Libere associazioni – di Mark Adin

Il trasloco dal Novecento verso il Duemila è operazione caotica e minacciosa, e presenta aspetti eterogenei.

La maschera di Fausto Paravidino, giovane emergente nello sterile corral televisivo, marca il tempo presente. L’espressività del giovane attore risulta contingentata, gelida, asessuata. Si parla della maschera e non della persona, ovviamente. E’ singolare che il significato di “persona” – in latino – non aiuti a capire, anzi getti una luce sinistra: la sua traduzione in italiano è infatti “maschera”, siamo al corto circuito. Nella trasmissione televisiva dell’ora tarda, pur nella veste di conduttore, si presenta come un novello Hitchcock, intendo quello delle vecchie serie tv, con il tipico birignao del suo doppiatore italiano, ricalcando l’atmosfera densa e nera prevalente nei giochi cinematografici del maestro del brivido. La connotazione algida, dai genitali piallati, dalla  voce screziata e cigolante come la porta che non bisogna mai aprire, il tubino nero da necroforo, la cravattina a laccio, ne fanno il perfetto officiante la funzione funebre. Sono una piccola parte delle esequie tributate al secolo breve (ma non troppo).  Paolo Poli, ormai, c’ha la sua età, peccato.

Muore il Novecento e il nuovo secolo nasce nel dolore. Nessuno lo festeggia, la staffetta tra vecchio e nuovo pare compiersi con il fragore della terra che si apre sull’abisso. Il calore estivo fa da contraltare a un Occidente che si sgretola partendo dalla sua culla greca, che ci ha regalato la diversità culturale e la libertà di pensiero, la molteplicità degli dei e l’amore per la bellezza. Oggi muore sotto attacco finanziario per mano di pochi delinquenti super-nazionali. Prima vittima di una guerra mondiale economica che si scatena sostituendosi al terzo conflitto mondiale ormai maturo, forse per finanziarlo successivamente. Chissà, tocchiamo ferro.

Pan è morto. E ci è rimasto il panico.

Gli assassini delle donne ci mostrano un odio che contagia, il cui scopo simbolico è punire la vita e la sua perpetuazione. Ciò che Wilhelm Reich ha chiamato “peste emozionale” sta manifestandosi? Dietro a quei brutali omicidi, una sessantina in Italia da inizio anno, c’è il suicidio del maschio, l’incapacità di amare, alcune di tali vicende si completano nello scempio degli stessi figli, come non bastasse, quasi a voler cancellare del tutto la propria scia sulla terra, quasi a voler ridurre allo zero assoluto la propria capacità riproduttiva. L’atrocità del gesto è spiegabile solo con il peso del proprio fallimento vitale e genitale. L’atavico e barbarico insulto mediterraneo – sfaccimm’ e ‘mmerda – fornisce una delle chiavi interpretative al senso di perdita di ogni capacità riproduttiva, e in questo l’effetto della sempre più diffusa rinuncia all’amore e alla propria identità biologica percepita come se fosse un peso.

A qualche chilometro da Columbine, alla prima cinematografica di Batman, personaggio gotico per definizione, un ragazzo e-gotico e travestito spara sulla folla inerme e lo fa per uccidere, esordendo con un grido di battaglia: “Io sono il Joker!”. Con pragmatismo tutto americano totalizza 14 morti e una sessantina di feriti. Nello score figurano anche bambini. E i commentatori a dar giù sul commercio delle armi e sulle leggi permissive riguardanti il possesso delle stesse. Ma è forse lì il problema? Sarebbe come prendersela con i produttori di Zyclon B in relazione ai campi di concentramento nazisti, o con i venditori di televisori per il sembiante di Paravidino. Il problema non è certo lo strumento, ma l’uso che se ne fa. Alessandro Volta non pensava  all’elettroshock o alla sedia elettrica.

L’autore della strage di Aurora (nomen omen) pensava ad uccidere, non è stato l’impulso del momento, voleva la carneficina, pianificava la morte. Esattamente come la desiderava Breivick, che ne ha portata a termine una su più larga scala. Se non avesse avuto a disposizione armi efficaci ed efficienti, avrebbe acquistato tre o quattro bombole di gas, alla pugliese, e le avrebbe collegate ad un timer, o qualche quintale di fertilizzante chimico. Massì, meglio dare la colpa al mercato delle armi e alle leggi permissive, meglio non pensare alle cause vere, facilmente reperibili nel disastro antropologico della contemporaneità.

Certi preti asseriscono, ospiti di ogni talk show, che non è normale la condizione di omosessuale. Mi piacerebbe chiedergli se considerano naturale il loro celibato. E voglio essere elegante non parlando di pedofilia tra i sacerdoti. Sarà che i mulini di una volta non ci sono più, e le macine – quelle che, secondo prescrizione, dovrebbero legarsi al collo prima di gettarsi in acqua – sempre meno numerose, ma il fenomeno non sembra in decremento. Brutta gente, quella che ha mandato in fumo Giordano Bruno, chissà nel nuovo secolo cosa saranno capaci di fare, a quali nuove dittature venderanno il paradiso.

In fondo, Fausto Paravidino – Hitchcock è molto più rassicurante e simpatico di Giovanardi.  E anche meno lugubre.

Mark Adin

Redazione
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5 commenti

  • tutto giusto ma vietare (o almeno limitare?) la vendita delle armi non sarebbe di aiuto contro chi pianifica queste – relativamente piccole- stragi casalinghe?
    db

  • Specialmente dopo terribili fatti di sangue, riemergono proposte di abolizione o limitazione del possesso delle armi. Con il massimo rispetto per le opinioni altrui, vorrei sottolineare che la legge Italiana in materia è tra le più restrittive in Europa: abbiamo 3 tipi di porto d’armi: quello per difesa personale, rilasciato dal Prefetto dopo vaglio dei motivi della richiesta e dei requisiti del richiedente, compresa l’idoneità psichica certificata da 2 diversi medici, di cui almeno uno legale, e da rinnovare tutti gli anni, poi c’è il porto d’armi Sportivo e quello uso Caccia, rilasciati dal Questore, che non consentono il “porto” al di fuori dei poligoni di tiro o del terreno di caccia, ma consentono soltanto il “trasporto” dell’arma smontata, chiusa in custodia e con le munizioni conservate separatamente. Peccato che i fuorilegge, come suggerisce la loro definizione, della legge se ne fanno un baffo, e le armi le portano come e quando vogliono, perché i controlli in merito sono molto, molto carenti, e le loro armi non le comprano sul mercato legale e non ne denunciano il possesso alla Questura. Perciò non serve restringere o abolire, ma occorre far rispettare la legge che c’è. Altrimenti dovremmo vietare anche i coltelli da cucina, le accette, i fertilizzanti nitrici, le bombole del gas, i bastoni da escursionista, tutte le corde, cravatte, foulard, cacciaviti, chiavi inglesi, crick, vasi da fiori sui davanzali e infine TIR e automobili, che sono di gran lunga l’arma più letale e diffusa oggi esistente. Ma ci sarà poi qualcuno che controlli che nessuno ne faccia uso? Le armi sono solo un attrezzo, ciò che conta è chi lo impugna, e se costui intende far del male, lo farà anche impugnando un martello da falegname. E se proprio ci tiene a fare una strage, può costruire una bella bomba con il fertilizzante (vedi Oslo) o con il GPL (vedi Brindisi), più viti e bulloni e rottami di ferro, a meno che nel frattempo non siano stati aboliti anche questi. Purtroppo chi vuol fare del male, troverà sempre il modo.

    • Il discorso è molto complesso ma per limitarci alle «stragi» a me pare innegabile che, senza armi da fuoco, è più difficile ammazzare molte persone in un colpo solo. La legge italiana era restrittiva ma purtroppo è stata peggiorata. Come ho segnalato qui in blog, il 19 dicembre 2011 ( Armi al popolo) nella quasi indifferenza generale dal primo gennaio 2012 è scattata una liberalizzazione: dunque più armi per tutte e tutti, senza la “burocrazia” cioè i controlli.
      db

  • Scusi se insisto, DB, ma la faccenda mi appassiona molto. Ancora questa poi taccio. È vero, con un mitra (in Italia vietatissimo) si può uccidere di più in meno tempo, ma neppure scherzano gli uomini e donne bomba della Jihad. Per fare solo un esempio, a Londra nel 2005 hanno fatto 55 morti e 700 feriti solo con le bombe, senza sparare un colpo. Per tacere poi di quanto è avvenuto alle Torri Gemelle, dove con 2 aerei dirottati hanno ucciso 2752 persone in pochi minuti. Con nessuna arma da fuoco, si sarebbe potuto fare altrettanto. È vietato dirottare gli aerei, ma l’hanno fatto. Allora, di chi è la “colpa” di quanto è avvenuto? È dei dirottatori, di chi avrebbe dovuto impedire il dirottamento, o dell’aereo? Mi sembra che l’aereo, in quanto “utensile” di per sé inerte se non pilotato, sia assolutamente innocente, così come lo è una pistola, che è inerte se nessuno ne aziona il grilletto. Talvolta si rischia di confondere tra lo strumento e chi se ne serve per violare la legge. Un po’ come ho visto fare ad un povero cagnetto scacciato a bastonate, che invece di mordere la donna che lo bastonava, ha morsicato il bastone. Una dimostrazione di miopia (ad un cagnetto la si perdona) come quei limiti di velocità assurdi di 10 Km/ora visibili su certe strade, frutto della frustrazione di chi non sa far rispettare un più normale 50 Km/ora, sicchè non viene rispettato né l’uno né l’altro. Così molti anticaccia confondono i cacciatori con i bracconieri, certa stampa i black block con i manifestanti, e alcuni pacifisti criminalizzano di più le armi e non chi ne fa uso improprio, perdendo di vista il vero nostro problema irrisolto, cioè di fare in modo che la legge che c’è venga rispettata, e in caso contrario, che la pena sia giusta e soprattutto certa.
    La cancellazione del Catalogo è stata fatta solo per sveltire le pratiche di omologazione delle nuove armi (prima ci voleva più di 1 anno solo per l’iscrizione), ma rimane sempre valida la Legge 110, che definisce tutti i requisiti che un’arma deve avere per essere importata, fabbricata o vietata. Non è stato liberalizzato nulla, tutto rimane come prima, compreso l’obbligo di denunciare alla Questura il possesso di armi e relative munizioni (sul Catalogo non c’era l’elenco di chi deteneva le armi !). È vero però che la mancanza di un testo di facile consultazione ha portato ulteriore confusione in una materia già di per sé molto confusa, (anche lei, DB, ne è stato vittima con il suo scritto del 19/12/11) tanto che ogni Questura e ogni Stazione di Carabinieri, si sente autorizzata a “legiferare” in materia, imponendo regole accessorie assurde, farraginose e ulteriormente restrittive, non previste dal codice e soprattutto diverse tra le varie Questure e Stazioni CC. E la confusione è in aumento.

  • Ringrazio Carlo per i chiarimenti, è una discussione che appassiona anche me.
    Fra noi due (o noi tre, contando Mark Adin) forse il disaccordo esiste solo fino a un certo punto, in realtà mi pare che stiamo parlando di questioni differenti.
    UNO
    I terrorismi come le guerre hanno contesti (storici ed economici) rispetto ai quali ci si può opporre, sapendo che sarà dura, tentando di costruire vie di uscita nell’immediato e sui tempi lunghi: in ogni conflitto esistono strategie di escalation e di de-escalation. Se si pensa – come spiegò Gunther Anders – che spesso sono i fabbricanti d’armi a “costruire” le guerre per vendere i loro prodotti, nell’agire politico ci si comporta di conseguenza o almeno si tenta. Se si ritiene che i conflitti etnici e religiosi siano quasi sempre pretesti dietro ai quali si celano gli interessi economici… poi si agisce in modo coerente. Se si cerca di non confondere il diritto legittimo di resistenza dei popoli con le violenze ingiustificate … di nuovo ci si comporta di conseguenza. E così via. Dipende anche dall’analisi generale. Il 20 marzo 2011 qui in blog ho scritto «Io che abito in Uccidente» dove citavo un “vecchio” libro che mi piacerebbe molte/i leggessero: si intitola «Dizionario critico delle nuove guerre» e Marco Deriu lo ha pubblicato con la Emi nel 2005. Fra l’altro scrivevo così: «In un paio di presentazioni ricordo di avere incontrato pacifisti arrabbiati con Deriu perché il suo discorso di fondo – la guerra è un “fatto sociale totale” e noi siamo immersi nel suo immaginario come nelle sue regole – faceva risultare vano il loro quotidiano impegno». Del libro si è parlato abbastanza poco, ancor meno (mi sembra) lo si è studiato o ripreso per nuove ricerche. Invece le ultime pagine si intitolavano “per continuare a pensare”. Purtroppo smettere di pensare invece è quello che abbiamo fatto su moltissime questioni economiche e politiche. Secondo me le “nuove” guerre, i “nuovi” terrorismi ma anche il crescente intreccio fra istituzioni, economia “pulita” e delinquenza organizzata sono tre macro-questioni sulle quali il 95 per cento delle informazioni e analisi delle quali oggi disponiamo sono bugie o aria fritta. Ricominciare a informarsi, a pensare… non sarà facile ma bisogna.
    DUE
    Su ben altri livelli del quotidiano – le violenze sessiste, i serial killer ecc – se esistono controlli (per le armi) e contrasto mi pare più facile che qualcosa si ottenga, che qualche vita si salvi. Che altro si può fare? L’idea dell’«educare e non punire» secondo me vale per molti reati ma al fondo è un’idea della società; o almeno io la penso così, sempre che questo educare non sia teorico ma significhi aiuto a chi sta male, dando una reale seconda possibilità a chi parte con il piede sbagliato, togliendo le persone dalla merda ecc. Certo un parapetto non ha mai impedito i suicidi e, come giustamente dice Carlo, purtroppo i coltellacci ammazzano e molte armi mortali si possono costruire con relativa facilità. E chi è perseguitato (o lo crede) se non conosce altre strade cercherà un’arma e la troverà per rivolgerla contro se stesso o contro altre/i. Però non è una buona ragione per riempire i cassetti di pistole o peggio. Sul perché poi negli Usa si moltiplichino i serial killer e nel molto simile Canada o in altri Paesi no, ci sono molte analisi (e un bel film di Michel Moore): si possono imitare oppure no gli Usa nelle leggi come nelle scelte culturali.
    TRE
    Sulla questione specifica delle recenti modifiche alla legge italiana mi informerò: se Carlo ha ragione allora l’allarme (di Rete italiana disarmo e altri) che io ripreso era ingiustificato o almeno esagerato. Mi pare strano, trattandosi di persone serie, ma è possibile. A settembre cercherò di capire meglio e di scriverne. Grazie a Carlo per le sue sollecitazioni ad approfondire.

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