L’inverno rovente del Marocco

di Karim Metref (*)

Proseguono le proteste, la repressione si fa spietata

Sabato scorso la città di Jerrada, nella parte centro-orientale del Marocco, ha di nuovo vissuto una giornata tumultuosa. Centinaia di manifestanti sono usciti per protestare contro l’arresto di Mustapha Dainine, un militante di sinistra, uno dei leader della protesta che agita questa piccola città di confine dalla fine dell’anno scorso. Le proteste di Jerrada fanno parte di una serie di sollevamenti popolari che scuotono il regno del Marocco da più di un anno ormai. È iniziato tutto nella parte settentrionale del Paese, nella regione montuosa del Rif (1), l’eterna ribelle.

L’attivista Mustapha Dainine

ERA IL 28 OTTOBRE 2016 quando Mohcine Fikri, un giovane pescivendolo, è morto schiacciato dentro la benna di un camion di raccolta rifiuti mentre protestava per il sequestro della sua merce. La sua fine, preceduta dall’ordine di un ufficiale della polizia che ha gridato «tritatelo!», è stata filmata da molti presenti e mandata in rete sui social network, suscitando un’ondata di indignazione e rabbia che è sfociata in mesi e mesi di proteste.

Il governo come al solito ha risposto con un mix di repressione e tentativi di seduzione, con poche concessioni. Ma il Hirak (il movimento) ha continuato a sfidare i divieti di manifestare e allora si è passato alle maniere forti: centinaia gli arrestati. Le accuse per alcuni di loro sono di «minaccia alla sicurezza dello Stato» e alcuni sono già stati condannati a pene molto pesanti, fino a 20 anni. Mentre molti aspettano ancora l’esito dei loro processi, sempre blindati.

Stanco il Rif, ma si alzano altre regioni.

Il movimento è stanco, ma le proteste continuano. Solo che da mesi la lotta della popolazione è più per la liberazione dei prigionieri che per la piattaforma di rivendicazioni, di cui non si parla quasi più.

Nel frattempo, il coraggio e la tenacia dei cittadini del Rif sembrano aver contagiato altre regioni del paese. A novembre, nella zona di Essaouira, la popolazione si è ribellata dopo che alcune donne sono morte schiacciate in una rissa tra affamati che facevano la coda per una distribuzione di alimenti. Poco prima, nelle prime settimane di autunno, a Zagora e dintorni gli abitanti sono usciti per protestare contro la penuria di acqua. Acqua che invece viene sprecata dai grandi proprietari in colture, come l’anguria, che ne consumano tantissima.

In questi giorni invece è la zona di Jerada, sul confine con l’Algeria, che è in stato di ebollizione. La regione una volta viveva principalmente di estrazione di carbone, attività ufficialmente conclusa nel 2001. Ma anche se la miniera ufficiale è chiusa, la povertà spinge la gente a scavare pozzi abusivi per estrarre carbone in modo artigianale. Il 22 dicembre scorso, una galleria abusiva crolla e ci muoiono tre giovani. Non è la prima volta che succede. La popolazione, esasperata dall’ennesimo caso di giovani sepolti vivi nei pozzi della miseria, esce a manifestare e da allora la situazione non è più rientrata nella norma. Negli ultimi giorni il governo ha proposto un programma di investimenti economici nella regione, dividendo il movimento tra chi vuole crederci e fermarsi e chi ricorda che le promesse del governo, in altre regioni, non sono mai state rispettate finora.

La repressione come unica certezza

Però l’unica cosa certa rimanela repressione. In tutte queste regioni, la mano dello stato ha colpito duro. Arresti a catena e condanne durissime. Il solo appello via Facebook per un raduno può portare gli attivisti all’arresto. Nel Rif, il nuovo livello della repressione è quello contro i minorenni. Centinaia di bambini e ragazzi vengono interpellati durante i cortei o convocati in caserma. Alcuni vengono trattenuti per ore, altri per giorni. Il caso più emblematico è quello di Saifeddine, della località di Imzouren, una delle più attive. Portato in un commissariato, è stato interrogato per 6 lunghe ore dai poliziotti e poi rilasciato. Sarebbe normale gestione dell’ordine pubblico, se non fosse che Saifeddine è un bambino di soli 6 anni.

Altri minori sono ancora in carcere con l’accusa di disordini e raduni non autorizzati. Molti hanno subito violenze fisiche e psicologiche, denuncia il movimento. Non solo detenzione preventiva, ma anche condanne pesanti per quelli passati in giudizio: in genere uno, due anni di detenzione, ma c’è chi ha preso 15 anni.

Nei giorni scorsi, più di una ventina di organizzazioni nazionali e internazionali hanno diffuso un «Appello alla solidarietà contro la repressione del Hirak del Rif». Nell’appello si può leggere: «Un’ondata di arresti senza precedenti si è abbattuta sugli abitanti del Rif marocchino. Al momento, undici minori sono perseguiti in stato di libertà provvisoria mentre altri dodici sono in carcerazione preventiva in attesa del processo. Ricordiamo che già da otto mesi i militanti del Hirak (Movimento) del Rif sono vittime di una repressione feroce: si contano 450 persone in carcere o sotto processo giudiziario. I prigionieri politici sono stati sparpagliati in più di dieci prigioni del Marocco. La repressione colpisce arbitrariamente tutta la popolazione del Rif, giovani e adulti, donne e uomini. Tutti gli abitanti sono ora potenziali bersagli delle forze dell’ordine».

Qui sopra nel video si vede la Polizia che si lancia contro la folla con i camion travolgendo volontariamente più di un manifestante.

Un giro di vite anche alla stampa

A rendere il clima ancora più pesante, il mese scorso è arrivata la notizia dell’arresto di Taoufik Bouachrine, direttore del quotidiano Akhbar Al Yaoum. Una nota del procuratore generale di Casablanca parla di presunte denunce per violenza sessuale a suo carico, ma non è filtrato altro finora.

Anche per Mustapha Dainine, l’attivista di Jerada, il Procuratore generale di Oujda ha dichiarato che il suo arresto non è legato alle proteste, ma a un misterioso incidente d’auto che il giovane avrebbe causato. Fatto sta che mentre una parte del movimento della città è tentata dalle promesse del governo, Dainine sembra essere uno tra gli irriducibili che chiamano a continuare la lotta. L’incidente cade un po’ troppo a fagiolo per essere credibile.

All’inizio delle proteste del Hirak lo stato ha colpito duramente tra i giornalisti freelance e i gestori di piccoli siti di informazione locali, che si erano distinti per una copertura più vicina ai movimenti. Secondo alcuni osservatori esperti di questioni marocchine, l’arresto di Bouachrine, direttore di una testata mediamente importante è un segnale chiaro indirizzato alle testate più grosse: Il potere non tollera più nessuna forma di simpatia per le proteste. Il dialogo tra il palazzo reale, vero titolare di ogni potere in Marocco, e la società civile, è fatto principalmente di segni, messaggi non verbali e segnali subliminali.

Un dialogo tra sordi

Anche le proteste e le ribellioni degli ultimi anni hanno comunicato cpon simboli chiari con il regime. Il rifiuto di molti movimenti di dialogare con i governi fantocci, dicono al sovrano: sappiamo che sei quello che ha il potere vero tra le mani e ti diciamo che la magia delle riforme dei primi anni 2000 è finita. Il popolo è contento di avere più libertà rispetto all’era di tuo padre, ma vorrebbe anche un pochino più di partecipazione, di trasparenza, e magari anche di giustizia sociale ed economica.

Invece l’aumento della repressione è la risposta del Palazzo alla strada. Dice che la pazienza dei regnanti si sta esaurendo e che potrebbe finire del tutto come nell’era del defunto Hassan II, che non esitò a bombardare con gli aerei le zone più ribelli, in modo particolare il Rif… Appunto.

Tutto indica che il monarca-imprenditore più ricco del pianeta non cederà al popolo una fetta della torta che tiene ancora saldamente tra le mani. Per lo meno non per effetto di semplici manifestazioni sporadiche.

(*) Pezzo pubblicato su “Il Manifesto” in data 15/03/2018

(1) Leggere “L’ABC del Hirak” per capire cos’è la rivolta del Rif e da dove viene.

 

 

Karim Metref
Sono nato sul fianco nord della catena del Giurgiura, nel nord dell’Algeria.

30 anni di vita spesi a cercare di affermare una identità culturale (quella della maggioranza minorizzata dei berberi in Nord Africa) mi ha portato a non capire più chi sono. E mi va benissimo.

A 30 anni ho mollato le mie montagne per sbarcare a Rapallo in Liguria. Passare dalla montagna al mare fu un grande spaesamento. Attraversare il mediterraneo da sud verso nord invece no.

Lavoro (quando ci riesco), passeggio tanto, leggo tanto, cerco di scrivere. Mi impiccio di tutto. Sopra tutto di ciò che non mi riguarda e/o che non capisco bene.

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