio illegale o incontrollato di animali selvatici vivi, di scimmie, di pipistrelli, di carne di serpente, scaglie di pangolini, e tanti altri rettili, mammiferi e uccelli.

Si creano in questo modo pericolose opportunità per il contatto tra l’uomo e le malattie di questi organismi, offrendo il fianco allo sviluppo di vecchie e nuove zoonosi, ovvero di malattie infettive che possono essere trasmesse dagli animali all’uomo.

Nel report cercheremo di illustrare quali sono i collegamenti, in larga parte ancora poco noti, tra le nostre azioni sugli ecosistemi e la biodiversità e le conseguenze che queste hanno sulla diffusione di alcune malattie e quindi sulla salute pubblica, fino alle condizioni socio-economiche delle nostre società.

In questa prospettiva l’attuale pandemia di coronavirus SARS-CoV-2 che sta mettendo in seria crisi il mondo, offre lo spunto per un approfondimento del rapporto uomo e natura sempre più globalizzato.

QUI il rapporto completo “Pandemie e distruzione degli ecosistemi”

 

L’ambiente inquinato è più grave del Covid 19

Patrizia Gentilini intervistata da Francesco Bilotta (attenzione alla precisazione qui sotto)

La diffusione del coronavirus come si colloca rispetto alle patologie ambientali? Ne abbiamo parlato con Patrizia Gentilini, medico oncologo ed ematologo, membro di Isde-Associazione di medici per l’ambiente, per fare il punto sulle minacce che incombono sulla nostra salute.

Quale è il suo giudizio su questo virus e sulle drastiche iniziative che cercano di isolarlo e impedire la sua diffusione?

I virus hanno sempre circolato. Questo appartiene alla categoria dei coronavirus e anche se è nuovo non è particolarmente grave. Non sono spaventata. L’80% delle persone colpite ha una risposta blanda e il virus sembra risparmiare i più giovani. Niente a che vedere con la Sars (Sindrome respiratoria acuta), dove la risposta immunitaria al coronavirus era più violenta ed era la stessa risposta immunitaria a produrre i danni maggiori, con liberazione di citochine e una serie di eventi a cascata. Le misure di contenimento sono necessarie per ridurre il numero di persone che vengono a contatto col virus. La letalità si attesta intorno al 2%, un valore non particolarmente alto, ma se i contagiati fossero milioni, allora il numero complessivo di morti sarebbe elevato.

La salute umana è correlata agli squilibri ambientali e questo vale anche per il nuovo coronavirus. In che modo le sostanze chimiche di sintesi e gli inquinanti ambientali possono alterare la risposta immunitaria e facilitare l’azione di virus e batteri?

Tutte le sostanze chimiche che agiscono come interferenti endocrini influiscono sulla capacità immunitaria dell’organismo. Si assiste a una invasione di sostanze chimiche di sintesi (pesticidi, additivi alimentari) e di inquinanti ambientali che hanno effetti tossici e mutageni. I sistemi immunitari più efficienti superano meglio una malattia virale o batterica. Le persone anziane o immunodepresse hanno più difficoltà.

Questa epidemia mette in discussione, ancora di più, il rapporto tra l’uomo e l’ambiente. Gli ecosistemi biologici sono stati profondamente modificati. In che misura le malattie emergenti sono legati ai fattori ambientali?

Le attività umane stanno sconvolgendo gli ambienti microbici e le profonde modificazioni che sono state indotte cambiano anche le modalità di trasmissione e diffusione di virus e batteri. C’è, inoltre una stretta relazione tra inquinamento ambientale (suolo, acqua, aria) e l’insorgenza di gravi patologie. Questo virus è molto potente, nel senso che è riuscito a fermare il mondo, quello che non riesce a fare l’inquinamento ambientale che produce ogni anno nel mondo, secondo l’Oms, più di 12 milioni di morti premature e, di questi, ben 8 milioni sono dovuti all’inquinamento atmosferico. In Italia ogni anno si registrano 80 mila morti a causa dell’inquinamento ambientale e siamo il primo paese in Europa per mortalità dovuta alle polveri sottili. Si sottovaluta il pericolo rappresentato dalle sostanze inquinanti. Si mette in atto una indispensabile mobilitazione per fermare il virus, mentre si adoperano misure palliative rispetto all’inquinamento. Due pesi e due misure che ha gravi conseguenze.

L’area lombardo-veneta, dove sono presenti i principali focolai del virus, è anche quella dove si registrano i tassi più elevati di inquinamento atmosferico e del suolo. Cosa si può fare, una volta superata l’emergenza coronavirus, per affrontare la questione delle malattie legate agli squilibri ambientali prodotti dall’uomo?

Il coronavirus mobilita e riesce a mettere in discussione le nostre abitudini perché scatena paure ancestrali. Attualmente, nei paesi occidentali, il 91% delle morti è causato da malattie non trasmissibili (cardiovascolari, respiratorie, tumori), con l’ambiente che svolge un ruolo decisivo nel favorirle, mentre il 9% è causato da malattie infettive. Le aree più inquinate sono quelle dove si registra la più alta incidenza di patologie. Nella pianura Padana l’esposizione alle polveri sottili e al biossido di azoto rappresenta una emergenza sanitaria. Le concentrazioni hanno raggiunto livelli insostenibili senza che le amministrazioni attuassero misure adeguate. In Veneto c’è una emergenza ambientale causata dall’elevata concentrazione di Pfas (sostanze perfluoro alchiliche) nelle acque sotterranee, superficiali e potabili. Intere comunità sono avvelenate da queste sostanze e una alta percentuale dei residenti nella regione ha valori elevati nel sangue. Facciamo fatica a cogliere la dimensione dei fenomeni, c’è una diversa percezione del pericolo, ma i veleni invisibili meritano la stessa attenzione che stiamo dedicando al coronavirus.

da qui

PRECISAZIONE IMPORTANTE – quando già il dossier stava girando Patrizia Gentilini ha mandato questo msg: 

«Ho visto una mia intervista insieme ad altri documenti di Tamino, WWF etc. Grazie, voglio però segnalare un errore nel testo della mia intervista (sinceramente non ricordo chi me l’ha fatta!)  e cioè ad un certo punto è scritto che sono 80.000 le morti ogni anno per inquinamento ambientale in Italia, magari… Purtroppo sono molte di più! 80.000  circa sono i decessi ogni anno per la sola qualità dell’ aria e per soli 3 inquinanti ( PM2.5, NO2, Ozono) i dati vengono da questo Report

https://www.eea.europa.eu/publications/air-quality-in-europe-2019

Per favore correggete, basta sostituire “inquinamento ambientale” con “inquinamento dell’aria!

Patrizia Gentilini

P.S. l’intervista mi era stata all’inizio dell’epidemia e sinceramente oggi non direi  che “non sono preoccupata”… ma che  sono sgomenta!»

 

David Quammen: «Questo virus è più pericoloso di Ebola e Sars»

Intervista di Stella Levantesi

Otto anni fa, nel 2012, il divulgatore scientifico e autore David Quammen ha scritto nel suo libro Spillover (Adelphi, 2014), una storia dell’evoluzione delle epidemie, che la futura grande pandemia («the Next Big One») sarebbe stata causata da un virus zoonotico trasmesso da un animale selvatico, verosimilmente un pipistrello, e sarebbe venuto a contatto con l’uomo attraverso un «wet market» in Cina.

Ma non si tratta di una profezia, Quammen è arrivato a queste conclusioni attraverso ricerche, inchieste e interviste accompagnate dai dati scientifici degli esperti.

Dalla sua casa in Montana, Quammen ci aiuta a comprendere meglio la pandemia di coronavirus, la sua genesi e il suo sviluppo.

Come avviene lo «spillover»?

Spillover è il termine che indica quel momento in cui un virus passa dal suo «ospite» non umano (un animale) al primo «ospite» umano. Questo è lo spillover. Il primo ospite umano è il paziente zero. Le malattie infettive che seguono questo processo si chiamiamo zoonosi.

Una delle sezioni del suo libro si chiama «Tutto ha un’origine», in che modo la distruzione della biodiversità da parte dell’uomo e l’interferenza dell’uomo nell’ambiente creano le condizioni per la comparsa di nuovi virus come il coronavirus?

Nei nostri ecosistemi si trovano molti tipi diversi di specie animali, piante, funghi, batteri e altre forme di diversità biologica, tutte creature cellulari. Un virus non è una creatura cellulare, è un tratto di materiale genetico all’interno di una capsula proteica e può riprodursi solo entrando all’interno di una creatura cellulare.

Molte specie animali sono portatrici di forme di virus uniche. Ed eccoci qui come potenziale nuovo ospite. Così i virus ci infettano. Così, quando noi umani interferiamo con i diversi ecosistemi, quando abbattiamo gli alberi e deforestiamo, scaviamo pozzi e miniere, catturiamo animali, li uccidiamo o li catturiamo vivi per venderli in un mercato, disturbiamo questi ecosistemi e scateniamo nuovi virus.

Poi siamo così tanti – 7,7 miliardi di esseri umani sul pianeta che volano in aereo in ogni direzione, trasportano cibo e altri materiali – e se questi virus si evolvono in modo da potersi trasmettere da un essere umano all’altro, allora hanno vinto la lotteria. Questa è la causa alla radice dello spillover, del problema delle zoonosi che diventano pandemie globali.

La distinzione tra zoonosi e non zoonosi aiuta in qualche modo a spiegare perché l’uomo ha sconfitto certe malattie e non altre? In altre parole, è più difficile “curare” le zoonosi? E se sì, perché?

Sì, è così. Il 60% delle malattie infettive umane sono zoonosi, cioè il virus è stato trasmesso da un animale in tempi relativamente recenti. L’altro 40% delle malattie infettive proviene da altro, da virus o altri agenti patogeni che si sono lentamente evoluti nel tempo insieme all’uomo.

Quindi possiamo sradicare le non zoonosi, il cui virus si è adattato solo a noi e non vive in altri animali. Il caso più famoso è il vaiolo, che abbiamo sradicato e ora esiste solo nei laboratori e non circola nella popolazione umana. Siamo riusciti a farlo perché non vive anche negli animali.

Se il vaiolo vivesse in un pipistrello o in una specie di scimmia, allora non potremmo liberarcene nella popolazione umana se non ce ne liberassimo anche in quell’animale, dovremmo uccidere tutti quei pipistrelli o curare anche loro dal vaiolo.

Ecco perché possiamo sradicare una malattia come il vaiolo ed è per questo che alla fine non potremo mai sradicare una zoonosi, a meno che non uccidiamo gli animali in cui vive.

Quindi, se un virus ci arriva dai pipistrelli, qual è la soluzione? Dovremmo uccidere tutti i pipistrelli?

No, la soluzione è lasciare i pipistrelli in pace, perché i nostri ecosistemi hanno bisogno dei pipistrelli.

Riguardo ai pipistrelli, il fatto che siano mammiferi come gli esseri umani rende più facile la trasmissione del virus da loro a noi? È proprio perché siamo entrambi mammiferi che lo «spillover» è più probabile?

Sì, è così. Molti dei virus che hanno causato le zoonosi negli ultimi 60 anni hanno trovato il loro ospite nei pipistrelli. Sono mammiferi come noi e i virus che si adattano a loro hanno più probabilità di adattarsi a noi rispetto a un virus che è in un rettile o in una pianta, per esempio.

La seconda ragione è che i pipistrelli rappresentano un quarto di tutte le specie di mammiferi sul pianeta, il 25%. È naturale, quindi, che sembrino sovra rappresentati come fonti di virus per l’uomo.

Ci sono un altro paio di cose oltre a questo che rendono i pipistrelli ospiti più probabili, vivono a lungo e tendono a rintanarsi in enormi aggregazioni. In una grotta, potrebbero esserci anche 60.000 pipistrelli e questa è una circostanza favorevole per far circolare i virus.

C’è un’altra cosa che gli scienziati hanno scoperto da poco: il sistema immunitario dei pipistrelli è più tollerante ad «estraneità» presenti nel loro organismo rispetto ad altri sistemi immunitari.

Da quanto ho capito le epidemie della storia non sono indipendenti l’una dall’altra ma, in qualche modo, sono collegate e ricorrenti per i motivi di cui abbiamo parlato prima, quindi dove vanno a finire i virus quando non presentano una minaccia diretta agli esseri umani?

Questa epidemia è talmente diffusa che potrebbe non scomparire del tutto, ma provo a fare un esempio diverso: l’Ebola nel 2014 in Africa occidentale. Non conosciamo ancora l’ospite con certezza ma sospettiamo che si tratti di pipistrelli. Si scatena un’epidemia che uccide migliaia di persone, medici e scienziati rispondono alla minaccia e finalmente rallentano l’epidemia che poi sparisce. Dove va a finire il virus? Se ne va? No, è ancora nell’ospite.

I virus non tornano dall’essere umano all’ospite ma il virus continua a risiedere nell’ospite. E questo è ciò che accade con la maggior parte di queste epidemie. Arrivano, colpiscono gli esseri umani, le persone soffrono, muoiono, gli esperti sanitari rispondono, l’epidemia viene messa sotto controllo, l’epidemia scompare e poi passano diversi anni prima che si ripeta. Dov’è il virus nel frattempo? È nell’ospite.

C’è una correlazione tra l’aumento del tasso di inquinamento in alcune zone e un impatto più forte del virus sulla popolazione di quella zona?

Sì, penso che ci possa essere una correlazione tra l’inquinamento dell’aria e i danni ai polmoni e alle vie respiratorie delle persone e quindi la loro suscettibilità a questo particolare virus. Credo che questa sia una domanda importante. Non abbiamo ancora risposte certe ma è una domanda che merita ricerca e attenzione.

È del tutto possibile che il danno ai polmoni delle persone, anche quando non si nota in circostanze normali, possa essere presente e sufficiente a renderle più vulnerabili a questo virus.

Un altro aspetto è che i sintomi arrivano più tardi del contagio. Quindi non c’è nessun allarme da parte dell’organismo che dice: «Sei infetto». Questo può rendere il Covid-19 più pericolosa di altre malattie che mostrano i sintomi prima?

Sì, la rende più pericolosa. Credo di aver scritto in Spillover che siamo stati fortunati con la Sars perché era un virus molto pericoloso: si diffondeva facilmente da un essere umano all’altro e aveva un alto tasso di mortalità, quasi il 10%, eppure, sarebbe stato peggio se le persone fossero state contagiose ancor prima di manifestare i sintomi. E ho scritto: «Dio non voglia che avremo a che fare con un virus grave come la Sars che si diffonde dalle persone prima che si vedano i sintomi». In questo momento abbiamo esattamente questo caso di virus.

Dicono che quando un proiettile ti colpisce non senti mai il colpo, perché il proiettile arriva prima e poi il suono arriva dopo. Questo virus funziona così.

Ho notato che la disinformazione scientifica che riguarda il coronavirus ha molti punti di contatto con le dinamiche della disinformazione climatica. Qual è la sua opinione al riguardo? E quanto è importante affrontare la disinformazione scientifica?

È estremamente importante affrontare la disinformazione scientifica. C’è sicuramente una sovrapposizione rispetto al cambiamento climatico. Ci sono persone che sono impazienti, arrabbiate e poco informate. Ricevono notizie da fonti inaffidabili e hanno appetito per una forma negativa di eccitazione. Hanno più interesse per le cospirazioni che per la scienza. La disinformazione si diffonde facilmente.

Dov’è la soglia limite tra l’offerta di notizie accurate, credibili, trasparenti e accessibili a tutti e il bombardamento continuo di “notizie” sul virus?

Esiste un limite e di informazione può essercene troppa. Viviamo in un mondo dove i media sono attivi 24 ore su 24 e vogliono aggiornamenti e occhi. Vogliono che la gente consulti la loro piattaforma perché hanno qualcosa un minuto prima di un’altra. È un tipo di competizione che non fa bene a nessuno – a parte agli azionisti della piattaforma stessa. Quindi penso che noi, come consumatori di notizie, dobbiamo resistere all’ossessione di sapere quale sia l’ultimo dato, l’ultimo caso, l’ultima notizia dell’ultima ora.

Dobbiamo seguire l’informazione sul virus, prestare attenzione al problema ma abbiamo bisogno anche di altre cose. Abbiamo bisogno di una copertura sul coronavirus che approfondisca le cause e gli effetti, ma anche di storie che non riguardino il coronavirus. Abbiamo bisogno di musica, di comicità, di arte, di persone che parlano di libri – e non solo del mio.

Che ruolo ha il sentimento di paura nelle dinamiche di comportamento collettivo durante una pandemia?

La paura è umana ed è naturale. Ma non è utile. Dobbiamo imparare di più su questo virus e prendere misure adeguate per controllarlo. Dobbiamo stare attenti, poi, che l’allontanamento sociale e l’autoisolamento non portino all’allontanamento emotivo e non cominciamo a vedere l’altro come una minaccia o un nemico. Quindi distanza sociale sì, ma con una connessione emotiva.

Cosa possiamo imparare da questa pandemia?

Prima di tutto possiamo imparare che le zoonosi possono essere molto pericolose e costose e dobbiamo essere preparati nell’affrontarle. Dobbiamo spendere molte risorse e molta attenzione nella preparazione.

Più posti letto in ospedale, più unità di terapia intensiva, più ventilatori, più mascherine, più formazione del personale sanitario, più formazione degli scienziati. Studiare piani di emergenza a livello locale, regionale, nazionale e tutto questo costa denaro.

L’altra cosa che dobbiamo imparare è che il modo in cui viviamo su questo pianeta ha delle conseguenze, delle conseguenze negative. Noi dominiamo questo pianeta come nessun’altra specie ha mai fatto. Ma ci sono conseguenze e alcune prendono la forma di una pandemia da coronavirus. Non è una cosa che ci è capitata. È il risultato delle cose che facciamo, delle scelte che prendiamo. Tutti ne siamo responsabili.

Ovviamente nessuno conosce davvero la risposta a questa domanda, ma come vede il mondo dopo il coronavirus? Cosa pensa che cambierà per le società e per la vita delle persone?

Spero che alla fine anche persone come Donald Trump imparino a prendere sul serio queste cose. Dobbiamo fare degli aggiustamenti. Potrebbe essere che inizieremo a ridurre il nostro impatto in termini di clima, di tutti i combustibili fossili che bruciamo, in termini di distruzione della diversità biologica, di invasione dei diversi ecosistemi. Forse cominceremo ad avere un passo più attento e più leggero su questo pianeta. Questo è quello che spero, ed è l’unico bene che può venire da questa esperienza.

da qui

«Il virus è la malattia del pianeta stressato» 

intervista a Gianni Tamino di Francesco Bilotta

Intorno alla pandemia causata dal nuovo coronavirus si sta sviluppando un intenso dibattito sugli aspetti sanitari. Anche nel campo delle scienze sociali, per l’impatto che il virus sta avendo sulle nostre abitudini e stili di vita, si stanno producendo riflessioni ed analisi.

Si è sviluppato solo parzialmente, invece, il dibattito sul rapporto che intercorre tra la condizione ambientale e l’insorgenza di una epidemia. Per contribuire a colmare questo vuoto ci siamo messi in contatto con il professor Gianni Tamino (docente di Biologia generale all’Università di Padova, dove attualmente svolge attività di ricerca nel campo dei rischi legati alle applicazioni biomolecolari), impegnato da molti anni a indagare il rapporto tra ambiente e salute.

Quale relazione esiste tra questa pandemia e le profonde trasformazioni che il pianeta sta subendo? Lei ha più volte fatto riferimento alla capacità di carico e al deficit ecologico che sta caratterizzando il pianeta.

Sulla base della capacità di carico si può misurare la capacità rigenerativa del pianeta. Nel caso della popolazione umana si parla di «impronta ecologica». L’Overshoot Day indica il giorno in cui il consumo delle risorse supera la produzione che la Terra mette a disposizione per quell’anno. Per il 2019, il giorno è stato il 29 luglio. Significa che in sette mesi abbiamo esaurito tutte le risorse che il pianeta rigenera in un anno. Bisogna risalire agli anni ’80 per trovare un equilibrio tra risorse consumate e risorse rigenerate dalla Terra. Si è determinato un deficit ecologico che comporta esaurimento delle risorse biologiche e, nello stesso tempo, produzione di rifiuti, effetto serra, alterazione della biodiversità, con squilibri che sono alla base dell’insorgenza di molte malattie. Quanto più si superano i limiti della disponibilità del territorio e si altera l’ambiente, tanto maggiore sarà la frequenza con cui si manifestano carestie, guerre, epidemie. Il rapporto del 1972 su I limiti dello sviluppo anticipava molte delle questioni attuali.

Le risorse naturali vengono consumate a un ritmo sempre più accelerato e cresce la produzione agricola, ma non si riescono a soddisfare le esigenze alimentari della popolazione. Il cibo prodotto sarebbe sufficiente per tutti, ma malattie e malnutrizione sono presenti in diverse aree del pianeta.

La Fao calcola che la produzione attuale di cibo sarebbe in grado di sfamare fino a nove miliardi di persone, ben al di sopra dell’attuale popolazione. Sta di fatto che un miliardo di persone soffre la fame a causa di forme di produzione non sostenibili e una iniqua distribuzione. La riduzione delle terre coltivabili, la perdita di fertilità dei suoli, l’estensione delle monocolture, l’inquinamento ambientale, sono alcuni dei fattori che incidono sulla disponibilità di cibo. Il 70% della superficie agricola è destinata alla produzione di mangimi per animali. La biomassa del miliardo e mezzo di bovini che viene allevato è molto di più della biomassa umana. Inoltre, lo spreco alimentare, pari al 30% di tutta la produzione che si verifica nel corso di tutto il processo produttivo e distributivo, aggrava la situazione.

I cambiamenti climatici e l’alterazione degli habitat creano le condizioni favorevoli all’insorgenza di malattie cronico degenerative e di epidemie. Quale è il legame tra un ambiente degradato e la diffusione di una epidemia?

Le enormi quantità di energia di origine fossile che abbiamo impiegato a partire dalla Rivoluzione Industriale hanno prodotto una situazione che rischia di diventare irreversibile. I cambiamenti climatici e l’inquinamento del pianeta rappresentano una seria minaccia per il mantenimento degli ecosistemi e della biodiversità. L’inquinamento ambientale sta producendo gravi conseguenze sulla salute umana ed è responsabile della morte prematura di almeno 10 milioni di persone ogni anno nel mondo. L’incremento di malattie cronico degenerative sta determinando un indebolimento di ampie fasce della popolazione, che risulta meno idonea a difendersi dalle malattie infettive e dalle nuove epidemie.

Il contatto sempre più ravvicinato con gli animali selvatici e i loro patogeni rendono più facile il salto di specie, ma anche gli allevamenti intensivi rappresentano una condizione potenzialmente pericolosa per la diffusione di epidemie.

Il salto di specie di un virus da un animale all’uomo è sempre un evento preoccupante, sia che si tratti del pipistrello (per il nuovo coronavirus) o dei polli e suini (per l’influenza aviaria e suina), perché la popolazione è priva di difese immunitarie specifiche e il virus non trova ostacoli. Per questo è necessario contenere la diffusione riducendo i contatti tra le persone. In questi mesi stiamo affrontando una pandemia virale, ma il futuro potrebbe riservarci pandemie causati da batteri resistenti ad ogni trattamento farmacologico. Negli allevamenti intensivi, a causa dell’elevata concentrazione di animali e del massiccio impiego di antibiotici, si creano le condizioni favorevoli allo sviluppo di ceppi batterici resistenti. Se una salmonella o un ceppo di Escherichia coli sviluppassero resistenza agli antibiotici, si determinerebbe una situazione drammatica perché non saremmo in grado di controllare il contagio.

Un rapporto dell’OCSE del 2018 afferma che nei prossimi 10 anni avremo più di 600 milioni di persone residenti in aree segnate da conflitti, in condizioni di povertà ed esposte a epidemie.

Si tratta dell’80% della popolazione più povera del mondo che si trova all’interno di stati fragili e che vive una condizione di emergenza a causa dei cambiamenti climatici. Le popolazioni fragili e indebolite di questi paesi sono «terreno fertile» per la diffusione di epidemie. La precaria condizione sanitaria non consente di affrontare le epidemie che dovessero insorgere e che le inevitabili migrazioni trasformerebbero in pandemie.

Recentemente ha affermato che questa pandemia può essere un «utile avvertimento» per evitarne di nuove e più gravi.

Il Covid-19 è una reazione allo stato di stress che abbiamo causato al pianeta. Questa pandemia non ha una letalità elevata, anche se è alta la contagiosità. Nella Pianura Padana, soprattutto in Lombardia, sta colpendo una popolazione anziana e indebolita da patologie pregresse. E l’inquinamento dell’ambiente svolge un ruolo fondamentale nell’insorgenza di queste patologie. Riusciamo a tenere in vita più a lungo le persone, ma non siamo in grado di garantire una vita sana. A fronte di una età media più elevata, la nostra «aspettativa di vita sana» si è ridotta. Per arginare le future epidemie dobbiamo modificare il nostro rapporto con l’ambiente, ma anche potenziare le strutture sanitarie pubbliche che vengono smantellate in tutti i paesi.

https://ilmanifesto.it/il-virus-e-la-malattia-del-pianeta-stressato/

Le vignette sono di Benigno Moi. Nella foto subito sotto una protesta pubblica (a Carloforte) del pacifista Antonello Repetto. L’ultima immagine (ma è anche quella che abbiamo scelta come “evidenza”) è ripresa da pungolorosso.wordpress.com dove trovate intessanti analisi sull’evoluzione della crisi economica.

 

NOTA DELLA BOTTEGA

Care e cari che passate di qui proviamo ad aggiornarvi di quel che abbiamo fatto e faremo intorno al corona virus. Fin dal primo dei nostri 8 dossier – qui sotto linkiamo i primi 7 – abbiamo cercato di mettere in “bottega” notizie e riflessioni diverse dal mix di panico e ignoranza, di censura e visione di classe, che dominava (e purtroppo domina) la quasi totalità dei massmedia. Un’alternativa è difficile ma possibile. Ci servirebbero più forze per far meglio questo lavoro informativo… A proposito se qualcuna/o oltre a mandarci post o link è disponibile ad aiutarci nel “bruto” (ma prezioso) lavoro di redazione faccia un fiiiiischio.

Abbiamo preparato i dossier sul CV per evidente omogeneità di temi ma anche per ragioni di spazio… altrimenti avremmo dovuto mettere 10/15 post ogni giorno intorno a questo nemico invisibile (non è l’unico: ce ne sono di mortali e altrettanto nascosti sotto la faccia buona delle istituzioni).

A oggi abbiamo in archivio una ventina circa di interventi – o ricerche – molto interessanti. Quello che stiamo pensando è di raggrupparli per “sotto temi”; qualcosa tipo: i retroscena; le questioni più pratiche; le notizie nascoste; le conseguenze politiche e sociali. Per metterli in bottega a gruppi (ogni due giorni un nuovo dossier?).

Nel frattempo vi preghiamo di utilizzare lo spazio dei «commenti» e naturalmente di aiutarci a far girare i post più interessanti. Per poco che valgano i nostri 1500-2mila contatti al giorno è confortante sapere che c’è ANCHE questo piccolo spazio aperto mentre nei grandi media regna la menzogna e l’infamia. E’ esagerato scrivere «regna menzogna e infamia»? No, è la verità. [db per la piccola redazione]

DOSSIER PRECEDENTI (7 FINORA)

Il 24 febbraio Corona virus: alcuni sguardi diversi dal… (… dal “frullato” di panico e ignoranza che regna): articoli di Nicola Borzi, Doriana Goracci, Pietro Greco, Gruppo di intervento giuridico e Salvatore Palidda. Con le immagini di Benigno Moi, Energu e Giuliano Spagnul.

Il 28 febbraio Corona Virus: altri sguardi: interventi di Angelo Baracca, Piero Bernocchi, Alessandro Ghebreigziabiher e Gianni Tognoni con molti altri link. A seguire alcune riflessioni di db sul 21 marzo e sul virus dell’imprigionamento volontario

Il 7 marzo L’epoca del corona-virus: testi di Franco Astengo e Piero Bernocchi con un racconto di Marco Cinque e altri link; a chiudere db fa alcune «considerazioni»

Il 21 marzo Corona virus: pensieri, proposte e indicibili verità: testi e vignette di Alessandro Ghebreigziabiher, Benigno Moi, Salvatore Palidda, Giuliano Spagnul con l’appello per la sanatoria dei migranti, il diario del cugino di Dizzy e un racconto di Raffaele Mantegazza

Il 23 marzo Corona virus: sperando in un futuro. E preparando… con testi di Judith Butler, Giorgio Ferrari, Massimo Ghirelli, Antonella Nappi e Cinzia Sciuto. Con i link a una lunga intervista di Ernesto Burgio, a una ricerca di Andrea Coveri e Valeria Cirillo, a un testo di Sandro Moiso, a un’analisi di Nicoletta Dentico e a un contributo cantato

Il 26 marzo Corona virus: un po’ troppi a lavorare di Matteo Gaddi e Nadia Garbellini (Fondazione Claudio Sabattini)

Il 27 marzo Corona virus: mal d’Africa con testi di Luciano Ardesi, Mauro Armanino, Rocco Bellantone, Diego Cassinelli, Lucia Michelini, Kizito Sesana più il link al dossier di Maurizio Marchi

Questi sono solamente i “dossier” …. poi ci sono numerosi articioli, testimonianze, analisi e – per noi particolarmente preziose – le dettagliate denunce di Davide Fabbri su quel che accade nelle fabbriche di Cesena e dintorni; il lavoro coatto e senza la minima sicurezza… proprio quello su cui la censura è quasi totale.

 

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

4 commenti

  • Daniele Barbieri

    UNA PRECISAZIONE da PATRIZIA GENTILINI
    Ti scrivo perché ho visto che ha pubblicato una mia intervista insieme ad altri documenti di Tamino, WWF etc.
    Ti ringrazio per dare spazio e riprendere quanto produco, voglio però segnalarti un errore nel testo della mia intervista ( sinceramente non ricordo chi me l’ha fatta!) e cioè ad un certo punto è scritto che sono 80.000 le morti ogni anno per inquinamento ambientale in Italia, magari…Purtroppo sono molte di più!
    80.000 circa sono i decessi ogni anno per la sola qualità dell’ aria e per soli 3 inquinanti ( PM2.5, NO2, Ozono) i dati vengono da questo Report
    https://www.eea.europa.eu/publications/air-quality-in-europe-2019
    Ti sarei grata se potessi correggere, basta che sostituisci “inquinamento ambientale” con “inquinamento dell’aria!
    Ciao e grazie
    Patrizia Gentilini
    P.S. l’intervista mi era stata all’inizio dell’epidemia e sinceramente oggi non direi che “non sono preoccupata”… ma che sono sgomenta!

  • ARNALDO GRANDI

    Mi sembra,se ho capito bene, che gli intervistati abbiano condiviso, partendo da argomenti diversi, che in ogni modo la cattiva gestione delle risorse del pianeta ci stiano portando alla sua e nostra distruzione.
    Sono perfettamente d’accordo non ho e non penso esista una ricetta per mantenere la globalizzazione, l’alto livello dei profitti e contemporaneamente salvaguardare la salute.
    Ritengo pertanto che si debba rinunciare a vivere defraudando il pianeta e ingrassando i conti in banca di persone che alla fine si trovano ad avere un patrimonio che li fa essere padroni e gestori di tutto il sistema.
    Bisogna voltare pagina e insistere a salvaguardare la salute del pianeta per salvaguardare anche la nostra.
    Purtroppo anche ora che ci troviamo ad affrontare un problema che nessuno ancora sa come fare a risolvere, si procede purtroppo ancora per tentativi mentre le persone muoiono, si persa all’economia, alla borsa e al timore di dover abbandonare l’attuale tenore di vita.

  • Grazie! Analisi lucide e chiare che aprono la mente ingabbiata dalla pellicola mediatica trash.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *