Lo strambo pipistrello: colpevole o innocente?

di Saverio Pipitone (*)

photo Di Shutterstock

Con ripetuti «zik zik zik» stridono i neonati di pipistrello. Di solito sono unica prole e diventano adulti in una trentina di mesi. Questi mammiferi volatili, risalenti a 70 milioni di anni fa, abitano quasi l’intero pianeta con un migliaio di specie, sia piccole che grandi: dai 4 ai 40 centimetri di dimensione, fino ad 1 chilogrammo di peso, per un’estensione alare di un quarto o mezzo metro e oltre, volando in genere da 2 a 15 metri di altezza; l’età media di vita è compresa tra 12 e 40 anni.

A testa in giù, stanno aggrappati con curvi artigli ai posatoi dentro grotte, cunicoli, miniere, cripte, soffitte, boschi ed altri nascondigli, naturali o artificiali, dove ammassati dormono di giorno e passano il letargo invernale. Escono al crepuscolo in stormi, allontanandosi per decine di chilometri e alle volte migrano su lunghissime distanze. Tramite l’emissione di ultrasuoni e l’ascolto del rimbombo, ecolocalizzano nel buio la traiettoria e il cibo. Si nutrono di tanti insetti o frutti, scartando le parti dure, poiché necessitano di un’elevata energia senza appesantimento per il volo.

Nell’ecosistema hanno un ruolo costitutivo e ordinatore. Eliminano i parassiti, dalle falene alle larve, nocivi per le coltivazioni agricole; è stimato che all’anno, nei campi di mais o cotone, un centinaio di pipistrelli arrivi a ingoiarne un milione, accrescendo la resa e il guadagno del raccolto. Impollinano alcune piante come il legume selvatico Mucuna, usato per vari trattamenti medicali, oppure l’Agave da cui nasce la tequila. Nel mangiare la frutta, contribuiscono alla riproduzione vegetale, con lo spargimento dei semi attraverso lo sterco, che è pure un ottimo concime naturale.

Una selezionata e ampia ricerca bibliografica on-line di articoli scientifici mostra però che negli ultimi cinquant’anni, in correlazione all’esponenziale impiego dei pesticidi chimici, i pipistrelli sono alla mercè di tali elementi tossici con effetti di deperimento e declino (raccolta studi).

Significativo è il caso delle Carlsbad Caverns nel Nuovo Messico con una popolazione di pipistrelli che era di 8,7 milioni nel 1936, ridottasi a soli 700.000 circa dal 1991, principalmente a causa di inquinanti organoclorurati fra cui gli insetticidi DDT, lindano, endosulfan, dieldrin e fipronil.

La loro esposizione, anche a ulteriori antiparassitari quali gli organofosfati clorpirifos e fention o il neonicotinoide imidacloprid, è molto rilevante dato che foraggiano per lungo tempo nelle zone di agricoltura intensiva, assorbendoli mediante: ingestione del nutrimento insettivoro o frugivoro e dell’acqua dei siti idrici; inalazione mentre avviene l’irrorazione serale con luce artificiale che attrae per una maggiore presenza di prede; contatto cutaneo quando posano su aree e attrezzature rurali.

Nei rifugi rientrano carichi di sostanze chimiche, sia sulla peluria con un susseguente contagio reciproco per la vicinanza fisica, che nell’organismo con un bioaccumulo nel tessuto adiposo, fegato, cervello e reni. Specialmente i cuccioli assimilano veleni dall’allatamento e attaccamento al corpo materno. Poi, durante l’ibernazione, i grassi depositati nei mesi attivi, diluiscono nel flusso sanguigno, diffondendo residui di pesticidi. Inoltre, insetticidi ed erbicidi annientano i viveri. Tutto ciò impatta negativamente sulle funzioni metaboliche, energetiche, neurologiche, immunitarie, endocrine e riproduttive, con conseguenze letali o subletali e di vulnerabilità alle malattie infettive, sempre più frequenti ed emergenti.

Nell’ultimo cinquantennio, infatti, i pipistrelli sono ritenuti fonte, serbatoio e portatori di diversi virus, tra cui Marburg, Hendra, Nipah, Sars, Mers, Ebola e Covid. È teorizzato che, verso simili patologie, i pipistrelli sono privi di sintomi grazie all’anomalo sistema immunitario, evolutosi per volare, che resiste all’infiammazione per via dell’alta temperatura corporea, ma gli stessi agenti patogeni, per contrastare la risposta antivirale, accelerano la proliferazione da cellula a cellula e, nel passaggio ad altri animali con immunità differente, divengono virulenti.

Il salto di specie, con possibile contaminazione zoonotica, accade spesso nei luoghi colpiti dal cambiamento climatico o trasformati da habitat naturali in spazi per uso agroindustriale e urbano. Per esempio, negli anni Novanta del secolo scorso, in Malesia furono intensificate le attività produttive con allevamenti di suini e attigue colture di alberi da frutta; nel frattempo, i pipistrelli, che erano stati sfrattati dalla foresta convertita in piantagioni di palma da olio, si insediarono su quegli alberi per alimentarsi, ma i pezzi masticati ed insalivati e gli escrementi finivano nei recinti infettando i maiali e da lì gli umani. Scoppiò così l’epidemia Nipah, somigliante all’antecedente Hendra in Australia con i pipistrelli che, in seguito all’eccessivo caldo per il mutamento del clima, si ripararono nei pascoli di cavalli, infettandoli, per poi spostarsi ancora perché quelle praterie vennero soppiantate dal cemento.

L’uomo, invadendo e distruggendo la biodiversità, conduce al rischio pandemico e ci sono all’incirca 800.000 nuovi virus pronti ad assalirlo (report Ipbes).

Il rimedio è variare punto di vista, che nel caso dei pipistrelli, come cantano i piccoli dell’Antoniano, è «Strambo. Le gambe in aria, la testa in giù, dai prova! Provaci un po’anche tu, provaci! Prova a cambiare il tuo dritto punto di vista. E così capirai, che in fondo l’unico tu non sei, nel mondo…».

(*)Pubblicista economico-finanziario. Oltre a «Pesticidi a tavola» ha scritto i libri «Shock Shopping La malattia che ci consuma» e «Forno a microonde? No grazie». Il suo blog è: saveriopipitone.blogspot.com

 

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