L’uomo che pisciava carburante per razzi (*)

Recensione a «L’uomo di Marte», facendo finta che Ridley Scott non ne abbia tratto un film

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Potevo evitare di parlare del romanzo «L’uomo di Marte» – titolo originale «The Martian» – di Marte-dì? No. Potevo evitare di mettere in relazione il romanzo con il film di Ridley Scott? Sì e l’ho fatto (**).

Eccolo lì, in libreria, una bella copertina dura: 4,90 per 380 pagine (Newton Compton; traduzione di Tullio Dobner) insomma un buon prezzo. Lo prendo. A favore dell’esordiente Andy Weir ci sono molte voci. Contro, almeno dal mio punto di vista, che Ridley Scott di recente non ne azzecca una. Non mi farò influenzare.

Dico subito che il romanzo è, secondo me, molto bello. Non passerà alla storia della letteratura ma c’è tutto quello che occorre per una storia piacevole e intelligente, ben scritta, molto sopra la media dei bestseller (o presunti tali): le emozioni; la scienza rigorosa eppure in certi momenti ai limiti della magia insomma la buona science fiction; il dosaggio della suspence; uno scenario abbastanza noto (Marte) ma così… non ce lo avevano raccontato neppure nonno Arthur e zio Philip; alcune battute geniali; ovviamente il personaggio principale e quelli “di spalla”…

Non racconterò la storia e non so neppure quanto nel film sia stato tagliato (molto, ipotizzo): spero che siano rimasti i cinesi “buoni” e che il dilemma sulle «due scelte» (per la cronaca: pagg 213-215) sia narrato da Scott senza reticenze.

Ve lo consiglio. E salto alle ultime righe ma… senza svelare segreti. Voi capite che un classico “lieto fine” non può contenere una frase del genere in chiusura: «a quel che mi dicono puzzo peggio di una puzzola che ha cagato su un cumulo di calzini sudati». I miei complimenti ad Andy Weir per la faccia tosta.

Ma subito prima c’è un passaggio di alta retorica (non esiste mica solo la bassa retorica ma questo lo sapevate no?) che vale ricopiare quasi per intero: «Il costo della mia sopravvivenza deve essere nell’ordine delle centinaia di milioni di dollari. […] Perché darsi tanta briga? […] Progresso, scienza e il futuro interplanetario che sogniamo da secoli. Ma fondamentalmente lo hanno fatto perché ogni essere umano possiede l’istinto naturale di aiutare il suo prossimo. […] Se un escursionista si perde in montagna ci sono altre persone che coordinano una spedizione di ricerca. Se un treno deraglia c’è gente che si mette in fila per donare il sangue. […] Sì, ci sono le teste di cazzo a cui non frega niente ma sono una minuscola minoranza». I miei complimenti ad Andy Weir per la faccia seria. E felice per essere – una volta tanto – nella maggioranza (speriamo) di quelli che possono dire «I care», mi importa.

PS: Ho una sola critica da fare ad Andy Weir. Di avere citato il nome Sojourner senza approfondire. C’è una storia meravigliosa intorno a quel nome (da poco Obama ne ha parlato ma io l’avevo letta in un bel libro di Lilian Thuram). In “bottega” la trovate qui: Sojourner Truth, la verità che c’è e vola. E vi assicuro che vale la pena conoscerla.

(*) La battuta «racconterò in giro che pisciavo carburante per razzi» ovviamente non è mia ma di Mark Watney o meglio del suo “papà” Andy Weir (avviso per bibliopignoli e/o santommasipigri: la trovate a pag 349).

(**) Ho talmente evitato di mettere in relazione romanzo e film che ancora non ho visto «Sopravvissuto-The Martian» di Ridley Scott. Lo farò presto. In “bottega” ne hanno già parlato Francesco Masala e Riccardo Dal Ferro ma io, per non farmi influenzare, li leggerò solo dopo aver deciso da solo se stavolta Scott si è ricordato di come si fa cinema. Di spunti per una buona, anzi eccellente, sceneggiatura ce n’erano assai.

 

danieleB
Un piede nel mondo cosiddetto reale (dove ha fatto il giornalista, vive a Imola con Tiziana, ha un figlio di nome Jan) e un altro piede in quella che di solito si chiama fantascienza (ne ha scritto con Riccardo Mancini e Raffaele Mantegazza). Con il terzo e il quarto piede salta dal reale al fantastico: laboratori, giochi, letture sceniche. Potete trovarlo su pkdick@fastmail.it oppure a casa, allo 0542 29945; non usa il cellulare perché il suo guru, il suo psicologo, il suo estetista (e l’ornitorinco che sonnecchia in lui) hanno deciso che poteva nuocergli. Ha un simpatico omonimo che vive a Bologna. Spesso i due vengono confusi, è divertente per entrambi. Per entrambi funziona l’anagramma “ride bene a librai” (ma anche “erba, nidi e alberi” non è malaccio).

3 commenti

  • Caro Daniele, su L’uomo di Marte dissento. Ho saltato pagine e pagine di noiose descrizioni. In certi momenti pare un manuale su “come risolvere i problemi se siete naufragati su Marte”. Il protagonista è simpatico,ma che barba tutte quelle minuzie tecniche e neppure un rigo sui suoi sentimenti.
    I sentimenti ci sono, mi dici tu.
    Mah. Un po’ di nostalgia per la buona vecchia Terra e una lacrimuccia per la mamma. Io intendo lo smarrimento di un essere umano completamente solo, in un ambiente ostile. Mai un attimo di scoraggiamento. Mai che gli venga voglia di mandare tutto in malora. Mai la rabbia. Ecco, questo mi ha lasciato perplessa.
    Noia per noia, preferisco Bacigalupi e la sua imperfetta Ragazza meccanica.

    • Daniele Barbieri

      grazie Clelia, a me pare che un po’ di rabbia e disperazione affiorino ma il personaggio è un “nerd” guascone e dunque maschera bene le sue paure e solitudini. Confesso che a me le «minuzie tecniche» nei libri di questo tipo piacciono assai: qui ne ho letto almeno il 92 per cento e sul 4 per cento ho anche riflettuto a dovere. Superato questo nostro piccolo dissenso restano due interrogativi epocali ai quali SOLO TU puoi rispondere qui davanti alla “bottega”, a zio Kronos, alle galassie riunite e malandrine:
      1) devo leggere «Ragazza meccanica»?
      2) quando arriva in “bottega” un tuo racconto? e/o in libreria il tuo nuovo romanzo?

  • 1) Sì, devi.
    2) eh! (sospirone). In libreria ormai la fantascienza non ci va più, a parte i casi extranazionali come The Martian. Tutto esce in ebook, solo per i possessori di ereader.
    3) Nuovo racconto in bottega? Ci penso. Non prometto ma ci penso.

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