L’inferno dei migranti in fuga dal Centroamerica

Vittime di sfruttamento, schiavitù e tratta, deportati dal Messico, i giovani centroamericani cercano comunque di garantirsi un futuro migliore lontano dalle baraccopoli delle metropoli dove prosperano le pandillas e i narcotrafficanti

di David Lifodi

Tratta delle persone, sfruttamento sessuale e riduzione in schiavitù rappresentano i pericoli maggiori per i migranti latinoamericani e centroamericani che cercano di raggiungere gli Stati uniti attraverso il Messico, paese che a sua volta respinge gli indocumentados e li deporta nei paesi di provenienza, facendo il lavoro sporco per conto di Donald Trump. In America latina, ad essere vittime della tratta di esseri umani sono il 66% delle donne, il 13% delle bambine, il 12% degli uomini e il 9% dei bambini.

L’Observatorio Latinoamericano Sobre Trata y Tráfico de Personas spiega che il Messico, in qualità di paese di origine, transito e destinazione dei migranti irregolari, è la seconda nazione dove si trovano il maggior numero di persone in condizioni di sfruttamento. Inoltre, è la fascia di giovani tra i 14 e i 24 anni a desiderare maggiormente un futuro lontano dal loro paese, soprattutto in Centroamerica, per sfuggire alla vita di baraccopoli come Nueva Capital (Tegucigalpa), Popotlán (San Salvador), El Limón (Città del Guatemala) e dalle sterminate periferie come quella di Managua. Questi dati, raccolti dall’Instituto de Investigaciones Sociales  de la Universidad de Costarica, testimoniano la volontà di giovani e giovanissimi di abbandonare luoghi dove la distribuzione della ricchezza è tra le più ingiuste del pianeta e prosperano pandillas e narcotraffico, mentre la presenza dello Stato nei barrios più poveri è praticamente inesistente. In un contesto in cui prevalgono povertà, disuguaglianza sociale e insicurezza, lo Stato difficilmente riesce ad agire per migliorare la situazione e, per questo motivo, i giovani sono disposti anche ad esporsi a rischi enormi, come quello di attraversare le frontiere e ad oltrepassare lo scoglio del Messico, divenuto ormai un cimitero per i migranti in transito. Non solo. Spesso è lo Stato a criminalizzare quei giovani che magari fanno di tutto per non essere reclutati nelle pandillas, ma sono ritenuti a prescindere dei criminali perché vivono in quartieri malfamati e finiscono per cadere nelle operazioni di limpieza social promosse dalla stessa polizia.

Le persone in fuga dal Centroamerica che non riescono a raggiungere gli Stati uniti non devono nemmeno rimanere in Messico: questo è stato il pensiero prevalente dei governi susseguitisi almeno finora  a Los Pinos in attesa del 1 dicembre, quando assumerà la presidenza López Obrador. Nel solo 2017 il governo messicano ha deportato oltre 80mila persone, nonostante fosse cosciente che farle tornare al loro paese di origine avrebbe rappresentato per loro un rischio enorme. Ogni anno, delle circa 500mila persone che attraversano la frontiera sud del Messico, solo in poche sono a conoscenza dei loro diritti, tra i quali quello di chiedere asilo al Messico stesso, che invece mette in atto la cosiddetta procedura di devolución o refoulement. Inoltre, ogni migrante soggetto a deportazione, avrebbe il diritto di essere difeso da un legale, ascoltato da un’autorità competente e addirittura di impugnare la stessa pratica di devolución, ma la stragrande maggioranza sostiene di non esser stata informata sulla possibilità di chiedere asilo al Messico. Il 94% delle persone deportate dal Messico secondo gli ultimi dati, risalenti al 2017, proviene da El Salvador, Guatemala e Honduras, dove sono state rispedite spesso contro la loro volontà e obbligate a firmare dei documenti in cui acconsentivano al loro rimpatrio.

La deportazione, in gran parte dei casi, contribuisce a spingere i migranti nelle mani di criminali senza scrupoli che non solo li costringono a vivere in condizioni di vera e propria schiavitù, ma cercano di allontanarli da quelle reti di appoggio nate per sostenere gli indocumentados, in modo tale che non possano chiedere aiuto a nessuno.La vita di migliaia di persone, in tutto il Centroamerica, è a rischio, ma le difficoltà connesse alla migrazione continuano ad essere ignorate.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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