Libertà per Ocalan, ora!

A proposito della manifestazione di sabato a Milano ma anche della memoria storica e delle torture “democratiche”

di Gianni Sartori   

Per sabato 11 febbraio è prevista a Milano una manifestazione per la liberazione di Ocalan e di ogni prigioniera/o politica/o in Turchia.

Forse è il caso di rinfrescare la memoria ai giovani e agli smemorati sui giorni intensi che videro, alla fine del 1998, il fondatore del Pkk costretto a peregrinare tra Russia, Italia, Grecia, Kenia… Per finire poi sequestrato da un commando di uomini mascherati (presumibilmente turchi, ma non si esclude una collaborazione della Cia o del Mossad) per essere deportato, legato e imbavagliato, in Turchia. Da allora “il Mandela curdo” è in carcere, nonostante gli appelli internazionali e la tardiva concessione dello status di rifugiato concessa dall’Italia… solo dopo averlo frettolosamente e vergognosamente, non senza una buona dose di imbarazzo, allontanato. [NOTA 1].

Chi dobbiamo ringraziare per quell’infamia? Di sicuro Clinton che intervenne personalmente presso l’allora governo italiano. Probabilmente anche Putin che non lo accolse a Mosca. Assolutamente riprovevole il comportamento del governo greco: con l’inganno consegnò Ocalan direttamente nelle mani di Ankara che da allora lo tiene segregato nell’isola-carcere di Imrali.

Ma un discredito particolare spetta a Massimo D’Alema: in primo tempo aveva definito Ocalan “il leader curdo” ma divenne nel giro di una settimana prima “il cittadino Ocalan” e infine “il terrorista Ocalan”. Eppure in un primo tempo gli aveva garantito l’asilo politico.

Posso a tale proposito riportare una testimonianza diretta, un episodio minore ma indicativo.

Pochi giorni prima dell’arrivo di Ocalan all’aeroporto di Roma, si era tenuto a Vicenza, in piazza dei Signori, un comizio di Rifondazione comunista con Bertinotti. Ancora sul palco l’ex sindacalista rispose a una telefonata che dal suo atteggiamento sembrava piuttosto importante.

«Parlavo con Massimo – spiegò ingenuamente ai presenti (tra cui, testimoni oculari e auricolari, alcuni militanti del Collettivo Spartakus) – e stiamo lavorando per portare Ocalan in Italia». Intanto Ocalan peregrinava per l’Europa in compagnia di Ramon Mantovani, responsabile Esteri di Rifondazione [NOTA 2…] e di Ahmed Yaman, esponente di Eniya Rizgariya Netewa Kurdistan (Fronte di Liberazione Nazionale del Kurdistan).

Conoscevo soprattutto Yaman, intervistato in varie occasioni (per le riviste «Frigidaire» e «Narcomafie»). Nel gennaio 1998 lo avevamo invitato a Vicenza per una “assemblea-dibattito” insieme al compianto Dino Frisullo.

Poi le cose andarono come andarono. A ormai 18 anni da tali eventi Ocalan è sempre rinchiuso a Imrali e la dura lotta dei curdi per l’autodeterminazione continua.

Nel febbraio 1999, a pochi giorni dal sequestro di Ocalan, preoccupato per il trattamento a cui poteva venir sottoposto, avevo scritto una “lettera ai giornali” che, se non ricordo male, trovò scarsa ospitalità. Troppo scomoda?

La ripropongo senza modifiche, un “messaggio in bottiglia” dal passato. Avvertenza: risale al 1999 e risente del clima dell’epoca, ma credo possa ancora fornire elementi utili, se non altro per comprendere alcune logiche e alcuni metodi del potere.

Il prigioniero curdo Ocalan, esibito come una preda dal regime turco per ragioni di propaganda e stabilità interna, è apparso alquanto alterato, in evidente stato di prostrazione psichica.

Sicuramente nei prossimi giorni assisteremo a un processo-spettacolo in cui, grazie a torture e narcotici, difficilmente il leader curdo potrà difendere adeguatamente la causa del suo popolo. Forse dalla bocca dello stesso Ocalan sentiremo parole di sconfitta e pentimento, oltre all’appello ai partigiani curdi affinché depongano le armi. Dato che nel sequestro di Ocalan sono coinvolti la Cia e il Mossad israeliano (fraterni alleati del regime turco in guerra e affari) è assai probabile che, fin dal momento della cattura, Ocalan sia stato sottoposto a narcoanalisi.

Gli esperimenti condotti dai nazisti su ebrei e prigionieri russi per stabilire quali fossero i “limiti psichici” non si esaurirono con la fine della Seconda guerra mondiale. Gli Alleati si impadronirono di gran parte dei dati e addirittura riciclarono alcuni medici tedeschi processati (ma non condannati) a Norimberga. I nazisti fecero uso soprattutto di mescalina e derivati, mentre gli americani preferirono adottare il pentotal (conosciuto come “siero della verità”). Il pentotal, un barbiturico, una volta iniettato provocava uno stato di benessere e libertà psichica con il risultato di abbattere tutte le difese del detenuto durante l’interrogatorio. Venne usato sistematicamente anche nelle carceri francesi fino al 1963, soprattutto sui detenuti algerini.

Gli effetti prodotti dagli stupefacenti vennero denominati “narcoanalisi”. Con questo termine si intende una sorta di trance ipnotica indotta attraverso la somministrazione di droghe specifiche che intensificano lo stato di torpore e aumentano la suggestionabilità del soggetto.

Esperimenti di questo tipo sono stati condotti anche in Europa, sia in Irlanda del Nord (sui prigionieri repubblicani) che nei Paesi Baschi. Il primo caso documentato risale all’epoca franchista e riguarda il militante basco José Luis Zalbide, arrestato a Bergara nel 1965. Nel 1994 suscitò scalpore il caso del noto militante indipendentista “Anuk” (Xabier Kalparsoro) sequestrato illegalmente dalla polizia e poi rimesso in libertà in stato confusionale, probabilmente per seguirne gli spostamenti. Resosi conto di essere stato manipolato, Anuk riuscì, nei momenti di relativa lucidità, a lasciare una memoria scritta. Venne poi arrestato e precipitò misteriosamente dalla finestra di un commissariato. Sul suo cadavere vennero ritrovate tracce evidenti di un derivato della “datura stramonium”, una sostanza affine alla scopolamina.

Gli esperimenti, oltre che negli Stati Uniti, si svolsero anche in Canada, a Montreal. Qui negli anni settanta era in piena attività il dottor Donald Ewen Cameron, direttore del ”Allan Memorial Institute” e considerato il maggior esperto mondiale in materia di controllo e manipolazione della mente umana. Il Governo degli Stati Uniti mise a sua disposizione tutti i mezzi, umani e materiali, per sviluppare ulteriormente le ricerche. Cameron e la sua équipe somministrarono svariate droghe (pentotal, scopolamina, actedron…) e utilizzarono sui loro pazienti (detenuti, malati psichici, volontari…) altre tecniche per modificare la mente (ipnosi, elettro-shock, lobotomia…) mettendo poi a disposizione dei servizi segreti i risultati delle loro ricerche.

Il supporto logistico per queste ricerche non furono i campi di concentramento, ma le più prestigiose università statunitensi e israeliane che, in cambio di cospicui finanziamenti, misero a disposizione medici, psicoanalisti e psichiatri. Soprattutto a partire dal 1970 gli esperimenti trovarono applicazioni su numerosi detenuti in maniera molto precisa, selettiva, a seconda dell’obiettivo perseguito in ogni interrogatorio. Nella guerra di Indocina migliaia di vietnamiti vennero trattati con queste sostanze. Ovviamente esperimenti analoghi si svolsero, su scala industriale, anche nei gulag dell’Est, ma al momento non risulta che esistesse uno scambio di informazioni in proposito.

Le evidenti manipolazioni subite dal prigioniero politico Ocalan non sono quindi un’improvvisazione del regime turco, ma hanno alle spalle l’esperienza repressiva e controinsurrezionale dell’imperialismo. Tutto questo comunque non basterà per demoralizzare la resistenza curda e altri combattenti sapranno continuare sulla strada indicata da Ocalan vent’anni fa con la fondazione del Partiya Karkeren Kurdistan.

Gianni Sartori (responsabile per Vicenza della Lega per i diritti e la liberazione dei popoli)

febbraio1999

[NOTA 1] nel 1998, di fronte all’intransigenza turca e vedendo la portata delle pressioni di Ankara sul governo siriano, Ocalan e altri esponenti del Pkk rifugiati in Libano cercarono di riportare la questione curda sul tavolo delle trattative e del dialogo (proponendo un “cessate-il-fuoco”) con la controparte turca. Niente da fare! Da parte sua la Turchia andava radunando truppe al confine con la Siria e interrompeva il flusso delle acque proveniente dalla diga Ataturk. Anche se Damasco, praticamente sotto assedio, si rifiutava comunque di consegnare Ocalan alla Turchia, dopo 40 ore di negoziati ininterrotti si vide costretta a siglare un accordo con cui sospendeva ogni appoggio al Pkk. A quel punto Ocalan si recò, in aereo, a Mosca dove però non gli venne concesso l’asilo politico. Dopo altre peregrinazioni il 12 novembre 1998 sbarcava a Roma (con Mantovani e Yaman). Come ho detto, Massimo D’Alema non tenne fede alla promesse e, nonostante l’arrivo a Roma di migliaia di curdi della diaspora, Ocalan fu costretto a ripartire. Il 29 gennaio è in Grecia e poi in Kenya, presso l’ambasciata ellenica. Avendo Nelson Mandela garantito la sua disponibilità a ospitarlo, gli venne fatto credere che verrà portato in Sudafrica. Ma il 15 febbraio 1999, durante il tragitto dall’ambasciata all’aeroporto, viene consegnato ai suoi sequestratori.

[NOTA 2] di Mantovani un po’ diffidavo per la vecchia questione di un appello del 1997 per Herri Batasuna, da lui prima sottoscritto e poi clamorosamente rigettato.

MA ANCHE

Qui – 11 febbraio, tutte e tutti a Milano al fianco del Kurdistan – trovate notizie sulla manifestazione di sabato. In “bottega” più volte abbiamo segnalato le pessime condizioni di salute in cui versa Ocalan; a esempio qui: Appello urgente per Abdullah Ocalan. Sulla tragica questione delle torture, materiali e chimiche, raccomando di recuperare almeno il documentatissimo libro «Una questione di tortura» di Alfred Mc Coy, edito da Socrates; cfr la mia recensione: Mc Coy e la tortura “inevitabile” dei governi Usa; ma ci sono altri testi importanti e quasi ignoti sugli esperimentio scientifici per “migliorare” la tortura… nei Paesi detti democratici: varrà la pena, prima o poi, costruire un piccolo percorso di memoria, magari qui in “bottega”. [db]

 

Redazione
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