Lo straniero

di Fabio Troncarelli

Lo Straniero... Se c’è un protagonista indiscusso delle cronache dei nostri giorni è proprio lui. E’ lui che ci guarda disperato dalle foto dei barconi pieni di immigrati. E’ lui che abbassa gli occhi davanti agli occhi di chi gli chiede documenti che non ha. E’ lui che grida come una belva ferita quando a sua volta ferisce, stupra, uccide. E’ lui il personaggio mitico che compare nelle parole gettate qua e là dai paranoici sulle società multietniche e sul confronto-scontro di civiltà: parole balbettate da poveri esseri che non sanno neppure che cosa significano le parole che credono di usare e da cui sono usati; parole di uomini che non parlano ma sono parlati.

Il termine “Straniero”, etimologicamente, è legato al termine “Estraneo”. Lo “stra-“ di “straniero”, di “estraneo”, di “strano”, di “straniante” deriva dalla forma latina “extra”, che indica in senso fisico ciò che “sta fuori” rispetto a ciò che “sta dentro”. L’estraneità fisica si associa inevitabilmente a quella spirituale: ciò che sta fuori dal luogo dove sono io è estraneo alla mia vita e potenzialmente nemico del mio “stare”, del mio essere qui ed ora.

L’identificazione di “straniero” ed “estraneo” è un punto fermo della nostra lingua e della nostra società, radicata nella cultura latina e più in generale nel mondo cosiddetto “classico”. Esso fa parte di una costellazione concettuale tipica delle civiltà classiche, che ruota intorno alle stesse ostinate convinzioni: così come chi è “estraneo” al nostro spazio è uno straniero, è un pazzo chi è “fuori dal seminato” e “delira”(alla lettera: è “fuori dei solchi dell’aratro”).

Partiamo da qui. Dalla violenta opposizione, di matrice classica, tra chi è dentro e chi è fuori lo spazio che ci appartiene. Chi viola i nostri confini suscita panico e allarme incontrollabile perché sovverte le radici antropologiche del nostro stare nel mondo: noi sentiamo – ce lo dice la lingua stessa – che chi non sta con noi è contro di noi. Ma non ce lo dice solo la lingua: ce lo dice l’esperienza del nostro sviluppo psicologico, un’esperienza che riviviamo ogni volta che ci accostiamo a un neonato e lo vediamo spaventato per la nostra intrusione.

L’ inaspettata presenza dello Straniero provoca una reazione di panico che non è affatto inaspettata. Da questa “reazione” a un atteggiamento “reazionario” il passo è breve. Il meccanismo più elementare di fronte a una presunta minaccia è allontanare la minaccia: l’espulsione, la rimozione, la cacciata del capro espiatorio sembra l’unico rimedio per ritrovare la pace. Ma la pace è completamente falsa. Perché? Ma perché le barriere, le grandi inutili muraglie che ciascuno di noi fabbrica faticosamente con una millenaria fatica di Sisifo, sono estremamente fragili e illusorie. Non servono per cacciare veramente “fuori” gli estranei. Il punto è che gli “estranei” stanno “extra” per puro caso: noi delimitiamo la terra con confini inesistenti, ma gli esseri umani vivono da sempre dentro e fuori questi limiti e non se ne curano. I popoli del Mediterraneo mangiano e bevono allo stesso modo da sempre, così come da sempre vivono allo stesso modo, sul mare. Eppure i popoli del Mediterraneo hanno sviluppato stupide sovrastrutture a cui fingono di credere per nascondere la propria angoscia: la guerra, la conquista, il trionfo di presunte “civiltà”, che si fronteggiano e si guardano in modo minaccioso. Maschere. Maschere vuote. Davvero un pescatore di Tunisi è un estraneo per un pescatore di Trapani? Davvero un marinaio di Marsiglia è uno Straniero per un marinaio di Chio?

Se i confini dell’Io sono così illusori è illusoria la nostra sicurezza di cacciare fuori tutto ciò che non ci piace e ci spaventa. Ma allora si apre una voragine dentro di noi. Allora, forse, col solo uso del vocabolario e del buon senso abbiamo scoperto che quello di cui abbiamo paura sta “dentro” di noi, non “fuori”. E’ a questo punto che la psicoanalisi in agguato trova un terreno favorevole. L’Io cosciente, come ha detto lapidariamente Freud, non è “padrone a casa propria”. Ciò di cui abbiamo veramente paura è di incontrare faccia a faccia, dentro casa nostra, ciò che ci piacerebbe tanto tenere lontano da noi. Pensiamo agli immigrati: agli italiani fa paura ricordare che è proprio l’emigrazione dei loro padri che li ha fatti crescere, in modo brutale e crudele. Gli italiani, pieni di vergogna per le sofferenze patite dai loro padri, pieni di sensi di colpa per la scomparsa dei loro padri, vogliono cancellare magicamente colpe e vergogne, essere figli senza padri, nati per partenogenesi. Per questo odiano i nuovi immigrati che soffrono, come hanno sofferto i loro padri. E per questo rimuovono e cacciano e respingono tutto ciò che ricorda loro la vergogna, l’umiliazione, la debolezza. Pensiamo alla nostra Storia. Gli italiani vivono in democrazia grazie a una guerra di liberazione, la guerra dei loro padri contro autentici mostri. Ma non lo sopportano. Non sopportano di avere un debito con chi è morto senza chiedere niente. E allora ecco il disprezzo, lo scherno, la rabbia contro i morti, fingendo che siano stati loro i mostri e che invece i mostri siano vittime, anche quelli che hanno fatto stragi terribili, infierendo con una ferocia inaudita su donne e bambini, come a Sant’Anna di Stazzema: una ferocia che nessuna goccia di un mai versato Sangue dei vinti riuscirà neanche per un attimo a compensare.

Gli Stranieri sono la materializzazione di quello che ci appartiene o ci potrebbe appartenere e che non vogliamo ammettere: sono i pazzi che dicono la verità ridendo e scherzando, come Pulcinella; sono le donne, l’altra metà del cielo, le Madame Butterfly, calpestate dai presunti eroi dell’epica del nostro narcisismo straccione; sono i bambini, il nostro futuro, a cui abbiamo rubato l’infanzia in nome del nostro infantilismo disperato; sono i vecchi, la nostra memoria, gettati via come stracci; sono i popoli di cui non possiamo fare a meno e che non possiamo fare a meno di umiliare, i popoli del Terzo Mondo, del Quarto Mondo, degli Infiniti Mondi di Giordano Bruno, che come Giordano Bruno abbiamo seviziato, bruciato e assassinato, e che continuiamo a seviziare e lasciar morire ancora oggi, “respingendoli”.

Respingimento… Un termine assurdo e ipocrita, inesistente in italiano, che tradisce chi lo usa, chi usa le parole senza capirle, perché “respingo” viene da “retro-spingo” e “retro” indica ciò che è “retro-grado”, ciò che sta “dietro”, come il “di dietro”, l’ano. Sì c’è proprio l’ano, ci sono le funzioni dell’ano e l’analità dietro a ogni espulsione: respingere, rimuovere, mandare dietro, mandare fuori sono tutte manifestazioni dell’espellere. Ma come si fa a espellere se prima non si digerisce? Non si può eliminare ciò che è vitale se prima non lo si assimila. Non si può cacciare dalla porta chi inevitabilmente tornerà dalla finestra. Come i “migranti”, che si chiamano – nomen omen – come le rondini, che tornano sempre e annunciano la fine dell’inverno.

UNA MIA PICCOLA NOTA

Questo testo è stato pubblicato sulla rivista Eidos nel giugno 2010. Mi è parso troppo importante… per non riprenderlo. Un discorso che sembra un dado a 48 facce. Il vecchio fratelli coltelli. Stranieri a noi stessi. Nemici che ti spiano ogni giorno… dallo specchio. Smemoratezze (per esempio il nostro colonialismo feroce). Rimozioni, come la centenaria emigrazione italiana. Il desiderio di essere ingannati. Le identità incerte e quelle forti cioè false. Le donne invisibili alle religioni come al discorso maschio-centrico. L’autismo di massa. I capri espiatori: le “scimmie verdi” come preferisco dire io. Le nuove-vecchie paure: su cui ragiono spesso in codesto blog. L’immaginario colonizzato… Proprio oggi in radio ho sentito uno spot (camuffato) pro nuovo libro di Giampaolo Pansa. Io sono italiano come lui? Viva gli stranieri di Fabio Troncarelli e viva gli alieni della mia amata fantascienza. Amo parafrasare Philip Farmer: «Mio padre è una scimmia e mio madre è dio … o viceversa»: Darwin più X … ma aggiungo subito: «possibile che io sia anche cugino di Fini, Bossi, Pansa?». Anni fa in una manifestazione a Treviso gli indigeni avevano uno striscione poi diventato famoso: «immigrati per favore non lasciateci soli con Gentilini». Rondini. Se una sola rondine non fa primavera… figuratevi una ronda. Un libro (nel quale sono finito anch’io) si intitolava «Rondini e ronde». Gli infiniti mondi (possibili) di Giordano Bruno. Proprio qui sopra ogni giorno viene ricordato che per costruire un futuro bisogna prima sognarlo. Bisogna sognare. (db)

Redazione
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