Lo stadio come laboratorio di controllo sociale

Considerazioni a margine del divieto di esporre bandiere e striscioni in ricordo di Federico Aldrovandi all’interno degli impianti sportivi

di David Lifodi

Il 30 dicembre scorso, in occasione della partita Sampdoria-Spal, in gradinata sud, cuore del tifo blucerchiato, gli Ultras Tito Cucchiaroni espongono lo striscione “Per alcuni una provocazione, per noi un ragazzo”. Il riferimento è a quanto accaduto poche settimane prima, in occasione di Roma-Spal, quando ai tifosi ferraresi presenti all’Olimpico era stato vietato di sventolare una bandiera con il volto di Federico Aldrovandi, il giovane ucciso il 25 settembre 2005 dalle forze dell’ordine mentre stava tornando a casa dopo una serata trascorsa con gli amici. A seguito di quanto accaduto a Roma, sono state numerose le tifoserie che hanno aderito alla campagna #FedericoOvunque, ma striscioni e bandiere con il volto del diciottenne sono state vietate o, in alcuni casi, strappate dalle stesse forze dell’ordine in buona parte degli stadi italiani.

Per diversi anni, nella curva della Mens Sana basket, la squadra di pallacanestro di Siena, la tifoseria organizzata ha esposto lo striscione “Verità e giustizia per Aldro e Gabbo”, un modo per segnalare come ormai stadi e palazzetti dello sport si siano trasformati in una sorta di laboratorio di repressione e di controllo sociale: sono troppi, dentro e fuori gli impianti sportivi, ma non solo, i casi in cui alcuni agenti della polizia sono protagonisti di episodi in negativo. Probabilmente, i singoli poliziotti in servizio agiscono su ordine di superiori che predicano tolleranza zero, ma in certi casi prevale anche un certo senso di impunità. Come spiegare altrimenti quanto successo, a Siena, in occasione del match di Lega Pro del 17 dicembre scorso, quando sia al tifo organizzato locale sia ai sostenitori pratesi che seguivano la squadra in trasferta è stata strappata una bandiera appesa alla balaustra di entrambe le curve con il volto di Aldrovandi? Il gesto, odioso, al pari della minaccia di Daspo immediato, si può spiegare solo con la sicurezza, da parte degli agenti protagonisti della bravata, di farla franca. Del resto, non c’è niente da stupirsi se nel nostro Paese, solo pochi giorni fa, ai vertici della Dia, è stato nominato Gilberto Caldarozzi – condannato a 3 anni e 8 mesi per i falsi verbali della scuola Diaz in occasione del G8 di Genova  del 2001 – e se Pietro Troiani, vicequestore coinvolto nel caso delle false molotov che giustificarono la famosa operazione di “macelleria messicana”, è stato nominato dirigente del Centro operativo autostrade di Roma.

La onlus “Associazione contro gli abusi in divisa” (Aned) – nata nel 2014 per svolgere una attività di osservatorio sulle violenze e gli eccessi commessi dalle forze dell’ordine – ha denunciato che sono stati diversi gli stadi in cui le tifoserie protagoniste della campagna #FedericoOvunque hanno subìto ritorsioni da parte degli agenti. Ad esempio, alcuni tifosi del Parma sono stati denunciati per aver esposto una decina di immagini di Aldrovandi in occasione dell’incontro con la Ternana dell’8 dicembre. Tuttavia, ancora peggio ha fatto il giudice sportivo Pasquale Marino che ha sanzionato con due multe di 750 e 500 euro le società di Siena e Prato perché i loro tifosi hanno esposto “uno striscione di contenuto provocatorio nei confronti delle forze dell’ordine”. Viene da chiedersi: provocatorio per chi? Questa domanda è destinata a scontrarsi con un muro di gomma, lo stesso su cui, da mesi sbattono la testa i familiari di Luca Fanesi, il tifoso della Sambenedettese in coma dal 5 novembre e che solo poco tempo fa ha riaperto gli occhi. L’ultrà marchigiano era stato ricoverato all’ospedale di Vicenza in condizioni gravissime a seguito di scontri tra la tifoseria biancorossa e quella rossoblu. Secondo la questura di Vicenza il tifoso della Samb è caduto accidentalmente nel corso dei tafferugli, mentre per i tifosi marchigiani presenti in trasferta le fratture al cranio che hanno provocato il coma sarebbero dovute alle manganellate della polizia. Di recente, gli ultras della Sambenedettese hanno rilanciato anche la campagna per il numero identificativo sulle divise delle forze dell’ordine.

Non è facile gestire l’ordine pubblico sia in occasione di eventi sportivi sia quando si tengono manifestazioni a cui partecipano decine di migliaia di persone ma questo non giustifica gli abusi delle forze dell’ordine. Nel caso specifico della bandiera vietata ai tifosi della Spal all’Olimpico è stato evidenziato come fosse priva dell’autorizzazione che deve essere comunque concessa dalla questura della città dove si svolge l’incontro (in questo caso Roma) per qualsiasi tipo di striscione, ma per quale motivo la faccia di un diciottenne ucciso dovrebbe rappresentare una provocazione contro la polizia? Peraltro, non tutte le forze dell’ordine sono assimilabili a quella parte che si è resa responsabile delle violenze del G8, della morte di Aldrovandi e di altri casi simili. Piuttosto, bandiere e striscioni che chiedono verità per Aldro simboleggiano una richiesta di giustizia e auspicano uno Stato dove la repressione non sia la norma.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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