L’omofobia in Italia resiste

I vescovi italiani esprimono apertamente la propria ostilità verso una legge contro l’omofobia. Jennifer Guerra, su The Vision, e Vittorio Bellavite, coordinatore di Noi Siamo Chiesa, denunciano la presa di posizione della Cei, che va a braccetto con ultracattolici ed estrema destra.

di Jennifer Guerra (*)

La Conferenza episcopale italiana si è espressa sul disegno di legge sull’omofobia che giace nei cassetti della Commissione giustizia del Senato dal 7 ottobre scorso, che è stato presentato dal deputato del Pd Alessandro Zan il 2 maggio 2018 e la cui votazione è prevista a luglio. La Cei ha detto che “un’eventuale introduzione di ulteriori norme incriminatrici rischierebbe di aprire a derive liberticide, per cui – più che sanzionare la discriminazione – si finirebbe col colpire l’espressione di una legittima opinione”. Descrivere la legge sull’omofobia come un attacco alla libertà di opinione degno di una dittatura alla Orbán è un’operazione davvero singolare, visto che la meritoria proposta di legge di Zan è in realtà il minimo sindacale per un Paese dove negli ultimi sei anni si sono verificate più di mille aggressioni omotransfobiche.

Il disegno di legge in questione non fa altro che aggiungere agli articoli 604-bis e 604-ter del codice penale in materia di propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica o religiosa la dicitura “oppure fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere”, ma queste dieci parole sono bastate a far strappare i capelli agli ultracattolici la cui unica e martellante argomentazione è che questa legge sia lesiva nei confronti della libertà di opinione. A leggere il comunicato dei vescovi infatti, pare che reclamino il diritto di insultare a piacimento chiunque non risponda esattamente ai canoni della “famiglia tradizionale”. Evidentemente i porporati ritengono che un’aggressione, verbale o fisica che sia, mossa solo dall’intenzione di umiliare gay, lesbiche e persone trans sia una forma di libertà di espressione. Ma se le opinioni di cui si dovrebbe difendere la libertà hanno lo stesso calibro di quelle espresse dal professore emerito di Diritto penale Mauro Ronco – che nella giornata di audizioni per la legge ha parlato di omosessualità come di un “disturbo di carattere sessuale” paragonabile al voyeurismo, al masochismo e al sadismo – è chiaro che questa legge sia più che necessaria.

Nel nostro Paese l’omofobia dilaga. Ci sono gli insulti per strada, i pestaggi e anche gli omicidi. 212 attacchi registrati soltanto lo scorso anno, senza contare tutti quelli non denunciati per paura di vendette ancora più gravi. Secondo il progetto Hate Crimes No More del Centro Risorse Lgbti, il 73% delle persone della comunità LGBTQ+ ha subìto violenza omotransfobica e il 76,4% non ha denunciato l’accaduto. Questi episodi dunque non sono “casi isolati”. Al pari della violenza di genere, la violenza omofoba esiste perché c’è una cultura che la permette e la tollera, se non addirittura la incoraggia. Una cultura che continua a dire che i gay sono malati e l’omosessualità si può curare, che le donne trans non sono donne, che le famiglie con due mamme o due papà non sono vere famiglie, che sono un pericolo per “l’identità”, che sono uno scherzo della natura. Tutte argomentazioni che per la Chiesa sono “libertà d’opinione” e con cui si riempiono le prime pagine dei giornali conservatori. Poi c’è lo step successivo: bandiere arcobaleno bruciatefunerali inscenati durante un’unione civile da militanti di Forza Nuova, striscioni e cartelloni in difesa della famiglia tradizionale appesi di notte. Tutte azioni difese e rivendicate come innocenti libertà, ma che oltre a risultare molto offensive alimentano l’idea che essere gay, lesbica, trans, queer sia un errore, qualcosa di intrinsecamente sbagliato che va corretto anche a calci, pugni e coltellate.

Se la Cei, come scrive nel documento, è davvero contraria a “trattamenti pregiudizievoli, minacce, aggressioni, lesioni, atti di bullismo, stalking” in quanto “violazione della dignità umana”, dovrebbe avere l’onestà di riconoscere che sono proprio quelle “libertà personale, scelte educative, il modo di pensare e di essere, l’esercizio di critica e di dissenso” che vengono da loro rivendicate ad avallare questo tipo di episodi. È molto facile condannare la violenza, più difficile riconoscere le proprie responsabilità ideologiche. Ed è proprio la chiusa della nota a esprimere questa contraddizione, in cui la conferenza episcopale invita a “promuovere l’impegno educativo nella direzione di una seria prevenzione”. Potrebbe cominciare proprio la Cei, ad esempio, smettendo di parlare dell’inesistente “teoria gender”, prendendo le distanze dai gruppi e dai partiti di estrema destra – gli stessi che agiscono la violenza che i vescovi condannano – nei movimenti pro famiglia, condannando pubblicamente le teorie riparative per guarire dall’omosessualità, promuovendo finalmente la “pastorale omosessuale” e smettendo di cacciare i cattolici gay dalle parrocchie.

Poi sarebbe bello anche capire come si dovrebbe concretizzare questo “impegno educativo”, visto che ogni tentativo di portare l’educazione all’identità di genere e all’orientamento sessuale nelle scuole viene sistematicamente ostacolato o censurato e bollato come “teoria gender”. “Nel 2016 papa Francesco definiva la ‘teoria del gender’ una ‘colonizzazione ideologica’”, scrive il giornalista Simone Alliva in Caccia all’omo. “Oggi in Italia chi parla di gender ritiene che nelle scuole, sulla base delle strategie europee in linea con l’Oms, i ragazzi verrebbero spinti a esplorare i propri genitali. Tutto questo avrebbe come fine la distruzione della famiglia formata da un uomo e da una donna”. È dal 2013 che la Chiesa porta avanti questa crociata contro l’inesistente ideologia gender, “una vasta campagna di mobilitazione il cui principale obiettivo è quello di fabbricare una controversia sul genere definito non tanto a partire dai suoi usi teorici e politici emersi nel campo degli studi femministi e queer, ma nell’accezione deformata datane dal Vaticano”, come scrivono Sara Garbagnoli e Massimo Prearo, i massimi esperti in Italia sull’argomento. Teorie elaborate direttamente dal Pontificio Consiglio per la Famiglia che ha stabilito in maniera inequivocabile l’attacco del “gender” contro i valori cristiani.

La Chiesa, insomma, sembra avere diritto di parola in ogni questione che riguardi la comunità LGBTQ+ e, più in generale, sulle decisioni politiche del nostro Paese, come è accaduto ad esempio con le leggi sull’eutanasia. L’ipotesi che la nota della Cei freni il già difficile percorso del ddl non è poi così lontana. Già nel 2013, quando Ivan Scalfarotto del Pd (oggi Italia Viva) propose il suo disegno di legge sull’omofobia – naufragato in Senato – per accontentare la Chiesa fu approvato un emendamento firmato da Gregorio Gitti (sempre del Pd) secondo cui “non costituiscono discriminazione né istigazione alla discriminazione la libera espressione e le manifestazioni di convincimenti od opinioni riconducibili al pluralismo delle idee”. L’emendamento, soprannominato “salvavescovi” di fatto vanificava gli sforzi della legge, aprendo quel vuoto normativo che il ddl stesso si proponeva di colmare. E infatti, il promotore del nuovo disegno Zan ha già rassicurato i vescovi che “non verrà  esteso all’orientamento sessuale e all’identità di genere il reato di ‘propaganda di idee’”.

Gregorio Gitti

Il problema dell’assenza di una legge sull’omotransfobia, come sottolinea Alliva, non è solo ideologico, ma “gli effetti di una mancata legge sono nelle cronache dei processi di aggressione omotransfobica che arrivano a sentenza ma senza l’aggravante”. Perché una legge sull’omotransfobia non colpirebbe solo qualche alto prelato che pontifica sulla “lobby gay”, ma sanzionerebbe più correttamente i crimini d’odio sulla base dell’orientamento sessuale e sull’identità di genere. Infatti non si capisce bene su quali basi la Cei sia riuscita a stabilire che “esistono già adeguati presidi con cui prevenire e reprimere ogni comportamento violento o persecutorio”. Lo vadano a dire al 38enne a cui è stato rotto il naso e la mascella a suon di “brutto finocchio di merda”, ma per il quale non è stata riconosciuta nessuna aggravante omofoba. Il quotidiano della Cei, Avvenire, che oggi alcuni celebrano come un baluardo di progressismo, ritiene che la legge Mancino sia sufficiente per condannare le discriminazioni. Ma non tutti sembrano pensarla così negli ambienti cattolici, dato che altri giornali di ispirazione religiosa sostengono che sia inaudito applicare la legge Mancino per la “cosiddetta omofobia”.

Insomma, dei dubbi vengono se l’Italia – in cui si consumano circa 200 aggressioni l’anno contro la comunità LGBTQ+ – è, a detta della Chiesa, già perfettamente equipaggiata contro l’omotransfobia. D’altronde parliamo dello stesso Paese in cui l’omofobia non esiste, ma in cui il presidente del Consiglio pochi anni fa diceva pubblicamente “Meglio le belle ragazze che essere gay”; dove il vicepresidente del consiglio comunale di Vercelli scrive su Facebook “Ammazzateli tutti ‘ste lesbiche, gay e pedofili”; dove una consigliera comunale di Rieti vieta il Pride “perché sdogana la pedofilia”; dove il consigliere comunale di Trieste scrive su Facebook che i gay “Si sfondano il culo e litigano quando manca la vaselina”. Ma, d’altronde, stiamo pur sempre parlando di libertà d’opinione. Forse, più che della Cei, il nostro Paese avrebbe un disperato bisogno di laicità e di una legge che si cerca di far passare da 23 anni senza risultati.

(*) Fonte: The Vision 

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I vescovi italiani dicono no alla legge contro l’omofobia e si inchinano alla mobilitazione delle destre oltranziste

di Vittorio Bellavite (*)

La situazione mi sembra questa:
– nonostante sia cresciuta da tempo la consapevolezza della presenza di gay e di lesbiche nella società e del loro diritto ad ogni piena considerazione ed assoluta dignità rimane diffuso un pregiudizio penalizzante nei confronti di questi nostri fratelli e sorelle. Sono tanti i fatti che ci dicono che sono molte le situazioni di arretratezza nel capire ed accettare la realtà omo. Esse si manifestano in atti concreti di discriminazione, di violenza, di isolamento sociale e di disprezzo. Le organizzazioni LGBT tutto documentano in modo puntuale e continuo e la cronaca ci informa a sufficienza.
– Il mondo gay/lesbico, per intervenire in questa situazione, oltre ad iniziative culturali e sociali di vario tipo, ha anche proposto una normativa specifica. L’art. 604 del codice penale dovrebbe punire, come ora fa, non solo chi istiga a commettere o commette atti di discriminazione o di violenza o atti di provocazione “per motivi sociali, etnici, nazionali o religiosi”, ma anche per “motivi fondati sulla omofobia o sulla transfobia”. Chi è ostile all’area LGBT ha da tempo obiettato che questa modifica avrebbe impedito di esprimere posizioni critiche nei confronti dell’omosessualità. Ma le parole del codice sono ben definite e non danno spazio a reati di opinione. Come dovrebbero sapere i vescovi, esse sempre determinano bene le fattispecie concrete da sanzionare che non sono scritte a spanne. La libertà di criticare l’omosessualità resta piena, verrebbe contrastata la discriminazione e la violenza così come per gli altri motivi (etnici, religiosi, ecc.). Il buon senso di questa riflessione e la realtà del nostro paese hanno portato nella precedente legislatura il disegno di legge di modifica del codice ad essere approvato dalla Camera ma a non riuscire a concludere l’iter al Senato. In seguito la campagna contro questa pretesa legge liberticida è continuata da parte di quella stessa area che organizzò il Family Day, che si attivò sul caso Englaro, contro la legge n. 219 sul fine vita e via di questo passo.
– Contemporaneamente nel diffuso mondo cattolico, da una parte si sono consolidate le presenze organizzate di gay/lesbiche credenti (per esempio “Gionata”,”Cammini di Speranza”, “Il Guado” e altre), dall’altra mi sembra che la linea dell’accoglienza nelle sedi parrocchiali e diocesane si sia estesa e siano ora molto attenuate le chiusure di principio. Ha contribuito l’“Avvenire” con ripetuti interventi tesi a capire, dialogare e a informare correttamente. Ne è prova l’uscita in questo mese del libro di Luciano Moia (caporedattore del quotidiano cattolico) “Chiesa e omosessualità” con prefazione del Card. Zuppi. Noi Siamo Chiesa ha contribuito dall’inizio a proporre un nuovo percorso con un primo convegno precursore nel 1999 su “Fede e persone omosessuali” e con tanti altri interventi in seguito.
– Ora la Presidenza della CEI ha diffuso un comunicato molto duro nei confronti del disegno di legge ora in discussione alla Camera che riprende quello della passata legislatura (l’“Avvenire” ne dà notizia oggi con un’enfasi immeritata). Si può discutere molto dell’opportunità di un tale intervento a gamba tesa sotto il profilo della laicità e del rapporto con le istituzioni. Si può anche dire che, se interventi si fanno, bisognerebbe allora non farli a senso unico (non ne abbiamo visti, per esempio, di significativi nel confronti dei decreti contro i migranti un anno fa). Noi soprattutto siamo molto amareggiati, oltre che sorpresi, per questa collocazione dei vescovi (perlomeno della loro Presidenza) a sostegno di una posizione che sposa in modo molto pesante le linee oltranziste del conservatorismo reazionario interno alla Chiesa, il quale poi si intreccia con immediata facilità con la destra politica esterna. Padre Alberto Maggi (oggi su “Repubblica”) ha reso esplicita una voce che si fa strada tra i cristiani. Egli ha detto: “La Chiesa non tiene conto in nessun modo delle sofferenze morali subite da tanti omosessuali per causa sua e non tiene conto delle sofferenze che ancora oggi infligge loro”. La linea di papa Francesco è un’altra, la linea dei cattolici democratici è un’altra.

(*) coordinatore nazionale Noi Siamo Chiesa

 

 

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