Libero di istigare

di Giuseppe Faso (*)

La notizia è la seguente: un consigliere leghista, a Prato, si esibisce su Facebook con dichiarazioni che ne rivelano la statura civile: «Il bianco-fiore si è dovuta piegare ai finocchi e il nero di seppia lo lasciano lì?».

(http://firenze.repubblica.it/cronaca/2013/05/06/news/consigliere_lega_nero_di_seppia-58195298/?ref=HREC1-6)

Segue la solita filastrocca che i quotidiani prediligono in casi simili: «l’infelice accostamento», le proteste su facebook, le richieste di dimissioni, la rimozione del post, l’ammissione «di avere esagerato». Neanche a dirlo, nel titolo ricorre l’etichetta rituale: «Frasi-shock».

Il quotidiano precisa che le frasi omofobe e razziste sono state inserite dal Paradiso «in un post dove condivideva con gli amici un sondaggio del quotidiano “Libero” in cui si chiede se il neoministro Kyenge deve essere cacciato per le sue posizioni sul diritto di cittadinanza». Su questo aspetto della faccenda, nessun commento.

Certo, si poteva fare di peggio. C’è riuscito un quotidiano più allenato in questo tipo di prestazioni: «Immediata l’insurrezione del web che ha chiesto le dimissioni di Paradiso per aver offeso il sottosegretario Micaela Biancofiore e il ministro Cecile Kyenge»

(http://www.lanazione.it/cronaca/2013/05/06/884351-prato_consigliere_leghista_facebook_bianco_fiore_dovuta_piegare_finocchi_nero_seppia_lasciano_copia.shtml)

Non si capisce perché «La Nazione» affermi che Paradiso ha «offeso la Biancofiore» se non per intorbidire il discorso, celando l’adesione di Paradiso alle battute omofobe della parlamentare altoatesina, e il suo rozzo razzismo nei confronti di Cecile Kyenge. In cambio ci viene offerta anche una foto del Paradiso, di cui si precisa l’appartenenza al «Comitato anti-Firenze».

«Il Tirreno» (http://iltirreno.gelocal.it/prato/cronaca/2013/05/06/news/i-finocchi-e-il-nero-di-seppia-bufera-sul-consigliere-emilio-paradiso-1.7010536) titola sulla «bufera sul consigliere» e fornisce altre informazioni su di lui, eletto nelle file della Lega Nord, ora nella Lega per la Toscana; il quotidiano giudica anch’esso «infelice» la frase del Paradiso e lascia spazio a commenti, in cui i lettori pratesi esplicitano un pensiero molesto che mi aveva colto di sorpresa alla prima lettura della notizia (responsabile, la mia mania di individuare l’origine dei cognomi, soprattutto dei leghisti: Belsito, Paradiso..): «Poveretto, con quel cognome solo 10 anni fa’ non avrebbe sposato neppure una pratese» scrive tale Alfio Nerini, e Alex De Maria «Com’è che se gli danno del “terrone” s’arrabbia?». Anche «Il Tirreno» fornisce un giudizio attenuato e simpatetico sulla triviale espressione di Paradiso: i tre quotidiani parlano di «eccessiva», «infelice», «esagerata», riprendendo quest’ultima espressione (difensiva) da un’intervista dell’interessato. Al contrario, le espressioni per indicare le reazioni sono all’insegna dell’esagitazione («bufera», come «insurrezione», sul giornale gemello-rivale). Il Paradiso ha solo esagerato, i suoi critici sono un po’ agitati.

Anche «Il Tirreno» riporta senza battere ciglio la circostanza del sondaggio su «Libero», il cui titolo esatto suona: «Letta deve punire la Kyenge come ha fatto con la Biancofiore?» (http://www.liberoquotidiano.it/sondaggi/1236142/Letta-deve-cacciare-la-Kyenge-come-ha-fatto-con-la-Biancofiore-.html).

Fra giornalisti non ci si critica; anzi, si fanno sparire le notizie. Perché la vera notizia, a mio parere, non è che un poveraccio, apostrofato dai concittadini che gli hanno dato addosso come «brutto», «terrone«» e non degno di «sposare una pratese» abbia postato un commento razzista e meschino, ma che un quotidiano abbia proposto un «sondaggio» così disonesto.

Abbiamo, in passato, parlato di «disprezzo di “Libero” per i suoi lettori». I quali non fanno molto per non farsi disprezzare, visto che rispondono (ed entusiasticamente di sì) a una domanda simile, senza trovarla strana. Perché si tratta di una domanda che lavora su presupposizioni non dette, costringe il lettore a ricostruirle, e, se è prevenuto o pigro, a non rendersi conto che si sta giudicando al suo posto.

Il più grande esperto di “non-detto” al mondo, il linguista Ducrot, definisce «subdoli» questi trucchi. Non so immaginare un giudizio più preciso. Proviamo a vedere perché, esplicitando le presupposizioni.

Biancofiore è stata spostata da un incarico istituzionale, le Pari opportunità, in seguito a sue dichiarazioni omofobe, in forte contrasto con i diritti che avrebbe dovuto garantire.

Cecile Kyenge dichiara, in un’intervista, che sta lavorando a un disegno di legge per il riconoscimento della cittadinanza ai figli di lavoratori, non cittadini, nati in Italia. La parte più razzista della destra, Lega in testa, attacca il ministro, contando sui prevedibili rigurgiti nazionalisti favoriti dalla crisi economico-sociale e culturale. Anche obnubilato dal razzismo, chi tenga alla logica e alla correttezza dei procedimenti discorsivi, dovrebbe riconoscere che, contrariamente a Biancofiore, non c’è contraddizione fra quanto dice Kyenge e il suo ruolo istituzionale. Bisognerebbe cancellare due anni di dichiarazioni di numerosi esponenti delle istituzioni, a partire dal presidente Napolitano, sulla necessità del provvedimento cui lavora Kyenge. Il giornale suggerisce perciò ai lettori un parallelo subdolo:

Biancofiore – intervista – contraddizioni col mandato – spostamento (punizione, con il linguaggio di “Libero”-

Kyenge – intervista – contraddizioni col mandato – spostamento (punizione, con il linguaggio di “Libero”-

E’ quella contraddizione con il mandato che «Libero» introduce e molti suoi lettori accettano senza fiatare. E’ probabile che il buco nella presuppozizione venga colmato da un altro non-detto, che il povero Paradiso ha solo esplicitato: «il nero di seppia lo lasciano lì?». Si conta in questo caso sulla salienza del colore della pelle, unico elemento rilevato all’unisono dai giornali sommergendo ogni altra caratteristica di Cecile Kyenge. Partendo da questa piattaforma condivisa, «Libero» ha buon gioco a pescare nel torbido dell’immaginario, rinnovando un razzismo “biologico” che sembrava attenuato. Gli altri giornali evitano di commentare il “sondaggio” del quotidiano, e partono con la tiritera sul razzismo o sulle esagerazioni dei mediocri e dei minimi.

E’ questo gioco di ruoli, che dobbiamo capire meglio. Si scaricano i giudizi di razzismo, a volte tenui, spesso rituali, su balordi di periferia, consiglieri leghisti dal linguaggio inqualificabile e poveracci vari. Si costruisce, con un’astuzia suggerita da volontà perverse, un mondo di significati inquinato, caratterizzato da falsità e capovolgimenti delle più evidenti certezze, che viene gabellato poi per “opinione pubblica”, sostituendo e pian piano eliminando una pluralità di pensieri, posizioni, dubbi, domande, che storicamente avevano portato alla costruzione della nozione stessa di “opinione pubblica”. Si colonizza l’immaginario dei lettori e del pubblico televisivo, si attuano corto-circuiti che rendono ridicolo quello che poi ripetiamo, come se ragionassimo, come se scegliessimo.

Per compiere un’operazione così mostruosa non è necessario essere tanto “intelligenti”. Le competenze che fanno manipolare il discorso per ottenere consenso o uscire vincitori in un conflitto verbale, ce le abbiamo fin da adolescenti, e ci hanno difeso, allora, nelle discussioni con gli adulti. Eravamo, certo, molto motivati ad accorgerci della sottigliezza di una strategia discorsiva che aggrediva, per esempio, con un «E tu, allora?». Ma la sottigliezza dell’interlocutore-avversario e la nostra non derivavano da chi sa quali doti: erano, sostanzialmente, molto motivate, e facevano scattare competenze pragmalinguistiche profonde, non imparate a scuola ma giorno per giorno, dalla nascita. E’ da una motivazione illimpidita e rafforzata, che dobbiamo ripartire: altri, ce l’hanno già, una motivazione pervertita (e non è qui il luogo per ragionare sul perché di tali orrori morali e civili). «Chi ha figli, sappia che un giorno essi guarderanno con rispetto o con odio alle sue scelte di oggi» scriveva Fortini nel suo ultimo messaggio, rivolto all’assemblea «Per la libertà di informazione».  

(*) Ripreso da «Cronache di ordinario razzismo».

 

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