Le stimmate di Philip Dick

Siamo alla periferia di Marilyn Monroe nel New Jersey. O nella casa (un po’ harem?) Winnie-ther-Pooh Acres. C’è anche, a San Francisco, l’inaugurazione del «nuovo sensazionale palazzo di appartamenti sotterraneo Sir Francis Drake». Poi c’è chi vive negli «app-con» numerati «in ordine crescente a seconda della ditsanza dal centro di New York», tipo 11139584. Poi ci sono i disgraziati spediti su Marte: campi di concentramento dove però godono di giocattoli e droghe che si stanno trasformando in una religione; e su questo punto il recensore deve osservare un ambiguo silenzio.

Siamo nel 1964 e Philip Dick scrive uno dei suoi tanti, grandi romanzi, forse tra i più cupi, «Le tre stimmate di Palmer Eldritch». Fanucci lo ripropone ora (280 pagine per 12.90 euri) con la traduzione di Umberto Rossi, una bella introduzione di Carlo Pagetti e una post-fazione (forse un pochino accademica) di Giuseppe Di Costanzo.

Dalle prime righe c’è tutto il caleidoscopio dickiano: Barney Mayerson gira con «valigia familiare, quella del suo psichiatra, il dottor Sorriso», è un precog (precognitivo). Fuori una New York con 80 gradi di temperatura. Sull’assai mal messa vecchia Terra si inizia a praticare, avendo i soldi, la «terapia E» (cioè evolutiva): funziona è una truffa?

La notizia del giorno è che da Proxima torna Palmer Eldritch, «trasferitosi una decina d’anni prima su invito del Consiglio dei tipi umanoidi».

Cosa porta Eldritch? Forse una nuova droga o ha incorporato gli alieni invasori? Illusioni? Immortalità? Siamo dalle parti dell’hybris greca, «superbia, proprio come Satana, la tendenza a non conoscere i propri limiti». Non ci va giù leggero Palmer Eldritch: «Dio promette la vita eterna. Io posso fare di meglio; posso metterla in commercio». Ma la cura in greco è «pharmakon» che vuol dire anche veleno.

Troppo pericoloso pensa qualcuno che oltretutto è anche rivale nello spaccio di droghe. Bisogna ammazzarlo. E’ possibile? Potrebbe essere Eldritch a uccidere se stesso o a illudere qualcuno di averlo fatto oppure a creare alternative temporali in cui il delitto può avvenire e poi essere disfatto, «entrare persino in un mondo nel quale è morto». Sempre che si possa modificare il passato… «A meno che questo non sia già l’inferno (…) ricorrente e inesorabile». E che di sacro ci sia solo la merce.

Redazione
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