«L’uomo bianco nella foto» di Davide Verazzani

di Monica Macchi (*)

«Abbiamo un sogno e ce lo andremo a prendere tutti insieme»

Non mi stupirei se gli atleti di colore / non gareggiassero nelle Olimpiadi del 1968. / Perché dare il 100% a una nazione / che quando torni ti nega i diritti umani?” ‒ Tommie Smith

Se non avessi indossato la spilla, / sarei solo un’altra medaglia d’argento. / Ma io credo nei diritti civili / e ho pensato fosse una buona occasione / vedere un uomo bianco dalla parte dei neri” ‒ Peter Norman

 

 

Diceva John Carlos: “Mostrano sempre l’immagine. Ma non raccontano mai la storia”.

Ebbene L’uomo bianco nella foto, spettacolo di Davide Verazzani con musiche dal vivo di Francesco Covelli, di storie ne intreccia molte, andando oltre la cornice dell’icona estetizzata ed estetizzante restituendo molteplici significati attraverso la scelta radicale di raccontare l’immagine senza mai mostrarla.

Quella storia che, nelle parole di Tommie Smith, va raccontata ai giovani perché un uomo bianco, quel giorno non ha alzato un pugno, ma ha teso una mano”.

La foto è quella della premiazione dei 200 metri alle Olimpiadi di Città del Messico del 1968, con Tommie “The Jet” Smith e John Carlos, due atleti neri statunitensi scalzi,  a capo chino ma col pugno chiuso coi guanti di pelle nera, simbolo della lotta delle Black Panter, uno con una sciarpa nera al collo, per simboleggiare l’orgoglio afroamericano, l’altro con la felpa sbottonata, (omaggio agli operai) e una collana di perline (una per ogni nero linciato o ucciso di cui nessuno ha avuto notizia).

L’uomo bianco è l’australiano Peter Norman (** ) ex ragazzino asmatico destinato a diventare apprendista macellaio che vede nell’atletica una possibilità di riscatto sin dalla gara e vittoria di Beth Cuthbert nel 1956.

E rispetto al libro di Lorenzo IervolinoTrentacinque secondi ancora” a cui lo spettacolo è ispirato che ricostruisce magistralmente il profondo Texas e il massacro di Tlatelolco, questo spettacolo teatrale tratteggia il quadro dell’Australia, dalla decimazione degli Aborigeni dopo l’arrivo degli inglesi, alla successiva emarginazione in virtù di una supremazia eugenetica della razza bianca così come teorizzata dalla White Australian Policy.

Peter Norman

 

Ma nella foto c’è un dettaglio, una spilla piccola con scritta ancora più piccolaOlympic Project for Human Rights” (un’organizzazione americana fondata dal sociologo Harry Edwards -autore di “The Revolt of the Black Athlete”- per protestare contro la segregazione razziale negli Stati Uniti e sostenere la partecipazione delle minoranze alla gestione degli sport professionistici) ed è proprio questo dettaglio, passato inosservato ai più, che dà l’avvio al “dopo” della foto, vero motore della narrazione scenica.

E quando Norman viene convocato da Ronald Aitken, capo della Federazione australiana che gli impone di scusarsi e prendere le distanze da questo gesto perché “la politica non c’entra nulla con lo sport”, risponde semplicemente “Preferirei di no”.

E questo “preferirei di no” dà il via ad un ostracismo durato quasi mezzo secolo fino alle tardive scuse del Parlamento Australiano del 2012 con cui viene riconosciuto “il potentissimo ruolo che Peter Norman giocò nel perseguire l’uguaglianza razziale”.

Ma prima subisce la macchina del fango dei mass media e l’umiliazione di essere escluso dalle Olimpiadi del 1972 (nonostante avesse corso per ben 13 volte sotto il tempo di qualificazione dei 200 metri e per 5 sotto quello dei 100…), cancellato da tutti i documenti ufficiali che gli riservano due misere righe. Si ritira, divorzia, diventa dipendente dagli anti-dolorifici e dall’alcool, gli vengono impiantati 3 by pass…e usa la medaglia d’argento di Città del Messico come fermaporta.

Alle Olimpiadi di Sidney del 2000 il comitato olimpico australiano chiama tutti gli atleti che hanno partecipato alle Olimpiadi per un giro d’onore ai Giochi, tutti (compresi un’atleta aborigena e Beth Cuthbert in sedia a rotelle per la sclerosi multipla) tranne Norman, che paradosso dei paradossi con il suo tempo di 20.06 avrebbe addirittura vinto l’oro!

Ma saranno gli atleti della Federazione Statunitense a invitarlo e rendergli omaggio: Michael Johnson lo definisce “il mio eroe” e il giorno del suo funerale il 9 ottobre 2008, verrà proclamato negli USA il Peter Norman Day.

L’uomo bianco nella foto – Davide Verazzani

 

Ma niente rende meglio l’idea di chi è stato come il suo commento durante l’inaugurazione della statua fatta da Rigo 23, un artista portoghese che rappresenta il gesto di Carlos e Smith con il podio del secondo posto vuoto: “Chiunque può metterci i piedi: quel posto è per i prossimi Peter Norman! Adesso tocca a voi”.

Un monologo, una storia e uno spettacolo da diffondere ed incoraggiare sulla scorta della teoria di Emmanuel Leroy Ladurie secondo cui “le fotografie parlano loro stesse…ammesso che le si sappia leggere”.

L’uomo bianco nella foto” di e con Davide Verazzani è stato rappresentato al Castello Sforzesco a Milano il 13 luglio 2018 nell’ambito della manifestazione Estate Sforzesca e fa parte di “Fatti di Storia”, un progetto di teatro di narrazione di cui fa parte anche “Game of Sforza”, presentato nelle scorse due edizioni della stessa rassegna.

(*) ripreso da Oubliette Magazine

(**) in “bottega” ne abbiamo scritto qui Trentacinque secondi ancora e qui Peter Norman, il terzo della foto: una storia di …ma vedi anche Scor-data: 16 ottobre 1968

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *