Lo stupro di Parma: per «Claudia» e per noi

di Enrico “Red Driver” (*)

QUESTA RIFLESSIONE E’ STATA SCRITTA DUE GIORNI FA, prima che il tribunale di Parma emettesse la sentenza. E’ necessario dunque un rapido aggiornamento. Riprendo da “La repubblica” di oggi la sentenza: Francesco Cavalca (26 anni) e Francesco Concari (30 anni) condannati a 4 anni e 8 mesi mentre per Valerio Pucci la condanna è a 4 anni. “Il pm aveva chiesto 9 anni ma i giudici non hanno riconosciuto alcune aggravanti, dimezzando la pena”  (DB)

 

Sono stato all’udienza del processo a porte chiuse [all’esterno c’era una piccola manifestazione di solidarietà] che si celebra a Parma. (**) Mi sono interrogato su quanto è avvenuto, sui livelli di complessità intorno a questa tragica storia. Vorrei partire dal generale per arrivare al particolare.

Dal punto di vista del capitale l’essere umano è cosificato: un corpo su cui esercitare il potere del comando. La soggettività, ogni individuo con pensieri, desideri, ambizioni sono tutti incanalati verso una modalità operazionale, in cui il soggetto si deve subordinare a un sistema altro da sé che lo mette in una situazione perenne di conflitto con se stesso.

Tutto va verso questo principio: a chi emigra l’assistente sociale si sente legittimata/o a chiedere “se non guadagni abbastanza per mantenere i tuoi figli, perché li fai?” oppure “perché hai fatto venire in Italia la tua famiglia se non hai più lavoro?”.

Chi ha vissuto una storia di disagio psichico viene considerato “reinserito” nella misura in cui torna a essere funzionale al mercato dunque “è di nuovo in grado di badare a sé, di guadagnare abbastanza da garantirsi la propria indipendenza, base della sua emancipazione psicologica”.

Ogni aspetto della nostra vita è subordinato alla logica della produzione: lavorare non è una scelta, è l’unica condizione possibile di esistere. Come scritto sul campo di Auschwitz: “il lavoro rende liberi”. Lavorare è considerato in modo astratto, senza collegarlo all’utilità sociale. L’idea di Keynes che in fondo era meglio mettere persone a scavare buche un giorno per poi chiuderle l’indomani – dando un salario per far girare la moneta e rilanciare l’economia – rende bene l’idea: siamo in un mondo privo di senso, in cui ciò che facciamo non è collegato a un interesse comune. Il paradosso dell’Ilva di Taranto è emblematico: lavorare in una fabbrica che riduce la nostra aspettativa di vita ma che intanto ci permette di avere i soldi per vivere. E’ il destino del pianeta: dobbiamo smettere di produrre in questo modo per salvare la vivibilità a lungo termine ma chi ci permette di vivere in questo momento se non produciamo come ci viene comandato?

L’alternativa esiste ma dobbiamo cambiare le fondamenta di questo sistema (chiedo: ma chi ci sta davvero, impegnandosi ogni giorno?).

La mancanza di senso: la respiriamo ogni giorno – senza rendercene conto – insieme all’inquinamento e alla desertificazione.

Questo sistema ci garantisce modi per non pensare, soprattutto divertimenti: ci fa attaccare ore a strumenti che se ci fossero imposti sembrerebbero torture… ma invece noi scegliamo “liberamente” telefonini, computer, televisori… basta pagare. I giochi che ci propongono permettono di conquistare il mondo, di sentirci imperatori, di abusare delle donne e dei loro corpi: sono giochini – ci dicono e ci diciamo – ma intanto ci “educano”.

«I giovani sono trasgressivi»: con definizioni simili offrono i termini in cui incasellare il bisogno di sentirci un po’ più liberi in una società che ci fa vivere male. Basta non riflettere: quante volte ognuna/o di noi arriva a casa dicendo “mi metto a fare qualcosa che non mi faccia pensare”. E’ normale, no?

Davvero?

Perché associamo il “non pensare” al benessere?

Invece potremmo e dovremmo ragionare su come stare meglio per costruirlo insieme.

Se cerchiamo di non pensare, il capitale ci offre ogni possibile soluzione. Quando ci droghiamo ci sentiamo “trasgressivi”. Le droghe sono quasi tutte a portata di mano, ma basta che il sistema le definisca illegali per farci sentire “fuorilegge” infrangendo un divieto quando le usiamo. Ci hanno modellato addosso la trasgressione e non ce ne rendiamo conto.

E magari quando siamo “fatti” troviamo normale abusare di un corpo femminile. Veniamo tutte/tutti normalmente abusati, cosa c’è di strano se capita anche a “un bravo compagno”? E nella tragica vicenda di Parma alcuni “fieri antifascisti” stuprano una donna e la deridono, la umiliano facendo girare la sua immagine con un filmettino. Qualcuno dirà: in fondo quanti sono i filmini in cui si vedono le stesse cose? E se lo facciamo anche noi che male c’è?

La cosificazione appare normale: la viviamo ogni giorno, ogni minuto. E’ il principio normale del capitalismo: usare i corpi altrui per trarne profitto individualmente. Sentirsi un padrone ogni tanto fa bene?

Quando la compagna “Claudia” [non è il vero nome] di Parma si rende conto di cosa le hanno fatto sembra normale usare il potere psichiatrico per distruggere la sua soggettività: come soggetto non esisti, oltretutto sei una donna e te lo sei voluto.

Quindi i maschi sono violentatori per nascita? Sembra quasi di dover riconoscere legittimità alle religioni: il sesso è peccato, l’abiezione dell’essere umano, la riduzione di uomini e donne allo stato di bestie.

Eppure nel movimento antagonista esiste una parte di donne e di uomini (di ogni orientamento sessuale) che hanno lottato e lottano per l’idea che una sessualità felice sia possibile, che la comunicazione consapevole fra persone in cerca della reciproca gioia sia possibile e che sia quanto di più sovversivo possa esistere; che il desiderio insomma sia un motore bello della nostra vita.

Imparare insieme: non siamo semplicemente dotati di istinto ma siamo un misto complesso di pensieri e desideri non necessariamente in feroce conflitto. Possiamo lottare per essere veramente felici, per svegliarci accanto a persone con cui condividiamo la confidenza dell’intimità come un motore potente per la nostra gioia, per la voglia e la volontà di vivere in un mondo in cui non veniamo ridotti a cose. Possiamo costruirlo qui e ora, sapendo mettere in discussione i modelli di vita che ci vengono inculcati, sapendo provare disgusto per quanto fatto a “Claudia” e solidarietà per la sua ribellione.

Ma perché questa solidarietà stenta? Perché le tante compagne e i pochi compagni che stanno cercando di partire da questo tragico evento per capire come “non si verifichi più” trovano tante difficoltà? Spesso nelle assemblee si sente dire “giustissimo, avete ragione, bel contributo, passiamo al punto successivo”. Più che un muro di gomma, sembra di avere i piedi attaccati al cemento.

Come fai ad urlare in assemblea “BASTA, NON E’ POSSIBILE” quando tutti in apparenza ti danno ragione?

Qualcuno sussurra che se sostieni “Claudia” nel processo stai dalla parte dello Stato… Di tutte le assurdità, questa è la peggiore anche perché lo Stato interviene sempre dopo, a stupro avvenuto, a omicidio commesso. Chi sopravvive lo fa nonostante lo Stato, non grazie a esso: basta assistere ai dibattimenti in cui la ricerca della verità è nuova oggettificazione ai danni della vittima. E se si indaga “sull’equilibrio psicologico” degli stupratori è per dar loro un alibi, una giustificazione.

Deve esistere un punto minimo, una barriera al di sotto della quale non si può andare: non deve succedere MAI E POI MAI.

Non bastano le compagne e i compagni (pochissimi) a fianco di “Claudia” perché lì – davanti al tribunale – dovevamo esserci tutti e tutte. Andando alle udienze. E prendendoci l’impegno di lottare anche contro ciò che è dentro di noi. Dovremmo fermarci tutti e tutte per davvero.

(*) Enrico scrive ogni tanto in “bottega” – di recente sul mega concerto di Vasco Rossi a esempio – ma gli abbiamo imposto il soprannome Red Driver (è un guidatore instancabile) per far “riposare” il suo cognome… che è già sulle carte di troppi processi politici [db]

(**) Chi non conosce questa tragica vicenda legga qui: Che  antifascismo è se copre uno stupro? (silenzi e complicità su una violenza: a Parma nel 2010 … ma venuta alla luce con anni di ritardo).

L’IMMAGINE è di Anarkikka

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