Lsd, Cia, pane selvaggio e memoria corta

In bella evidenza «Il corriere della sera» di sabato 13 marzo ha pubblicato una corrispondenza da New York di Alessandra Farkas. Qui sotto la sintetizzo, aggiungendo altre notizie (poche) trovate in rete e a seguire inserisco co-co-co ovvero commenti, collegamenti, cospirazioni.

Il 16 agosto del 1951 il villaggio di Pont-Saint-Esprit (nel sud-est della Francia) è colpito da un’improvvisa follia generale. Non si comprende perché tanti abitanti vengano presi da insana follia con evidenti stati allucinatori. Un 11enne tenta di strangolare la nonna; un uomo urla «so volare» e si lancia dal 2° piano, fratturandosi le gambe; un paziente aggredisce il medico dicendo che il suo cuore è uscito dal torace; in ospedale alcuni ricoverati salgono sui letti gridando che dal loro corpo spuntano fiori rossi. E così via. In quei giorni si parlò di un «pane maledetto» (distribuito da un fornaio locale) che produceva pazzia temporanea, forse contaminato da un fungo della segale o da mercurio. Ma oggi il reporter investigativo statunitense H. P. Albarelli Jr sostiene che il “pane della follia” del 1951 sia stato corretto con Lsd, cioè acido lisergico, da agenti della Cia che in quel periodo condusse esperimenti sul controllo mentale. Dopo la guerra di Corea gli statunitensi avevano avviato un vasto programma di ricerca sulla manipolazione mentale dei prigionieri e qui Albarelli inserisce la vicenda del pain maudit. Il giornalista si è imbattuto in documenti interessanti indagando sulla misteriosa morte del biochimico Frank Olson, dipendente del Sod (la Special Operations Division, una agenzia per operazioni speciali dell’esercito Usa) caduto dal 13° piano due anni dopo gli eventi di Pont-Saint-Esprit. Secondo i documenti che Albarelli cita a provocare le allucinazioni sarebbe stata la contaminazione del pane con dietilamide (ovvero la D della sigla Lsd). Gli scienziati che avanzarono l’ipotesi del fungo della segale o del mercurio erano dipendenti della svizzera Sandoz Pharmaceutical Company (che negli anni ’50 aveva strette relazioni con i servizi segreti Usa in quelle ricerche) e proprio una nota trascrive la conversazione di un agente Cia con un funzionario Sandoz rivelando il segreto: né tonno né muffe ma un esperimento con Lsd. Infine per Albarelli c’è un’altra prova: in un documento della Casa Bianca, inviato alla Commissione Rockefeller che indagava sugli “abusi” della Cia, si parla del «pane maledetto» e si ammette che l’esercito Usa drogò, a loro insaputa, oltre 5.700 militari fra il 1953 e il 65. In questi giorni in Francia qualcuno si è arrabbiato. «Ho rischiato di morire, vorrei sapere perchè» dichiara il 71enne Charles Granjoh alla rivista francese «Les Inrockuptibles» (bel gioco di parole fra rock e incorruttibili).

Mi sembra una storia appetitosa. Subito lasciata cadere. Un ingenuo si stupirebbe che nei giorni successivi non sia stata ripresa e approfondita dai giornalisti… Chi invece sa come vanno queste cose ha pronte almeno tre spiegazioni: meglio non sfrugugliare troppo la Cia; i giornalisti e le giornaliste sono (salvo rare eccezioni) pigri e ignoranti; la catena di montaggio dei media e la voluta superficialità consumano le notizie in fretta. E poi avrà detto qualche fc-vi (falso cinico-vero idiota) nelle redazioni: «ma che ce frega di una storia del 1951 in Francia». Come se sul suolo italiano la Cia non operasse…

Credo invece sia interessante cercare qualche nesso o se preferite appunto buttar lì co-co-co: commenti, collegamenti, cospirazioni dove questa terza parola forse non è da leggere come ironica. Da tempo la Cia conduce esperimenti con le droghe. Se qualche fc-vi leggesse ogni tanto dei libri (sono oggetti che contengono parole spesso con il contorno di informazioni e/o idee) avrebbe pensato almeno a 2 saggi recenti: «Il produttore consumato» di Francesca Coin – confronta la mia recensione in questo blog – e «Una questione di tortura» di Alfred W. Mc Coy (idem, cioè se vi interessa potete rintracciare qui il mio articolo del 2008 che ne parlava).

Nell’interessante ricerca della Coin le ricerche dei servizi segreti sulle droghe rimangono sullo sfondo ma il loro uso «di Stato», ieri come oggi, è ben evidenziato. Nel saggio di Mc Coy invece, anche se al centro della scena resta la tortura, si trovano un mucchio di informazioni utili (non vaghe ipotesi ma documenti ufficiali e testimonianze) sul periodo 1950-1962 quando la sola Cia investì un miliardo di dollari l’anno su «controllo mentale, guerra psicologica e ricerche segrete sulla coscienza umana»: in questo caso ai servizi segreti statunitensi interessava soprattutto un nuovo approccio alla tortura (più psicologica che fisica ma egualmente distruttiva).

Esiste però un libro importante (un po’ più vecchio, del 1980) che qualche giornalista meno ignorante avrebbe potuto usare per contestualizzare quella notizia ma, più in generale, per ragionare sulle droghe di Stato. Racconta di come il potere (P maiuscola forse) da sempre conosce i rapporti fra erbe, allucinazioni, fame e rivolte, usando le droghe come la stregoneria (anzi la stregherai perché in quei casi soprattutto di donne si parla) ora come valvola di sfogo ora come pretesto per reprimere. Distribuendo le droghe, a volte regalandole.

Quel libro è «Il pane selvaggio», lo scrisse Piero Camporesi e ne riproduco qualche passaggio (dal capitolo 13).

«E’ errato supporre che sia necessario arrivare al capitalismo ottocentesco […] per veder sorgere il problema della diffusione di massa dei derivati dell’oppio […] per neutralizzare il furore delle folle e ricondurle – attraverso il sogno – alla “ragione” voluta dai gruppi di potere.  La guerra dell’oppio contro la Cina, le Black Panther “domate” dalla droga, il “riflusso” degli studenti americani ed europei […] sono gli esempi più comunemente usati […]. Anche l’età preindustriale ha conosciuto – seppur in maniera più imprecisa, rozza e “naturale” – strategie politiche alleate alla cultura medica, sia per smorzare i morsi della fame sia per contenere i furori della piazza. […] I tentativi più interessanti e le sperimentazioni più disinvolte si indirizzano cerso la confezione di pani truccati, leggermente allucinanti e blandamente stupefacenti, come quel “pane papaverino” […] conosciuto dalla medicina galenica come ipnotico […] Meglio una città popolata da stupidi […] che una città sconvolta da tumulti e sollevazioni». Sembra piuttosto interessante no? Ma il libro va letto per intero, fra l’altro è scritto anche splendidamente.

Insomma quelli che nel 1951 parlarono, a proposito delle stranezze accadute in quel paesino francese, di «pane della follia» anche se in quel caso mentivano sapevano bene cosa stavano dicendo, conoscevano bene che certi “pani” danno le allucinazioni e che proprio per quello tante volte il potere li usò, proprio come le altre droghe. Ma è un discorso che spero di riprendere presto su questo blog, magari in forma di dialogo.

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