«L’uomo che comprò la Luna»

Daniela Pia ha visto il film di Paolo Zucca

Si può “comprare” la Luna? Sì, se esiste chi è capace di ipotecarla per poterla donare all’amata e se ci sono donne che la sanno condividere con uomini fortemente ancorati alla terra. Una terra antica fatta di sogno, onirica.

L’isola dalla forma di piede, Ichnusa, è quella raccontata da Paolo Zucca nel film «L’uomo che comprò la luna».

Terra di conquistatori antichi e nuovi dove essere sardi prevede prove da sostenere, da sopportare. Una terra dalla risata rauca e amara. Soffice come il velluto e aspra come l’orbace. Luogo di ribellioni solitarie e audaci in cui l’ingiustizia può e deve essere combattuta.

L’ingiustizia affiora dall’eredità di un nonno anarchico, quello ripudiato dall’agente segreto Kevin Pirelli, all’anagrafe Gavino Zoccheddu che è interpretato da Jacopo Cullin capace di regalare al personaggio grande forza comunicativa, infarcita di tenera comicità.

Pirelli deve farsi sardo, glielo chiedono i servizi segreti italiani. Lo pretendono. Lo diverrà in modo improbabile, istruito da Badore – interpretato dalla maschera antica scolpita nell’immobile mimica di Benito Urgu – un uomo di poche parole che si porta dentro un dolore insopportabile da sostenere. Le sue ciliegie rosse, rubate sono state pagate con il rosso del sangue: un costo troppo alto da gestire e pagato con l’esilio.

Così il biondo continentale Kevin si fa pian piano Gavino, campione di biliardino e di morra, interprete di ironiche battorine (*) che disarmano i diffidenti avventori del bar in cui accetta la sfida che lo deve rivelare come sardo doc.

A tradirlo sarà l’abbardente (**) che farà riaffiorare in lui il continentale costruito negli anni.

Fugge Kevin per approdare in casa dell’uomo che regalò la Luna alla sua donna: lì scopre che l’onore e la giustizia gli appartengono, che vale la pena battersi per preservare un sogno.

In quel sogno la narrazione si stratifica: appaiono Amsicora, Eleonora, sant’Efisio, Antonio Gramsci, Emilio Lussu e un nonno che fa da specchio al nipote.

Gente di terra sarda, uomini e donne che seppero spendersi per la libertà e un ideale alto.

Lo sbarco degli americani, giunti a riprendersi la proprietà della Luna, sarà respinto da Gavino, fattosi completamente sardo, la cui identità ritrovata viene scandita da una colonna sonora fatta di urli e spari, un’eco della caccia al cinghiale di «Quello che non ho». Lo avrebbe amato questo film Fabrizio de Andrè, lo sento. Gli sarebbe piaciuta la conclusione, con quella bandiera dei quattro mori, conficcata sul suolo lunare dalla caparbietà di un gentile uomo di mare, capace di strappare Selene al potere a stelle e strisce, per consegnarlo definitivamente alla sua amata. 

(*) battorina è una poesia popolare in forma di canto; mi correggerrà l’autrice se non sono stato abbastanza preciso [db]

(**) l’abbardente è un’acquavite sarda detta filu ‘e ferru; questo è noto … se non universalmente abbastanza (persino fra gli astemi?)

 

Daniela Pia
Sarda sono, fatta di pagine e di penna. Insegno e imparo. Cammino all' alba, in campagna, in compagnia di cani randagi. Ho superato le cinquanta primavere. Veglio e ora, come diceva Pavese :"In sostanza chiedo un letargo, un anestetico, la certezza di essere ben nascosto. Non chiedo la pace nel mondo, chiedo la mia".

2 commenti

  • Il film è divertente, esagerato ed irridente.
    Fa morire dal ridere i sardi, per l’estremizzazione dei luoghi comuni sulla Sardegna dell’interno. Forse esagera un po’ nel finale.
    Vale la pena di vederlo. Non è il caso di raccontarlo prima.

  • Hai ragione, mi è scappata la penna, troppo entusiasmo.

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