L’italia (minuscola) di Agnese, di Ovawe, di Dronero…

e di Gianni Rodari

Una nuova puntata di «sparite-sparate» (*)  

I – Di che razza sono i numeri?

L’uso in questa rubrica dei numeri romani è sarcasmo verso chi vorrebbe liberarci della multiculturalità (antica quasi come il mondo e necessaria come l’acqua) e perciò anche dei numeri arabi.

II – Ci eravamo lasciati…

a marzo su «Come» nel consueto mix di buone (poche) e cattive notizie. Con la consueta schizofrenia istituzionale. Per esempio da un lato il Comune di Roma dichiara che bisogna chiudere il Cie di Ponte Galeria e dall’altra Milano che riapre il suo. Un’Italia unita nel peggio: a Casal di Principe si picchia un ragazzo «perché è nigeriano» (triste coincidenza: nel «giorno della memoria» per don Diana), a Roma in una panetteria si espone il cartello «è severamente vietato l’ingresso agli zingari» e al Nord gli episodi di razzismo sono quasi quotidiani.

III – I morti di Prato, cinque mesi dopo

Nella inchiesta sul rogo di Prato (ricordate? VII operai cinesi morti, il primo dicembre dell’anno scorso) vengono arrestati due imprenditori italiani e tre cinesi: interessante smentita per chi vorrebbe che fossero i soli “gialli” (anche questo si è letto nei titoli) a sfruttare i connazionali. Anni fa chiesi a un collega perché aveva usato lo spiritoso (secondo lui) «limoncini» in un titolo per parlare di bimbi cinesi. Mi rispose “serissimo” che era «un sinonimo», per evitare di ripetere troppe volte in un articolo la parola cinesi. Io gli chiesi come faceva se in una stessa frase doveva due volte parlare di italiani: preferiva chiamarli «i pizza e mandolino», «gli stivaletti» o «coppola e lupara»? Fece uno sguardo strano: forse non mi capì, forse un’uveite o un’altra malattia degli occhi. Tornando all’inchiesta di Prato, il giudice (il gip per l’esattezza) scrive: «Ci sono violazioni così gravi e dannose che non c’è da chiedersi quali norme siano state infrante ma quali siano state rispettate». Ho immaginato di intervistare uno dei tanti politici che tuona (e legifera) contro le pastoie burocratiche e l’eccesso di controlli che bloccano gli imprenditori e chiedergli se vede un nesso con quanto emerge a Prato (o a Taranto, per dire); e mi sono immaginato lo stesso sguardo nel vuoto. Sempre in marzo «Il fatto quotidiano» aveva pubblicato due pagine di Carlo Ripa di Meana (85 anni: una vita da ambientalista) sulla situazione a Prato. Le annunciate misure delle istituzioni contro «la riduzione in schiavitù» di tanti

immigrati cinesi? Ecco le ultime righe dell’articolo: «Purtroppo credo che tutto sia rimasto esattamente com’era prima dell’incendio di dicembre».

IV – Cie dimezzati?

A fine marzo Alfano aveva detto che bisognava «ridurre» i tempi nei Cie. In qualche modo (contorto, com’è nello stile dell’attuale politica italiana) ha mantenuto la promessa perché il II aprile la Camera ha dato via libera a un disegno di legge dove, fra l’altro, si depenalizza il reato di immigrazione clandestina: in sostanza resta valido solo per i recidivi. Una piccola buona notizia o se preferite un tardivo ravvedimento.

V – Roma/rom, parole e fatti

Colpisce che il sindaco di Roma inviti – ed è giusto – a non usare parole discriminatorie contro i rom però poi, di fatto, nei comportamenti pratici dell’amministrazione non si discosti troppo (nonostante le promesse elettorali) da quel che faceva Alemanno, il sindaco precedente. Il VII aprile sul quotidiano «il manifesto» si potevano leggere due pagine impressionanti: un reportage fra «i rom senza luce della Tiburtina» («vivono in una ex tipografia») e un dossier di Amnesty International dove si chiede che Roma metta fine alle discriminazioni. E due giorni dopo, ancora «il manifesto» pubblica una lettera al sindaco – firmata da Amnesty e altre X organizzazioni – per cambiare finalmente la politica verso i rom. Le parole sono importanti ma i fatti di più.

VI – Sono tante e invisibili le Agnese

Nel raccontare il congresso della Fiom «il manifesto» (del XII aprile) ha raccontato la piccola-grande storia di Agnese, immigrata dieci anni fa dalla Costa d’Avorio. Varie occupazioni poi, tre anni fa, va a lavorare in un agriturismo: «un anno e mezzo senza un salario intero» e frasi del tipo «Ma di che soldi hai bisogno? Mangi e dormi da noi». Agnese diventa irregolare perché lavora in nero. Quando chiede i soldi dovuti viene picchiata e il padrone le dice: «Vattene via, a Rossano la legge sono io». Ma lei lo denuncia.

VII – Sono tanti anche gli Oviawe

Lo stesso giorno (XII aprile) un diverso quotidiano, «La stampa», racconta una di quelle storie che quasi sempre restano invisibili. In questo caso a Padova: Oviawe Prensley, nigeriano in Italia da 20 anni, è su un autobus con un biglietto timbrato due volte. Il controllore chiama i vigili che – secondo la sua denuncia, sostenuta anche dall’associazione Razzismo Stop – lo pestano. C’è un referto medico: 15 giorni e a anche le foto mostrano il suo volto tumefatto. Macché, ha sbattuto la faccia contro una finestra mentre cercava di scappare è la versione dei vigili.

VIII – Sono tante anche le Dronero?

«Il fatto quotidiano» (del XVII aprile) racconta di Graziano Isaia, preside a Dronero, che lascia la scuola accusando i genitori che tolgono i loro figli per evitare che vadano in classe con «extracomunitari». Il giovane preside cita, a ragione, don Milani ma a me – sapendo che queste storie raramente finiscono sotto i media – viene in mente un racconto di Gianni Rodari che mi pare si intitolasse «l’italia minuscola» (e/o invisibile). Lo riassumo a memoria, spero di coglierne il senso. C’è un insegnante che torna a casa arrabbiato perché a scuola in un compito ha trovato l’Italia scritto con la minuscola. La cameriera lo ascolta mentre si sfoga e poi gli dice: ma forse è giusto così, esiste un’italia minuscola che nessuno vede, neanche a scuola.

IX – E chissà quanti sono i Jovanovic?

Fra le tante assurdità delle leggi italiane rispetto ai migranti c’è anche l’espulsione di chi… è nato qui. Come il ventitreenne Jovanovic Dalibor, nato in Italia ma rinchiuso al Cie di Ponte Galeria per essere espulso in Bosnia (che è la patria dei suoi genitori) dove però non è conosciuto e dunque l’ambasciata comunica che nessun «rimpatrio» è possibile. Una storia pirandelliana raccontata su «il manifesto» del XVIII aprile: sapremo a giugno come finirà perché il giudice di pace per ora ha deciso di tenere il non italiano e non bosniaco altri due mesi al Cie.

X – Se l’Italia è in Europa

Delle polemiche su Mare Nostrum, degli allarmismi sugli sbarchi con «milioni» di extracomunitari pronti a partire verso l’Italia o delle denunce (continue ma inascoltate) sui minori stranieri non accompagnati si parlerà magari in un prossimo «Come». Sono comunque alcune delle facce di una confusione che nasce da una non politica (trentennale almeno) italiana sulla migrazione, dal comodo alibi dell’eterna “emergenza”, dalla presunta paraculata di ricordarsi che si è in Europa quando è comodo (per chiedere soldi a esempio) ma dimenticarsene (quando ci sono accuse, critiche, multe. Proprio per questo – e visto che ci sono le elezioni europee – può essere utile leggere il box di Grazia Naletto qui sotto.

10 (numero romano) – Finchè c’è lei…

la Costituzione, qualche speranza c’è – anche in questi brutti tempi – ma bisogna difenderla e applicarla. A partire dall’articolo 10 (numeri arabi sì). Questa rubrica chiude sempre così: un richiamo all’Italia migliore ma soprattutto un impegno a non arrendersi a quella peggiore.

BOX: 6 mosse per cambiare l’agenda migratoria

di Grazia Naletto (ripreso da http://www.sbilanciamoci.org/ all’interno del dossier «Mare Monstrum».)

L’Europa diseguale, escludente, chiusa nelle mura della sua fortezza è davvero l’unica strada possibile e, soprattutto, è la strada giusta?

Il modello economico e sociale plasmato dall’egemonia neo-liberista ci consegna un’Europa divisa che mette in competizione tra loro proprio le fasce di popolazione più colpite dalla crisi: giovani contro adulti e anziani, disoccupati contro lavoratori, lavoratori precari contro lavoratori dipendenti, lavoratori dipendenti contro lavoratori autonomi e cittadini comunitari contro cittadini di Paesi terzi. Tutti gli uni contro gli altri armati perché è stato spiegato loro che il lavoro, la salute, l’istruzione, l’abitare in una casa decente sono ormai non diritti ma privilegi che non possono essere garantiti a tutti. Anzi sono stati ridotti a “costi” da tagliare il più possibile.

Persino nel mondo degli economisti di sinistra vi è chi considera i lavoratori migranti soprattutto come un “fattore” che contribuisce all’abbassamento dei costi del lavoro e che grava sul nostro sistema di welfare, guardandoli quando va bene con accondiscendente “tolleranza”, quando va male come un lusso “insostenibile” di cui occorre limitare la presenza. Ma nel mondo post-globale in cui capitali e merci circolano liberamente e le imprese possono trasferirsi di volta in volta laddove il costo del lavoro costa meno, mentre le diseguaglianze di reddito e di ricchezza continuano ad aumentare sia tra i nord e i sud del mondo che all’interno dei singoli stati, pretendere di fermare la circolazione delle persone è un’autentica chimera.

Lo dimostrano per altro le politiche securitarie portate avanti sino ad oggi: anni di chiusura delle frontiere, di controllo dei mari, di respingimenti illegittimi, di detenzioni arbitrarie, di violazioni dei diritti umani non hanno fermato gli arrivi dei migranti in Europa, pur essendo stati al centro dell’impegno pubblico a livello politico, normativo e finanziario.

Le scelte discriminatorie e proibizioniste nei confronti dei migranti hanno semmai aperto il varco a politiche escludenti per tutti nel lavoro come nel Welfare: le discriminazioni dei migranti non generano più diritti per i “nazionali”, semmai aprono la strada a una progressiva riduzione dei diritti di cittadinanza per tutti. Se si parte da qui, l’agenda che i movimenti antirazzisti stanno proponendo in queste settimane ai candidati alle elezioni europee può essere condivisa da chi vuole costruire l’altra Europa, un’Europa meno diseguale e più giusta.

Primo fra tutti deve essere garantito il diritto di arrivare e di chiedere asilo facilitando l’ingresso “legale” per motivi di lavoro e di ricerca di lavoro, riformando il Regolamento Dublino III con l’abolizione dell’obbligo di presentare richiesta di asilo nel primo paese di arrivo, sospendendo gli accordi esistenti con i paesi terzi che non offrono adeguate ed effettive garanzie del rispetto dei diritti umani.

Secondo: l’Europa deve cancellare la vergogna dei centri di detenzione.

Terzo. L’Unione Europea dovrebbe ratificare la Convenzione sui diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie, adottata nel 1990 dall’Assemblea delle Nazioni Unite, che prevede tutele contro lo sfruttamento e il lavoro forzato. Non è stata ancora ratificata da parte di nessun paese europeo.

Quarto. Occorre armonizzare le legislazioni nazionali sul diritto di voto amministrativo, ancora oggi negato ai cittadini stranieri non comunitari residenti in Italia, in Francia e in Germania e sull’acquisizione della cittadinanza del paese di residenza da parte dei cittadini stranieri stabilmente soggiornanti, in primo luogo da parte dei “figli dell’immigrazione”.

Quinto. L’UE dovrebbe assumere la prevenzione e la tutela contro le discriminazioni istituzionali nel Welfare come una priorità, con particolare riferimento alla tutela dei diritti dei minori e del diritto allo studio.

Sesto. L’Europa dovrebbe sanzionare i Paesi che, come l’Italia, hanno istituzionalizzato il sistema dei “campi nomadi” facendo in modo che questi spazi di segregazione sociale e culturale scompaiano definitivamente dal suo territorio.

Non è un’agenda rivoluzionaria. Vedremo chi sarà disposto a sottoscriverla.

SOLITA NOTA

(*) Notizie sparite, notizie sparate. Certezze, mezze verità, bufale, voci. Questa rubrica – che è nata sul mensile milanese «Come solidarietà» dove prosegue saltuariamente a uscire – prova a recuperare e/o commentare quel che i media tacciono e/o pompano (oppure rendono incomprensibile, con il semplice quanto antico trucco di de-contestualizzarlo) su migranti, razzismi, meticciato, intercultura e dintorni. Le puntate precedenti si possono vedere qui in blog (db)

 

 

Redazione
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