Libertà di creare

Libertà di creare” di Surekha Kadapa-bose per Women’s Feature service (http://www.wfsnews.org) del 17 agosto 2011; traduzione di Maria G. Di Rienzo. Surekha Kadapa-Bose è una giornalista indipendente di Mumbai, India.

Una donna gira un film sulle sopravvissute al traffico di esseri umani in Nepal che ora cercano attivamente i trafficanti per assicurarli alla giustizia. Una donna crea gioielli con le pallottole esplose. Queste ed altre hanno ricevuto il riconoscimento di Freedom to Create un’organizzazione che si concentra sul potere dell’arte di guarire e cambiare.

Quando la giornalista indipendente australiana Wendy Champagne si imbatté in una sedicenne sfuggita alla prostituzione forzata, il suo percorso per creare il film “Bas! Beyond Red Light” cominciò. Il film narra le storie di giovani donne nepalesi che sono scappate dai bordelli e che stanno lottando per fermare il traffico di donne nepalesi in India.

Champagne è stata ispirata da Geeta, una ragazza identificata solo con il primo nome, che ha mostrato una straordinaria resistenza. “La maggior parte delle sopravvissute preferisce dimenticare ciò di cui ha fatto esperienza.”, dice Wendy Champagne, “Geeta era diversa. Dopo che fu soccorsa e rimandata a Kathmandu la sua determinazione era portare chi l’aveva trafficata in tribunale.”

Geeta ha vissuto per un anno in un rifugio gestito da un’ong chiamata Maiti Nepal. Dopo aver lasciato il rifugio, si è messa a cercare i trafficanti. “Dopo un anno ne ha rintracciato uno ed ha subito informato la polizia.”, racconta ancora Champagne, “Più tardi è riuscita a rintracciare gli altri due ed ha fatto il giro dei tribunali per assicurarli alla giustizia. Infine è tornata a Mumbai, ha trovato lavoro presso la Rescue Foundation, un’organizzazione che soccorre le ragazze vendute ai bordelli, ed ha rintracciato il tenutario di quello in cui era stata portata, e che l’aveva sfruttata crudelmente.”

Il film ha fatto parte dell’evento multimediale che ha incluso pellicole, video, musica, dipinti, e che si è tenuto dal 19 maggio al 2 giugno qui a Mumbai, organizzato da Freedom to Create, organizzazione con base a Singapore.

I travagli di Geeta ebbero inizio a Kathmandu, Nepal, quando aveva 13 anni e lavorava presso una scuola cattolica prendendosi cura dei bambini piccoli. Qui conobbe due uomini amichevoli che le presentarono le loro “sorelle”. Una di esse chiese aiuto a Geeta per la cura dei suoi due bambini e quando ebbe la ragazzina in casa le somministrò della droga. Qualche giorno più tardi Geeta riprese piena coscienza a Nuova Delhi, dove venne poi venduta ad un bordello di Mumbai. Ci sarebbero voluti due anni prima che fosse soccorsa.

Per completare il film Wendy Champagne ci ha messo più di quattro anni. E’ ora usato per istruire, informare e raccogliere fondi a beneficio delle sopravvissute al traffico di esseri umani. Champagne dice che il più grosso ostacolo sono stati i trafficanti e i proprietari di bordelli nei distretti a luce rossa, che proprio non gradivano la sua videocamera. “Era pericoloso. A volte abbiamo dovuto chiedere aiuto ai politici locali. Ma il mio interesse come regista era che le ragazze potessero raccontare le loro storie, piuttosto che illustrare la sordida vita dei bordelli.”

Il lavoro di Laura Boushnak, fotografa palestinese nata in Kuwait, ha pure fatto parte dell’esposizione. Le sue istantanee ritraggono donne egiziane che seguono corsi di alfabetizzazione nei sobborghi de Il Cairo. Laura ha lavorato con un’ong ed il beneplacito del Ministero per l’Istruzione per disegnare il programma diretto a donne fra i 15 e i 45 anni.

“L’Egitto è fra i numerosi paesi che hanno firmato gli Obiettivi del Millennio delle Nazioni Unite.”, dice la fotografa, riferendosi alle promesse globali che le nazioni hanno fatto per migliorare lo standard di vita in alcuni dei paesi più poveri del mondo, “Uno degli obiettivi è lo sradicamento dell’analfabetismo”. Laura Boushnak pensava che le partecipanti avrebbero mirato ad un’istruzione ancora migliore: ha scoperto invece che le donne volevano aiuto dall’alfabetizzazione per le difficoltà delle loro vite quotidiane. “Come la donna che si era persa nel labirinto dei trasporti pubblici e voleva essere in grado di leggere i cartelli stradali. O la donna che voleva imparare a contare il danaro per non essere più imbrogliata al mercato. E un’altra voleva leggere le prescrizioni del medico, per essere sicura di dare le medicine giuste a suo figlio”.

Laura Boushnak dice che queste donne cresceranno i loro figli in modo migliore dopo aver partecipato ai corsi: “Tutte erano d’accordo su una cosa, e cioè che i loro bambini sarebbero andati regolarmente a scuola”. La fotografa non ha mai incontrato gli uomini che condividono l’esistenza di queste donne, ma ne ha percepito tutto il potere: “Prima che io potessi scattare una foto, la maggior parte delle donne doveva chiedere il permesso ad un membro maschio della famiglia, il marito o il padre. Alcuni membri delle loro famiglie le hanno estraniate, perché vedono la loro alfabetizzazione come una minaccia”.

Un’altra fotografa presente all’evento era la giornalista statunitense Lynsey Addario. Non c’è nulla che possa preparare chi guarda le sue immagini, allo stesso tempo commoventi e spaventose, di donne che si sono date fuoco per sfuggire alle loro terribili esistenze. Rilasciata da una prigione libica nel marzo scorso, assieme a tre colleghi del New York Times, Addario ha vinto il Premio Pulitzer per il suo lavoro in Afghanistan ed altri paesi dilaniati dalla guerra: “Centinaia e centinaia di donne in Afghanistan si danno fuoco nel tentativo di sfuggire a mariti violenti o agli abusi quotidiani” dice Addario: “Numerose giovani donne non vedono altra via d’uscita da ciò che subiscono”. La giornalista ha anche incontrato e ritratto i medici e il personale sanitario dei centri per ustionati, che lavorano intensamente per salvare queste donne.

Altra donna sotto le luci dei riflettori è stata Salomè, una rapper iraniana. Salomè non vuole la compassione di nessuno. Nel catalogo di “Freedom to Create” scrive: “Non intendo lamentarmi su quanto è dura la vita per una rapper in Iran. Voglio essere conosciuta per le mie canzoni.” Canzoni che parlano di ingiustizia sociale, guerra, potere femminile e pace.

E poi c’era Lovetta Conto, una liberiana che è cresciuta in un campo profughi del Ghana. Lovetta ha dovuto lasciare la Liberia dopo aver perso l’intera famiglia nella lunga guerra civile del paese. Questa donna trasforma i proiettili e le schegge di bombe in gioielli. Fonde il metallo e sulle collane, gli orecchini, i bracciali che crea incide una semplice iscrizione: VITA.

Una piccola nota

Chi passa su codesto blog incrocia spesso gli articoli o le traduzioni di Maria G. Di Rienzo: preziosi gli uni come le altre. Ricordo a tutte/i (ne ho scritto il 2 luglio) che molte fra le storie cercate e trovate in questi anni da Maria G. Di Rienzo sono ora nel libro «Voci dalla rete» ovvero «Come le donne stanno cambiando il mondo»: è stato pubblicato da Multiverso di Udine (240 pagine per 15 euri): sarà in libreria a fine settembre ma potete già acquistarlo su www.forumeditrice.it o allo chiedendolo allo 0432 26001.

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