L’inverno primaverile sloveno

di Bozidar Stanisic

“Non siamo pecore”, alla vigilia di Natale al Trg Republike (Piazza del Popolo) a Lubiana ora si grida ad alta voce. Sono in oltre 10 mila alla Rivolta dei fiori, che da giorni –  distanza esatta di 21 anni dal plebiscito del popolo sloveno di far secessione dalla Jugoslavia Federale (“troppo serba, troppo di Belgrado”, sentivo allora perché ero ancora in Bosnia) – protestano di fronte un muro di poliziotti, fra cui anche l’unità “Bestie Ninja” da cui viene chiesto il giù della visiera… Sì, protestano quasi senza un eco giusto in Europa dei canali televisivi statali e dei giornali tenuti dai gruppi del potere economico e finnanziario. E protestano urlando contro i palazzi del potere (non solo a Lubiana, anche a Maribor e in alcune altre città del piccolo Stato di 2 milioni di abitanti), contro l’elitè governativa ed economica, contro i politici strapagati di fare poco o nulla, tutto in nome del futuro dei cittadini che dovranno riprendere in mani proprie il loro futuro.     
La Piazza del Popolo a Lubiana ha un significato più che simbolico… Ricordo quel momento della storia del disfacimento della Jugoslavia, quando la folla cantava “Janez, Janez Jansa”, in appoggio (anche se nazionalista) di questo ex caporale dell’esercito, accusato allora per alto tradimento. Il nome di Jansa, l’attuale presidente del governo sloveno, allora era uno dei sinonimi della libertà e della rivolta contro lo Stato unitario e la Belgrado in primis. E ora? Il “sinonimo della libertà” durante gli ultimi due decenni si è trasformato nello sfruttatore delle opportunità più varie (inclusi la compravendita delle armi e il suo arricchimento personale). Ora lui e i suoi primi collaboratori del governo ascoltano le urla che rivelano i frutti marci  del terreno politico ed economico da anni avvelenato dalla corruzione, dalla svendita dei potenziali produttivi, dal vissuto drammatico del capitalismo selvaggio e dalle finanze senza volto. Certo, gli sloveni sono arrabbiati, con 600 euro al mese e con i prezzi davvero europei, chiedono di riprendere il loro futuro, e ciò vogliono malgrado a tutto, incluso quel poco della copertura mediatica nella stessa Europa, due decenni fa vista e richiamata in un altro modo, con vive speranze (“Evropa zdaj – ora l’Europa!, si gridava allora in Slovenia seccessionista).
I video materiali sulla protesta a Lubiana e Maribor ci rivelano anche un’uomo travestito in una giraffa, con la scritta molto chiara sulle dita dei politici che sono più lunghe del suo collo. Non mancano immagini dei maiali (parlamentari), i richiami per restutuire le fabbriche agli operai, le bandiere nazionali con la striscia di lutto, l’invito a tutti i cittadini che si risveglino, che arrivino in 200-300 mila… E sui poliziotti buttano centinaia dei fiori di garofano. Di colore rosso, ovviamente, come ricordo alla memoria che, secondo più di qualcuno ancora non è morta: per diritti degli operai in Slovenia avevano lottato alcune generazioni, e in queste lotte più di qualcuno ha dato la vita, a partire dai tempi degli Asburgo…  
Una delle prime voci d’appoggio ai rivoltosi – in Italia diremmo: per caso? – è arrivata dalla lontana Islanda. Un video è stato mandato da Hörður Torfason, il rivoluzionario e l’organizzatore della “rivoluzione della cucina”, incominciata nel 2008, con dei suoi auguri personali agli sloveni e alle slovene nei mesi e negli anni prossimi.  Quindi, è chiaro, il vecchio Torfasson la vede lunga… “In Islanda abbiamo incominciato la nostra lotta dal 2008 e ancora resistiamo. Che duri la nostra resistenza, non c’è nulla del male, lotteremo e lo faremo insieme. La nostra lotta è mirata contro la corruzione di coloro che hanno rubato i nostri soldi, le nostre proprietà e i nostri valori, e il conto presentano a noi. La nostra risposta è chiara: No!”. E aggiunge che il suo cuore è che con coloro che sono scesi nelle  piazze slovene.
Quanto sono lontane le piazze slovene dalle nostre, in Italia della seria intenzione del ritorno di Berlusconi e degli inciuci delle alleanze politiche possibili e non del periodo pre-elettorale? E quelle esperienze islandesi, quanto sono lontane? Certo, i contesti politici ed conomici sono diversi, ma la finanza è la stessa! Quindi, quanto siamo davvero lontani, quanto non abbiamo imparato dalle esperienze dell’Islanda odierna, dalle quali è iniziato un processo dei cambiamenti epocali per una piccola società, incluso il radicale cambiamento della Costituzione, il cuore di chi governa lo Stato. E oltre a ciò, gli islandesi sono riusciti a difendere i cittadini messi in pericolo dalle banche irresponsabili (andate in bancarotta, ma senza problemi per i risparmiatori risarciti dallo Stato).
E dov’è, in realtà, quell’isola di nome Islanda? C’è la presenteranno in qualche talk show, magari con il terzetto Berlusconi-Monti-D’Alema? Non siamo, già da tempo, senza forse, dal povero Pascal, che pensava agli uomini non piacesse pensare molto, perciò si divertono anche se seduti sul ramo già abbastanza segato.
                                               
 
Redazione
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